
L’area interessata alla contaminazione radioattiva in Europa dopo l’incidente del 26 aprile 1986

Tecnici al lavoro durante le operazioni di delimitazione della zona di pericolo attorno alla centrale nei giorni successivi alla tragedia.

Lavori aerei di decontaminazione dell’area della centrale nel maggio 1986

L’incendio al reattore numero 4 in seguito all’esplosione del 26 aprile 1986

Veduta aerea della centrale di Chernobyl. All’interno del reattore esploso si formò la lava radioattiva, che disperse letali quantità di uranio 235 nell’atmosfera.

Controlli del livello di radioattività dei veicoli in uscita dai 30 km della zona interdetta il 10 maggio 1986

Neonati in una clinica nei pressi di Kiev nel maggio 1986.

Uno degli ingegneri nucleari di Chernobyl sottoposto ad esami clinici nei giorni successivi alla tragedia. furono 31 i lavoratori morti nei giorni seguenti l’esplosione

La sala di controllo del reattore nucleare di Chernobyl fotografata il 2 giugno 1986

Un tecnico durante la misurazione del livello di radioattività vicino al reattore 4 di Chernobyl

Un agricoltore svedese lavora indossando una tuta anti radiazioni qualche giorno dopo l’incidente di Chernobyl.

Sfollati dall’area di Chernobyl accolti a Ternopolskoye , nei pressi di Kiev, nel settembre 1986

Ruota panoramica abbandonata al luna park di Pripyat, la cittadina ucraina attigua alla centrale di Chernobyl

Tecnico al lavoro sulla sommità del reattore 4 un anno dopo la tragedia.

Lavori di bonifica sopra il reattore dopo l’incidente con un elicottero dell’esercito sovietico.

Abitanti di Ilyintsy, villaggio all’interno della zona d’interdizione, ricevono aiuti alimentari dal governo di Kiev nel 2005

Relitti di elicotteri e mezzi militari dell’ex Armata Rossa abbandonati dopo l’intervento di bonifica alla centrale di Chernobyl

Ivankiv, Ucraina. Bimbi di 7 e 8 anni in attesa di esami clinici per l’eventuale contaminazione da cesio 137 nel febbraio 2016.

Il memoriale delle vittime della sciagura nucleare di Chernobyl nel novembre 2015

Una vecchia Lada “Zhiguli” abbandonata nella foresta attorno a Chernobyl fotografata alla fine del 2015

Bambini in un reparto oncologico di Minsk
Alla 1:23 del mattino, un tremendo boato squassava il silenzio della notte di Pripyat, cittadina del nord nell’Ucraina al confine con la Bielorussia.
Nelle immediate vicinanze del centro urbano sorgeva una delle più grandi e vecchie centrali nucleari costruite dai sovietici, con 4 reattori da 1000 megawatt: la centrale di Chernobyl.
L’incidente fu dovuto alla negligenza dei tecnici durante un test del sistema. Senza pensare alle conseguenze catastrofiche di una simile pratica, fu disinnescato il sistema di sicurezza ed il raffreddamento ad acqua del nucleo.
Il surriscaldamento del reattore fu repentino e i gas di xeno generarono la prima delle tre grandi esplosioni, talmente forte da scagliare in aria il coperchio in acciaio del reattore da 1.000 tonnellate. Per due giorni divamparono fiamme altissime, cariche di materiale radioattivo letale. Due tecnici morirono immediatamente dopo l’esplosione, altri 30 morirono per l’esposizione alle radiazioni nelle ore successive.
Le autorità sovietiche applicarono stretta censura sull’accaduto, anche all’interno del Paese. Tanto che i 40.000 abitanti di Pripyat non furono evacuati se non 36 ore dopo l’incidente e molti furono così esposti alla pioggia radioattiva che cadde in quelle ore.
Inizialmente i gestori dell’impianto chiesero solamente consigli ai tecnici esteri sulla gestione dei fuochi seguiti all’incendio, ma ben presto fu chiara al mondo l’entità della sciagura, che già segnava per sempre i destini di oltre 70.000 abitanti già gravemente contaminati. La nube radioattiva procedette speditamente nel cuore dell’Europa continentale, prima di tutto in Scandinavia, per poi giungere a lambire i paesi mediterranei, tra cui l’Italia.
Il sarcofago di cemento per l’isolamento dei resti del reattore fu costruita a partire dal 9 maggio 1986. Le vittime tra gli addetti alla bonifica sono state calcolate in circa 4.000 persone, mentre gli sfollati dal raggio di interdizione di 30 km saranno 150.000.
I dati sulle vittime civili a causa dell’esposizione alle radiazioni non sono mai stati ufficialmente divulgati, ma si calcola che oltre 2 milioni e 400mila persone siano state raggiunte dalla nube di Chernobyl. Il tasso di malformazioni tra i bimbi nati dopo la sciagura nell’area della centrale si è innalzato drammaticamente, mentre in territorio ucraino l’incidenza dei tumori alla tiroide è decuplicato rispetto alla media registrata prima dell’incidente.
Nessuno potrà tornare a vivere nella zona d’interdizione almeno per altri 120 anni, e la città-fantasma di Pripyat rimarrà silenzioso memento della più grave sciagura nucleare di tutti i tempi.