Economia: i 5 uomini chiave del 2014
Sergio Marchionne, Carlo Cottarelli, James Hogan, Giuliano Poletti, Mario Draghi: sono loro ad aver segnato il 2014 con scelte economiche decisive
1- Sergio Marchionne
È stato incoronato da Automotive News manager dell’anno. In effetti Sergio Marchionne nel 2014 ha portato a termine un progetto grandioso al quale ha iniziato a lavorare fin dal 2009, quando divenne amministratore delegato della Fiat. Nel 2014 la fusione con la Chrysler è diventata operativa dando vita a Fca che è stata quotata a Wall Street. E fin qui tutto bene. Poi però, siccome il gruppo nato da questa operazione non poggia su gambe robuste, è stato costretto a mettere mano al marchio più famoso del mondo, la Ferrari, scorporandolo, caricandolo di debiti (2,25 miliardi), quotandolo in borsa, e distribuendo le sue azioni ai soci di Fca, per ottenere i liquidi necessari per finanziare lo sviluppo della Fca.
2- Carlo Cottarelli
Carlo Cottarelli venne chiamato dal governo Letta per redigere un piano di riduzione della spesa pubblica. L’economista, lasciato il Fondo Monetario Internazionale, si è messo d’impegno: ha creato una quindicina di tavoli tematici composti da studiosi, esperti, uomini della burocrazia pubblica. Poi ha presentato un rapporto nel quale spiegava come si poteva tagliare il numero, e il costo, delle società pubbliche controllate dallo Stato e dalle amministrazioni locali mentre degli altri dossier non si è saputo più nulla. Sono conservati in un qualche cassetto della presidenza del Consiglio che lo ha lasciato andare senza nemmeno un grazie.
3 - James Hogan
James Hogan è l’amministratore delegato di Etihad, compagnia aerea degli Emirati Arabi Uniti che ha comprato il 49% di Alitalia dai privati che l’avevano rilevata nel 2008 portandola al disastro. Hogan, in una lettera del primo giugno aveva chiesto che, prima di diventare azionista e assumere la guida della società, Alitalia riducesse il personale, risolvesse tutte le pendenze sindacali, che l’aeroporto milanese di Linate venisse parzialmente liberalizzato e che la flotta venisse ridotta. Tutte le richieste sono state soddisfatte. Compresa quella che società pubbliche italiane dessero il loro concreto apporto finanziario: le Poste hanno investito 75 milioni di euro
4 - Giuliano Poletti
L’unica vera riforma (che viene completata dal Job Act, quando sarà approvato) resa esecutiva dal governo Renzi riguarda il lavoro e porta la firma del ministro Giuliano Poletti. Prima dell’estate è stata infatti abolita la causale per i contratti a termine, un vincolo alle imprese che era stato “inasprito” dal governo Monti per mano del suo ministro del Lavoro Elsa Fornero. I risultati ci sono stati: nel primo trimestre dell’anno (prima del decreto Poletti) i nuovi contratti sono stati 2,3 milioni (-1% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente); nel secondo trimestre 2,6 milioni (+3,1%); nel terzo trimestre 2,4 milioni (+2,4%). Nello stesso periodo, però, la disoccupazione è aumentata al 13,3%, un record storico, e quella giovanile è salita al 43,3%. Per non parlare del clamoroso flop del progetto europeo “Garanzia Giovani”.
5 - Mario Draghi
Ogni tanto bisognerebbe chiedersi dove sarebbe l’Europa se al vertice della Bce non ci fosse Mario Draghi. Le sue operazioni di rifinanziamento dell’economia (attraverso le banche) ha tentato di mettere una toppa sull’evidente deficit di strategia economica europea. Anzi, bisognerebbe chiedersi se, senza di lui, ci sarebbe ancora, l’Europa e l’euro. Ma Draghi ha anche molte cose di cui farsi perdonare, la principale è che non è riuscito a tenere fede all’obiettivo della Banca Centrale, quello di mantenere l’inflazione europea “intorno” al 2% visto che il Continente è in una spirale deflazionistica gravissima che scoraggia gli investimenti da parte dei privati. Sarà la storia a dire se a trascinare l’Europa in questa situazione sia stata l’opposizione cocciuta e utilitaristica della Germania, rappresentata da Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, o se Draghi avrebbe potuto osare di più.