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(Ansa)
Difesa e Aerospazio

La Serbia è amica di Putin ma compra i caccia Rafale dalla Francia

Per la prima volta Belgrado «tradisce» la Russia in campo di armamenti

I governi di Belgrado e Parigi sarebbero ormai vicini alla firma per la vendita di 12 caccia bombardieri Dassault Rafale alla Serbia, per un valore pari a circa 570 milioni di euro. Se la trattativa andrà a buon fine per il Paese balcanico si tratterà del secondo importante segnale di rottura rispetto a passato, poiché storicamente in fatto di armi esso è tradizionalmente legato alla produzione russa. La Serbia è una delle nazioni che nella sua storia ha rifiutato di entrare a far parte della Nato ma che recentemente ha votato un aumento di budget delle spese militari da 1,1 a 1.7 miliardi di euro.

Dopo aver avanzato la domanda per entrare a far parte dell’Unione europea, oltre vent’anni fa, Belgrado pare ora voler proseguire in una politica di riequilibrio rispetto al passato, quando la Serbia era alleata – ed allineata – con la Russia. Il primo episodio di distacco dall’industria di Mosca si era visto nel 2018, quando fu perfezionato il contratto di fornitura per elicotteri H145M prodotti da Airbus per rimpiazzare i vecchi Mi-35, quindi nel 2020 quando iniziarono le trattative con Pechino per droni cinesi tipo Hq-22. Al momento l’aviazione serba vive un momento di criticità: in servizio ha soltanto nove esemplari di MiG-29 sui 14 posseduti e ricevuti, usati, a partire dal 2017 in parte da Mosca e in parte dalla Bielorussia, oltre a una dozzina di Soko J-22 Orao idonei per l’attacco al suolo ma anch’essi superati in quanto a sistemi elettronici di bordo.

I budget della Difesa serba sono comunque limitati, dunque Belgrado sarebbe disposta a farsi cedere dalla Francia aeromobili usati esattamente come fatto da Grecia e Croazia mesi fa, valutando in seguito l’acquisto di qualche unità di nuova realizzazione. Per Dassault l’occasione è importante per affermare la propria presenza industriale nei Balcani, mentre per il governo di Macron si tratterebbe di un’altra vittoria che lo vedrebbe ampliare l’area di influenza, ma al tempo stesso porsi in una posizione d’imbarazzo nei confronti della Croazia, poiché le due forze armate avrebbero le medesime capacità operative. Ma soprattutto per Parigi sarebbe una mossa che potrebbe irritare gli Stati Uniti, i quali vedono ancora nel governo del presidente Aleksandar Vucic un alleato di Putin che si sta però armando anche con prodotti cinesi.

C’è poi la questione turca: Belgrado vorrebbe acquistare da Ankara anche droni Tb-2 nonostante i rapporti tesi tra le due nazioni, ma pare una scelta dettata dalla dimostrazione di efficacia ottenuta dalle forze ucraine contro quelle russe e dal costo contenuto della commessa. A complicare le cose c’è poi il fatto che la Serbia non stia prendendo una posizione ferma contro la guerra in Ucraina, seppure in quanto candidata all'adesione all'Ue affermi di rispettare la sovranità di Kiev, con la quale ha in comune il fatto di non riconoscere l’autonomia del Kosovo. E fece lo stesso nel 2014 quando Putin attaccò la Crimea, rifiutandosi anche in quel momento di porre sanzioni a Mosca. Infine, dal 2011 la Serbia ospita sul suo territorio diverse basi militari russe travestite da centri umanitari, strutture che verrebbero utilizzate come centro operativo per le spie del Cremlino, rimanendo politicamente legata alla Russia per la necessità di essere sostenuta nell’ambito delle Nazioni Unite riguardo al Kosovo, che invece è parte della Nato. Di fatto quindi Belgrado attua una politica atta a rafforzare il proprio potere contrattuale su questioni come la sicurezza europea ma continuando a non rischiare di compromettere i rapporti con Putin o di perdere la possibilità di attingere a fonti energetiche a basso costo come il gas russo.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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