Gérald Bronner: 'Estremisti, tutti figli della democrazia'
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Gérald Bronner: 'Estremisti, tutti figli della democrazia'

Perché l’Occidente genera fanatici. E perché, secondo il sociologo francese, c'è bisogno di nuove gerarchie

Si diventa estremisti e fanatici per molti motivi. E spesso non c’entrano niente la povertà sociale e la deprivazione culturale. Sono proprio il benessere  e la scolarizzazione a innescare in molti casi i radicalismi più violenti o le manie più assurde. Nel Pensiero estremo (Il Mulino, 240 pagine, 19 euro) Gérald Bronner, professore di sociologia all’Università di Strasburgo, ha esaminato le radici dell’estremismo.

Una delle grandi passioni inedite dei nostri tempi, lei dice, è l’appetito per la notorietà, talvolta privilegiata alla riuscita economica. Anche il narcisismo produce fanatici?
Uno dei motivi della radicalizzazione di un individuo può essere la frustrazione, il sentimento che non gli sia riconosciuto il suo giusto valore. Questo sentimento può anche incarnarsi in un’ideologia di redistribuzione delle opportunità sociali. Alcune di queste persone hanno la sensazione di essere state derubate dalla vita, dal sistema sociale, e hanno la tentazione di ripartire da zero. Il fanatismo dunque può sfociare in questa opzione. Tanto più che, come sosteneva Alexis de Tocqueville, i sistemi democratici sono quelli che creano maggiore frustrazione, perché sono fondati sull’idea che si parta tutti dalla stessa linea e si possa ambire a ogni cosa. L’incapacità di regolare il desiderio può generare pulsioni sociopatiche. Nell’era della società mediatica, poi, la notorietà è un bene più desiderabile della giustizia o del bene. Ci sono persone che per raggiungere la fama compiono atti aberranti.

Il percorso di ideologizzazione del fanatico che lei descrive assomiglia a un’iniziazione progressiva, come quella in uso nelle sette.
Si può stabilire un parallelo: le verità iniziatiche sono ottenute progressivamente perché si suppone che gli individui all’inizio non siano adatti a capire ciò che coronerà la loro elevazione spirituale. Nel caso del fanatismo il termine della dottrina è inaccettabile per uno spirito normale. Sicché fa parte di una strategia cosciente dei reclutatori, in particolare nelle sette, nascondere all’inizio le proposte più stravaganti. Alla fine, dopo una progressiva accettazione della dottrina, anche individui razionali come lei e me sono capaci di accettare enunciati così strani come "il guru riesce a fare levitare degli elefanti".

Estremisti non sono solo gli jihadisti, gli ecoterroristi o i radicali di destra o sinistra. Ci sono forme di estremismo apparentemente innocue ma perturbanti: i fissati per gli ufo, i predicatori del veganismo, i paranoici del complottismo... La società postmoderna ha perduto l’equilibrio?
Paradossalmente, la nostra contemporaneità favorisce alcune espressioni estremistiche. Ma in effetti l’estremismo non riveste solo forme politiche o religiose, sebbene queste forme siano più visibili in quanto spesso distruttive. Se ammettiamo che il fanatismo è l’adesione radicale a idee radicali, capiamo che questa forma di credo assoluto si può applicare a ogni sorta di oggetto.

Gilbert K. Chesterton diceva che quando si smette di credere in Dio si comincia a credere a tutto. Non sarà che il riemergere di estremismi dopo il tramonto delle ideologie abbia a che fare con la secolarizzazione del mondo occidentale?
La secolarizzazione ha, in un primo momento, permesso la tolleranza tra le fedi perché ha frammentato i grandi sistemi di rappresentazione del mondo. Ma la radicalità ha continuato a scorrere in profondità trovando una nuova possibilità di manifestazione per esempio con internet. La rete ha permesso ad alcuni individui isolati di aggregare la loro violenza mentale. Beninteso, esiste anche una dimensione geopolitica della radicalizzazione,
e mi riferisco a quella islamista…

Il pensiero estremo può quindi essere letto come una disperata risorsa per riguadagnare una visione del mondo unitaria di fronte a una realtà talmente complessa da essere diventata illeggibile?
Sì, certo, perché propone una visione semplicistica e manichea del mondo. Traccia linee di demarcazione, fa eco alle indignazioni spontanee insoddisfatte di spiegazioni del mondo troppo complesse. L’estremismo propone a coloro che lo abbracciano una forma di verginità mentale, la possibilità di ripartire da zero, di capire tutto, soprattutto di spiegare i loro errori con la perversione del mondo e non con i propri limiti. Spesso ci troviamo svuotati di fronte all’ambivalenza del mondo, la grande "virtù" dei sistemi di pensiero estremo sta nell’offrire una comprensione rinnovata e totale, la soddisfazione intellettuale che può fornire la chiara soluzione di un problema matematico. È questo ciò che io chiamo un effetto di svelamento: tipico del pensiero cospirativo.

Quanto hanno a che fare il fanatismo e il radicalismo con il relativismo etico occidentale? Sono legati al pensiero debole?
Assolutamente. Il radicalismo può prosperare grazie a questo relativismo morale che tende a dire, per esempio: "Non esiste il terrorismo. La parola terrorismo è un termine usato per squalificare l’attività politica altrui". Una delle grandi poste in gioco intellettuali di oggi, che cerco di analizzare nel mio libro, è di valutare la possibilità di una gerarchia di valori. È fondamentale, perché altrimenti non si avrebbero più argomenti per condannare l’attività terroristica.

Come accettare una gerarchia dei valori senza affondare nell’etnocentrismo e imporre ad altri popoli i valori dell’Occidente?
Credo che la cosa sia possibile. La difesa di un nuovo universalismo contro i radicalismi e i fanatismi religiosi e nazionalisti rappresenta uno dei compiti storici della nostra cultura e delle nostre democrazie.

BIOGRAFIA
Gérald Bronner, 43 anni, è sociologo francese di fama internazionale. Il suo lavoro è centrato sulle credenze sociali, la considerazione del rischio individuale e il radicalismo. Dal 2004 al 2007, con Jean-Michel Berthelot, ha codiretto il Centro studi di sociologia della Sorbona.

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Riccardo Paradisi