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Garlasco, Alberto Stasi nell’intercettazione (mai ascoltata) con il padre

Garlasco, Alberto Stasi nell’intercettazione (mai ascoltata) con il padre

Le nuove intercettazioni del 2007 riemerse sul caso di Garlasco riportano al centro Alberto Stasi: la telefonata con il padre Nicola pochi giorni dopo l’omicidio di Chiara Poggi rivela timori e preoccupazioni. L’assenza di un alibi spaccò la comunità tra colpevolisti e innocentisti, e nel 2025 la storia si ripete con un nuovo indagato.

La vicenda di Garlasco, fin dall’omicidio di Chiara Poggi del 2007, ha diviso l’opinione pubblica: da una parte chi ha sempre creduto nella colpevolezza di Alberto Stasi, condannato per il delitto, e dall’altra chi invece ha sempre nutrito dubbi sulla ricostruzione dell’accusa. A fomentare questa spaccatura spunta una nuova intercettazione con protagonista Stasi, a pochi giorni dalla diffusione di quelle su Andrea Sempio, attuale indagato per lo stesso omicidio.

La conversazione telefonica, andata in onda in esclusiva a Quarta Repubblica, coinvolge l’allora ventiquattrenne e suo padre Nicola Stasi, ed è stata registrata il 23 agosto 2007, quando le indagini erano ancora nelle fasi iniziali e nessun nome era stato ufficialmente iscritto nel registro degli indagati.

Garlasco, Alberto Stasi nell’intercettazione (mai ascoltata) con il padre
Alberto Stasi con il padre Nicola scomparso il giorno di Natale del 2013

La telefonata del 23 agosto 2007

Nella telefonata intercettata, Alberto Stasi appare profondamente provato e sconsolato: a dieci giorni dalla morte della fidanzata, esprime al padre tutta la sua angoscia per la piega che stavano prendendo gli eventi. «Peggio di così non poteva andare, la persona sbagliata al momento sbagliato e nel luogo sbagliato», afferma Stasi con tono preoccupato, aggiungendo: «Se non trovano altro se la prendono con me». La consapevolezza di essere già considerato un sospettato si fa strada, nonostante gli inquirenti non avessero ancora formalizzato accuse specifiche.

Anche il padre lascia trasparire una certa inquietudine: «Non è possibile che sia tutto contro di noi», risponde, «bisogna avere un po’ di fiducia ed essere un po’ ottimisti». Nel tentativo di rassicurarlo, Nicola Stasi fa riferimento alle analisi scientifiche in corso: «La nostra speranza è che trovino subito qualcosa da queste indagini su tutti quei reperti che hanno lì a Parma, se no è la nostra rovina».

Il riferimento era ai numerosi elementi sequestrati sulla scena del crimine, tra cui campioni di DNA, impronte e indumenti inviati ai Ris per gli esami, che inevitabilmente avrebbero concentrato i sospetti sul figlio, unico presente in casa secondo la sua stessa versione dei fatti. Alberto Stasi aveva infatti dichiarato agli inquirenti di essere entrato nella villetta della fidanzata quella mattina, di averla trovata già morta e di aver chiamato il 118 solo dopo alcune ore: «Credo che abbiano ucciso una persona, non ne sono sicuro, forse è viva». Parole che fin da subito avevano sollevato perplessità nella sua ricostruzione dei fatti.

Non è la prima intercettazione della famiglia Stasi a essere resa pubblica. Già a luglio 2025, un’altra conversazione, questa volta risalente ai giorni immediatamente successivi al delitto, coinvolgeva il padre Nicola e un parente. Quella telefonata girava intorno all’interrogatorio subito dal figlio e spiccava una frase che aveva suscitato molto clamore: «Il problema è che non c’è un alibi».

La condanna del 2014

I timori espressi da Alberto Stasi e dal padre nelle intercettazioni del 2007 si sono poi rivelati fondati: dopo un lungo iter giudiziario, Stasi è stato condannato in via definitiva nel 2014 a 16 anni di reclusione per l’omicidio di Chiara Poggi. Nonostante le assoluzioni in primo e secondo grado, la sentenza della Corte di Cassazione ha confermato la condanna. Il padre, scomparso nel 2013, non ha mai saputo dell’esito del processo, né che dal 2025 al figlio fosse stata concessa la semilibertà.

Per chi ha seguito da vicino il caso, le intercettazioni confermano quanto emerso nel corso del processo: Alberto Stasi era consapevole fin da subito della fragilità della propria posizione e della mancanza di elementi a suo favore. Il riferimento al fatto di essere «la persona sbagliata al momento sbagliato e nel luogo sbagliato» è interpretabile in diversi modi, ma certamente rivela l’angoscia di chi si sentiva già considerato colpevole dall’opinione pubblica e dagli inquirenti. Una storia che si ripete: stesso omicidio, una comunità divisa, ma con un altro indagato.

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