​Moreno Cedroni
(foto di Lorenzo Cicconi Massi)
Costume

Moreno Cedroni: «I miei primi 40 anni»

Gli inizi come cameriere, poi l’avventura di ristoratore vissuta, da sempre, insieme con la moglie. Il «due stelle Michelin» si racconta a Panorama, dall’anniversario del primo locale, La Madonnina del Pescatore di Senigallia, alla voglia di sperimentare. Sue invenzioni: i salumi di pesce e le frollature. E sul cibo sintetico sentenzia: «Non lo cucinerò né ora né mai».

La costoletta di rombo, gli spinosini alle vongole a mo’ di cappuccino, il «suscì» che in anconetano vuol dire «così, a modo mio» una partita col gusto del pesce d’Adriatico da giocare nelle dodici caselle di una scacchiera di cristallo, il bounty di seppia al cioccolato. È l’antologia di Moreno Cedroni, di un ragazzo ora maturo, che cucina in forma di letteratura. Poco ha concesso alle mode, molto si è dedicato a studiare i modi diffusi nel mondo per rendere il cibo un fenomeno di cultura, un testimone di identità, un pretesto di creatività. Sfogliamo quest’album di gastro-fotografie a cavalcioni del muretto che delimita il suo orto in spiaggia, con il Levante che porta gocce di salmastro all’ombra di quell’edicola sacra a cui da sempre si volge chi dalla battigia della Marzocca di Senigallia prende il mare. Siamo alla Madonnina del Pescatore (due stelle Michelin)che è anche insegna di un approdo sicuro per chiunque abbia del cibo un’idea che va oltre la soddisfazione del bisogno alimentare. Moreno 2024: quarant’anni di Madonnina del Pescatore, il 9 luglio sessant’anni, di cui trenta con Mariella Organi la regina della sala, nonché sua moglie.

E da ora in poi?

Altri quaranta anni di ricerca, di studio, di voglia di felicità per noi e per chi viene da noi. Non a caso il menù della Madonnina per i quaranta anni è ispirato a Marco Polo, al viaggio, allo stupore incantato della scoperta. Partiamo dalle moleche veneziane per arrivare al piccione alla cinese. È un menù che è racconto di viaggio e diario intimo. Dove c’è dentro tutta la mia emozione:
da quando ho aperto non sapendo nulla di cucina a quando con Mariella ho scoperto l’amore che mi ha dato la spinta per andare oltre e per esplorare il nostro desiderio di buono a quando, con il sous chef Luca Abbadir che è l’altro me, abbiamo sentito il bisogno di autenticità.

Lei nasce col brodetto, poi lo abbandona. Si mette la bandana poi la butta alle ortiche. Si immerge nell’eresia di Ferran Adrià e poi torna a casa. La sua cucina è una continua risacca di curiosità, un’inquietudine creativa?

La mia cucina sono io. Ho iniziato per amore del mare. Mentre facevo l’istituto nautico, da ragazzino, d’estate, facevo la stagione come cameriere e ho sentito che potevo tenere insieme
il mare, la cucina di mamma e di nonna che mi hanno sempre ispirato con la propensione all’incontro. Così è nata la Madonnina del Pescatore, la mia trattoria dove io facevo il cameriere e cercavo di rubare ai miei cuochi la tecnica. Ho impiegato cinque anni prima di decidermi a prendere una padella in mano. Allora era brodetto, era grigliata, era fritto misto. Attorno a me però il mondo cambiava. Gli stimoli erano continui ed è cominciata la ricerca. Sono sempre stato attento, e in questo come in tutta la mia vita, Mariella è stata decisiva nel non tradire i clienti. Li ho accompagnati nel mio percorso, alcuni mi hanno lasciato e ne sono arrivati di nuovi, ma è stata un’evoluzione continua.

E ora è tornato al brodetto.

Sono tornato al sapore del brodetto. Perché c’è un obbligo che chi cucina deve sempre rispettare: il sapore. Si può fare un non brodetto nella struttura del piatto, ma se la dichiarazione che fai è: ti propongo un brodetto, deve sapere di brodetto. Le sue sono sempre scelte d’avanguardia: ha fatto per primo i salumi di pesce, ha fatto le pizzette, ha aperto locali come Anikò e il Clandestino, ha imposto la frollatura del pesce e ha fatto sperimentazione di cotture diverse, ha prodotto le conserve di pesce.

Anche come chef patron è andato oltre?

La constatazione più divertente e lusinghiera è che quando ho fatto i salumi di pesce, copiando dagli antichi romani, tutti mi snobbavano. Oggi ce l’hanno tutti in menù. Ho aperto Anikò ad Ancona come salumeria di pesce, oggi si è evoluto. Il Clandestino è stato una scommessa di fascino e oggi è un punto d’eccellenza. Le frollature dei pesci le ho interpretate come valorizzazione del pescato, così come tutti oggi hanno cominciato a capire le fermentazioni che io ho scoperto in Oriente. Le raccontano come una grande innovazione, per le nonne orientali sono come le nostre marmellate. Non nascondo che il Giappone mi ha dato immensi stimoli.

Il Clandestino è il suo laboratorio di fascino gastronomico?

È anche la mia isola di benessere: il rapporto col mare li è assoluto. A Portonovo ho una dimensione di totale libertà e spesso i piatti pensati per il Clandestino poi migrano nel menù della Madonnina. Riapriamo in questi giorni e ho fatto un’altra ricerca. Il menù è ispirato alle donne che hanno cambiato il mondo: Indira Gandhi, l’ambientalista keniota Wangari Maathai, l’antica guerriera giapponese Tomoe Gozen, Frida Kahlo, Ella Fitzgerald, Coco Chanel, Virginia Woolf e la deputata Angela Bottari appena scomparsa. Dalla scrittrice alla donna samurai c’è in quel percorso tutto l’universo femminile.

Ha sempre avuto squadre che l’hanno seguita per anni, ha valorizzato chi lavora con lei. È un ingrediente del successo? Che ne pensa di chi dice: non si trova personale?

È indispensabile che tu abbia la squadra, senza non puoi sperimentare e al tempo stesso garantire continuità di qualità. Lo stesso vale per la sala: devi avere una costante di riferimento con i clienti. Io non credo al cuoco «one man show». Quanto al fatto che non si trova personale ci sono due aspetti: il primo è che i tuoi devi farli crescere, farli star bene e renderli protagonisti di un’impresa comune. Detto questo però se vai all’estero vedi in cucina plotoni di stagisti, vedi una maggiore libertà dell’impresa nella gestione del personale che per aziende come le nostre è indispensabile.

Lei in sala però ha sua moglie Mariella…

Be’ sì, ammetto che poter contare su di lei è un dono. Nel suo libro Multipli di venti citava il 2024 come traguardo. E ora? Curiosamente quel libro è uscito nel 2004! Sì, avevo indicato il 2024 come un futuro ipotetico, ma ora è qui e dunque rinnovo la ricerca tornando però anche al passato. Uno dei nuovi menù si chiama: «Ricordi d’infanzia & Mariella». Perché sento il bisogno di una rigenerazione.

Le dispiace che Matilde, sua figlia, non pensi alla Madonnina?

No, non mi dispiace. Lei è libera di fare le sue scelte, come sono stato libero io. Ho cominciato per passione e curiosità arrivando alle due stelle Michelin. Lei ha i suoi traguardi, spero li raggiunga. Ma se dovesse un giorno dirmi: papà voglio provare con la cucina non nascondo che ne sarei felice.

Ultima considerazione. Lei ha sperimentato di tutto: si sente pronto per il pesce creato in laboratorio, per la carne coltivata?

No, non sono pronto e penso che non cucinerò quegli alimenti né domani né mai. Il cibo è cultura, dono, scoperta; non può essere solo merce. Semmai si preoccupino della salute del mare se vogliono uomini sazi e felici.

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Carlo Cambi

Toscano di nascita e di formazione (economico-giuridica) diventa giornalista professionista a 23 anni. Percorre tutto il cursus honorum a Repubblica fino a dirigere le pagine di economia. Nel 1997 fonda I Viaggi di Repubblica - primo e unico settimanale di turismo - che dirige fino al 2005 quando sceglie di vivere a Macerata insegnando marketing del territorio e incontra Maurizio Belpietro col quale stabilisce un sodalizio umano e professionale. Autore radiofonico e televisivo continua a occuparsi di economia ed enogastronomia. Ha scritto una trentina di libri. Il suo best seller? Il Mangiarozzo.

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