In volo su un tappeto persiano con Mahmoud Saleh Mohammadi, portatore di luce
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In volo su un tappeto persiano con Mahmoud Saleh Mohammadi, portatore di luce

L'artista contemporaneo, iraniano e pittore di nascita, Mahmoud Saleh Mohammadi ci apre le porte della sua Narnia e ci parla dell'arte, dell'empatia, della luce e del vino, della capacità di innamorarci come caratteristica differenziale dell'essere umano da recuperare.

Arrivo in via Bligny, a Milano, per incontrare l’artista iraniano Mahmoud Saleh Mohammadi. 

Primo cortile a sinistra, poi a  destra, e trovo il cartello Spazio Nour. Sto per suonare quando Mahmoud mi anticipa e apre la porta. Ha la barba lunga e gli occhi sorridenti. “Benvenuto” mi dice. In persiano non ci sono maschile e femminile, e durante l’intervista questo andirivieni di articoli maschili con sostantivi femminili e viceversa sarà una nota di colore che farà diventare può vasto l’orizzonte. 


Lo Spazio Nour è costellato di tappeti persiani: piegati in attesa di trasformazioni, per terra, appesi ai muri, volando nello spazio come fossero nuvole. In fondo a questa prima sala un vestito bianco pende vicino alla finestra, illuminato dall’interno. 

La sala centrale si apre a un patio interno, da dove entra il sole sotto le note del vals n 2 di Shostakovich. (ecco il link se volete accompagnare questa lettura) 

Vedo un armadio di legno in mezzo a un muro bianco, è chiuso. Sopra ha una targa che dice Sala consiglio. “Apri”, mi dice Mahmoud, donandomi così un attimo di stupore puro, due secondi di infanzia quando le ante si schiudono alla sua Narnia. Entriamo dall’armadio in questa sala con una finestra.

“Tutto quello che c’è qui dentro l’ho costruito io con materiali di recupero: il lavandino è fatto con un tavolino, l’armadietto recuperato dove ci sono i vini che mi regalano gli amici. Mi piace il vino, bevuto in compagnia, e da solo. Sono cose diverse. 

Questo per esempio - dicesegnalando un’opera sul muro - è una vecchia tavola delle lavanderie di Milano che prende nuova vita. Questa è una persiana con sopra un tappeto persiano: due culture che si sposano in un’opera d’arte che si chiama “Sposi persiani””

Sulla tavola della lavanderia, sull’armadietto, sulle sedie, sui quadri, ovunque trovo ritagli di tappeti e segni d’oro, lettere persiane o linee semplici. Cosa significano le scritte d’oro e i tappeti nelle tue opere?

“In parte è un linguaggio che s'ispira al Kintsugi, pratica giapponese che consiste nel riparare gli oggetti “feriti” con dell’oro o l’argento. Se ci guardiamo intorno ci sono tante ferite, nel mondo, in noi. L'artista ha il compito di valorizare le ferite,  di riempirle di luce, d'oro , e fare in modo che la cosa diventi più bella, più profonda, proprio grazie al suo vissuto, comprese le sue ferite. 

Queste opere parlano di empatia. Io, come iraniano, tu che sei argentina, e viviamo in Italia, pratichiamo l’empatia, portiamo il nostro mondo qui e lo doniamo agli altri, e ci facciamo permeare da questo mondo che abbiamo scelto e che facciamo nostro. La sedia italiana, con disegno italiano, con un tappeto persiano sul sedile, rappresenta questa integrazione possibile, che arricchisce e dona bellezza.”

Raccontami dei tappeti.

“Il popolo persiano era nomade, vivevano all’intemperie, nella natura, nelle montagne. I tappeti sono una rappresentazione della natura.Servivano da una parte per portare via le cose nei viaggi, e poi, quando si sono stabiliti nelle città i tappeti diventarono la natura che portarono dentro casa. Ci sono per questo diversi tipi di tappeti a seconda della zona di provenienza.”

Parliamo mentre Mahmoud scalda l’acqua per fare un tè con delle erbe e fiori cinesi e russi. Il vecchio bollitore in rame è identico a quelli che si mettevano sul fuoco in argentina.

Sul muro della sua Narnia ci sono dei dipinti molto belli, fatti da una mano esperta. Chi li ha dipinti? 

“Gli ho fatti io. Nasco pittore. Da piccolo mi piaceva dipingere, allora mia madre mi regalava materiali perché potessi esprimermi. Poi a quindici anni sono andato a studiare con un maestro. Ma non prendevo lezioni, ero, come si usava un tempo, un suo discepolo: passavo lì tutto il giorno e pulivo, preparavo gli strumenti, cucinavo e mangiavo con lui, lui aveva anche degli studenti che prendevano lezione, e imparavo anche da ciò che veniva insegnato a loro. 

Poi ho studiato pittura, e a trentadue anni ho sentito un forte richiamo verso l’Italia, impossibile da spiegare per chi non crede a queste cose. Ma una volta qui ho sentito che era la cosa giusta, che era qui che dovevo stare, al meno per adesso.

Una volta a Milano ho studiato ancora, a Brera, e mi sono avvicinato per la prima volta all’arte contemporanea. All’inizio senza capirla: sembrava che qualsiasi cosa potesse essere arte contemporanea. Poi inizi a sentirla, e a sentire cosa lo è, e cosa no.”

Portiamo il tè al tavolino di legno della sala centrale, e Mahmoud si siede sul tappeto. Allora scivolo dal divano e mi siedo sul tappeto anche io. Perché non ci sono dipinti nelle sale?

“Perché la gente si confonde. Ho tanti dipinti, ma li ho nascosto fino a adesso. E per gli ultimi quattro anni non ho dipinto, non avevo l’ispirazione. Ora qualcosa è cambiata, sono pronto e sento il bisogno di unire i dipinti e l’arte contemporanea e che la gente li possa vedere. “

Strappo la promessa di farmi vedere i dipinti nascosti e guardando un’opera con una madonnina di gesso col bambino, gli chiedo sulla religione e sulla questione sacra, che si respira parlando con Mahmoud ma non riesco a decifrare in quale modo.

“La madonna è una donna, sei tu, è mia madre, questo figlio sono i tuoi figli, sono io. Noi siamo sacri. Le religioni, tutte, hanno messo le divinità in simboli lontani per confonderci. Questo ci rende piccoli, bisognosi, irresponsabili. Fai cose atroci e poi chiedi perdono. Ma controllano così anche la nostra luce. E siamo qui tristi e in guerra, tutti contro tutti. Dio in persiano è Khoda che significa “ritorno a se stesso” (khod=se stesso + a=ritorno). Io sono nato in una famiglia cresciuta nell’Islamismo Shiita, ma a un certo punto mi è caduto il velo. Conoscendo la storia vedi che è fata di uomini, spesso geniali ma non sempre buoni. Oggi mi sento vicino al Misticismo.

Credo che siamo parti intelligenti e luminose di una luce più grande, e non lo sappiamo. Così come le nostre cellule non sanno di essere parte di un tutto che è il nostro corpo, ma ognuna fa quello che deve fare e il nostro corpo funziona. Così ognuno di noi fa parte di una cosa più grande, e la missione è collegarsi con quel sapere, e trovare che cosa è venuto a fare. E poi farla con umiltà, portare questa luce agli altri. 

L’artista più di tutti. Perché la gente si fida dell’artista, vedi questo quartiere un po’ difficile, c’è di tutto qui, ma tutti si fidano dell’artista. Perché l’artista non si compra, non si corrompe, ha bisogno di poco, e regala bellezza.”

E qui tocchi un altro tasto. L’artista non si compra, ma l’artista deve vivere. Come fa a vivere senza vendere l’anima?

“Scrivi cosi: fa La Fatica. Una fatica enorme, ma che ha un senso. Perché quando arriva una galleria e ti compra le opere e finalmente hai i soldi che credevi di aver bisogno, ti rendi conto che qualcosa del desiderio si spenge, finisce, e capisci che la felicità stava nella strada, non nella meta. E se non vende, e se quella galleria non arriva, l’artista cerca un altro lavoro, dorme meno, vive con poco, ma ha trovato la sua strada, è felice. Quando uno trova la sua strada, il messaggio da trasmettere,  è come se si collegasse a qualcosa di superiore, e diventa cosi luminoso che è difficile non guardare, e illumina tutto a suo passo."

Qual è il tuo rapporto con il buio?

"E’ una domanda interessante per me, perché sempre ho pensato al mio rapporto con la luce. 

Ti rispondo dal misticismo universale, che seguo da tanto. Noi siamo in una dimensione dualistica adesso: luce - buio, positivo - negativo, dio - satana. E siamo noi che dobbiamo scegliere da quale parte stare. Questa è una prova per ognuno di noi. Io ho deciso di stare dal lato della luce, e in questo lato vorrei rimanere, ricevendo e donando luce. 

Il mio rapporto con il buio lo vedo come un mezzo per valorizzare, per mettermi alla prova, perché se non esistesse non ci sarebbe prova, tutto sarebbe luce. Credo che Rembrant disse “la scintilla di una candela in una stanza buia illumina come un sole”, se tutto fosse luce questa candela non si vedrebbe nemmeno. 

Quello che fa la differenza tra umani e gli angeli del monoteismo, che vivono nella luce, e che gli essere umani abbiamo la prova da superare, dolorosa e difficile, per arrivare alla luce. Un altra differenza nostra con gli altri esseri è che noi possiamo amare, innamorarci.

Las nostra luce è bloccata in questo tempo. Le mie opere diventano sempre più minimaliste, perché credo che la gente ha bisogno di meno, in generale. Siamo saturi di informazioni, luci artificiali, colori, schermi che scorrono, notizie del mondo intero, interazioni, tecnologia. Questo ferisce, fa ammalare. Io come artista voglio dare respiro alla gente, riposo, bellezza. Questo è il significato di Nour: Luce, è questo voglio portare.”

Nota dell'intervistatore: ho visitato i quadri in cattività e ho portato loro uno sguardo (è ciò che bevono i quadri) stanno bene e sanno che manca poco alla loro liberazione. Vi inviterò ad andare a trovarli quando sarà il momento, nel frattempo potete andare a trovarlo quando volete. 

Grazie Mahmoud.




Mahmoud Saleh Mohammadi - Spazio Nour

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Mercedes Viola