Gabriele D'Annunzio
Mondadori
Costume

Io e Gabriele D'Annunzio

Dedicarsi anima e studi al Vate, raccontandone opere, imprese, amori, modernità. «È stato il primo influencer» dice Giordano Bruno Guerri, che presiede il Vittoriale e ora pubblica una biografia su di lui.

Pianificare la propria vita come un’opera d’arte. In molti si illudono e ci provano, finora uno solo c’è riuscito: Gabriele D’Annunzio. A raccontare l’impresa non può che essere il Virgilio del Vittoriale degli Italiani, Giordano Bruno Guerri, che da 15 anni è presidente della Fondazione e assicura che passeggiando fra le vestigia «con lui ci parlo ogni giorno e non sono matto». Comincia così la biografia del Vate, D’Annunzio, la vita come opera d’arte (Rizzoli), indispensabile per conoscere un uomo e un luogo immersi nella bellezza. E, sorpresa delle sorprese, nella modernità.

Giordano Bruno Guerri, qual è il segreto per trasformarsi in un capolavoro?

Cominciare a crederci da piccoli. È una frase che attribuisce al protagonista de Il Piacere, scritto a 26 anni. Ma già prima la pensava così, a 16 anni, quando pubblicò la raccolta di versi Primo Vere. Era il periodo in cui, per lanciare l’opera, diffuse la notizia della sua morte. Fin da allora aveva il culto di sé stesso e teneva tutto ciò che scriveva, anche la lista della spesa. Oggi non facciamo che comprare i suoi autografi. Segno del successo del personaggio, i prezzi aumentano.

Lei lo descrive come il padre degli influencer.

Lui fu l’influencer degli influencer, trovò modi e stili per influenzare l’opinione pubblica. Lo fece con scritti, immagini, atteggiamenti. A lungo fu giudicato male dalla borghesia piccina di fine Ottocento perché dava scandalo. Oggi tutti rivendichiamo la libertà politica, sessuale e quell’amore per il lusso che si traduce in consumismo. Se non è modernità questa, cos’è?

Tutti i rettori del Vittoriale si definiscono vedove di D’Annunzio.

La Fondazione protegge e valorizza l’immagine del Vate. Io l’avevo fatto anche prima, con l’altra biografia L’amante guerriero. Ma proteggere significa anche smontare i pregiudizi, il più grosso dei quali è quello del D’Annunzio fascista. Se i precedenti presidenti erano vedove del poeta io mi definisco amante, è più divertente.

Come preserva la memoria di colui che sfugge a ogni catalogazione?

Per statuto la Prioria, quella che fu l’ultima sua dimora, deve rimanere immutata. Dal 1938 nessuno l’ha mai toccata e tantomeno io. Il parco invece va ravvivato con opere d’arte contemporanee, mostre, iniziative artistiche. Nessuno deve poter dire del Vittoriale: io l’ho già visto. Questa frase è la morte dei musei come dei film. Ora gli edifici sono tutti restaurati e i dieci ettari di parco sono a disposizione del pubblico. Questo per rispettare il suo motto: «Finché vive, vivrò». Il Vittoriale è stato completato nel 2020, a 82 anni dalla sua morte. Fra mille anni sarà ancora qui e spero di esserci anch’io...

Qual è stato il suo primo incontro con D’Annunzio?

Al liceo era intoccabile e si saltava a piè pari come Filippo Tommaso Marinetti. Conoscevo la Pioggia nel pineto che cadeva sulla Cavallina storna e niente di più. Mentre studiavo Giuseppe Bottai per la tesi di laurea trovai in archivio una lettera di D’Annunzio e allora venni al Vittoriale a cercare quelle di Bottai. Il rettore di allora mi portò nella Prioria e rimasi fulminato.

Alberto Arbasino sosteneva che lui è «il cadavere in cantina» dell’Italia.

Lo era perché la cultura ufficiale lo voleva nascondere. Per me l’imperativo era toglierlo dalla cantina e mostrarlo alla gente. Il pregiudizio era essenzialmente politico, il solito presunto legame con il fascismo.

Difficile andare oltre certe semplificazioni.

Il regime prese da lui i discorsi al balcone, «eia eia alalà», la filosofia del «me ne frego», tutta l’esteriorità. Ma non prese ciò che era profondo, per esempio la Carta del Carnaro che oggi potrebbe valere una Costituzione moderna, dove le donne non solo potevano votare ma essere elette, dove la società multiculturale e multietnica era una realtà contemplata. Il fascismo si impossessò della sua immagine pubblica senza che lui fosse fascista.

La Storia però la scrivono i vincitori.

Tranne che per D’Annunzio. Su di lui è rimasta per decenni la versione di Mussolini, la sua storia l’hanno scritta i vinti. Lo teorizzò Renzo De Felice, lo si ripete nei convegni. Ma per far arrivare la verità alle persone occorrono tempo e lavoro. Per fortuna l’aumento delle visite scolastiche al Vittoriale dice che ci stiamo riuscendo.

Avete numeri davvero importanti.

E ne siamo felici. Nel 2019 abbiamo avuto 279 mila visitatori, dopo il gelo della pandemia siamo risaliti a 267 mila. Ad oggi abbiamo il +40 per cento rispetto all’anno scorso, finiremo per superare i 300 mila. Una clamorosa rinascita. E i conti sono sempre in attivo, pur con investimenti annuali da mezzo milione di euro. Da noi con la cultura si mangia, anche il caviale.

D’Annunzio fu l’uomo delle imprese folli. Quale fu la più straordinaria?

L’impresa di Fiume. Un poeta che conquista una città senza sparare un colpo e la tiene per 16 mesi come un regno di caos allegro è un unicum mondiale. Se una storia simile fosse stata americana, oggi avremmo un centinaio di film di Hollywood a raccontarla. Nell’immaginario invece il volo su Vienna rimane immortale.

È curioso che nel basso della coscienza popolare rimanga la storia delle costole, che è una fake news.

Si sarebbe tolto una costola per donare piacere orale all’amata. D’Annunzio è il poeta italiano più cliccato del mondo dopo Dante, ma su Google compare appaiato alla parola «costole». Qualsiasi stravaganza sessuale veniva attribuita a lui, come le goffe ingenuità ai carabinieri nelle barzellette anni Ottanta. Eppure la sessualità dannunziana era semplice: da ragazzo amava le donne mature, da vecchietto le giovani. Fantasie comuni a tutti gli uomini, l’eccezionalità sta nel fatto che lui ci riusciva.

Se oggi vivesse, come giudicherebbe Giorgia Meloni a palazzo Chigi?

Nella Carta del Carnaro la parità dei sessi è un punto fermo. Fino alla Prima guerra mondiale la donna viene illustrata come fragile e svenevole, lui la rende moderna, snella, dinamica, che guida l’auto e fuma sigarette. Sarebbe contento della Meloni capo del governo e pure nel veder riaffiorare i valori nazionali; non era fascista ma era nazionalista. Sarebbe anche a favore delle libertà sessuali, oggi bandiera della sinistra.

Natura, libertà, amore per gli animali. Era pure ecologista?

Non amava le gabbie lessicali ma il suo rapporto con la natura era fortissimo. Animali, alberi, acqua, li amava tutti. Abbiamo tante immagini di cani: levrieri, molossi, alani. E gatti, cavalli. Aveva un rispetto assoluto per gli uccelli. Durante la Prima guerra mondiale aveva il diploma di colombiere. Abbiamo al Vittoriale i colombi viaggiatori, Velivolo e Fusoliera, con due piccoli, Ardito e Audace. Tutti nomi suoi.

L’anno scorso avete lanciato il progetto D’Annunzio in 3D.

Conservare il passato non significa stare fermi. Qui si corre nel futuro. Oggi si può visitare la Prioria online, navigare tra le stanze della casa museo e dei giardini con una app e lo smartphone. Grazie al pronipote Federico D’Annunzio abbiamo lanciato il primo Nft (non fungible token, certificati di proprietà su opere digitali, ndr); è la Cheli, la celebre tartaruga in bronzo. Faremo un’asta a maggio. Oggi un museo deve guidare le tendenze.

Un tuffo nel Metaverso. Che avrebbe detto il Vate?

Gli sarebbe piaciuto da pazzi: amava la tecnologia. Fu il primo a dire a Benito Mussolini di far mettere il tachimetro sulle automobili. Dava consigli a Caproni e Agnelli sul funzionamento degli aeroplani. Era consapevole che un’opera d’arte vitale è sempre in movimento. In uno dei voli sperimentali, planando sul lago di Garda, scoprì Sirmione e si innamorò della penisola.

Perché proprio di quella?

Perché sembrava la calza di seta rovesciata di una donna. Finiva sempre lì.


I più letti

avatar-icon

Giorgio Gandola