Bus a guida autonoma, oltre all'omologazione, devono prima imparare la strada
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Tecnologia

Bus a guida autonoma, oltre all'omologazione, devono prima imparare la strada

I mezzi sarebbero pronti ma mancano autorizzazioni e strutture

Tutti i sindaci vorrebbero bus elettrici a guida autonoma, ma occorre trovare l'equilibrio tra la tecnologia più avanzata e quella oggi applicabile, ed anche insegnare alle macchine le caratteristiche dei percorsi da fare. Si potrebbe definire così la via tecnologica da percorrere affinché anche in Italia si possano iniziare a utilizzare mezzi di questo tipo.

Le dimostrazioni avvenute negli ultimi sei mesi a Merano e Torino hanno messo in luce che se dal punto di vista della sicurezza i nuovi mezzi offrono sufficienti garanzie per poter circolare, ciò che ancora manca sono i protocolli standard e le autorizzazioni del Ministero dei Trasporti, che sta cercando un'intesa internazionale con le omologhe istituzioni europee.



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Eppure noi italiani eravamo stati tra i primi in Europa: nel maggio 2018 era scaduto l'avviso pubblicato dalla società dei trasporti milanesi per la sperimentazione di un sistema di trasporto pubblico che avremmo dovuto veder circolare nelle vie attorno lo scalo ferroviario di Porta Romana, nell'area dove sta sorgendo il Symbiosis. Sarebbe stato un percorso di poco più di 1.200 metri in tutto, ma significativo. Purtroppo mai visto.

Aziende produttrici di mini bus da 10-15 posti ce ne sono ormai molte, e seppure certamente poco più di 25 km orari di velocità e meno di dieci ore di autonomia, queste per esempio le caratteristiche del modello francese Navya, restano un limite per l'utilizzo continuo in ambiente urbano, sono invece prestazioni sufficienti per rappresentare una soluzione valida laddove il percorso resti all'interno di aree pedonali, campus universitari, centri storici.

Poco prima di Torino a dare dimostrazione delle potenzialità di un bus autonomo è stata Merano grazie al progetto italo-svizzero Mentor, che invece si è rivolto alle periferie e alle aree meno servite dai collegamenti collettivi e che utilizza un prodotto dell'ingegneria giapponese, il pullmino Gacha già in servizio nel Nord Europa.




La tecnologia è simile, ma il giapponese crea autonomamente anche una mappa digitale del percorso, praticamente imparando le caratteristiche del tragitto. Ed è quello che I bus a guida autonoma devono fare prima di poter essere usati: in mancanza di una infrastruttura viaria che li governi, hanno bisogno di imparare la strada, conoscere la posizione dei passaggi pedonali, di eventuali salite e discese, svolte e incroci.

Tecnicamente sono tre i fattori chiave della progettazione: il mix di sensori e algoritmi che guidano il mezzo (radar, laser-scanner Lidar, riconoscimento dei volumi, infrarosso), la leggerezza della costruzione che fa ampio ricorso ai materiali compositi, non proprio ecologici ma I più adatti allo scopo, e l'utilizzo di led e motori elettrici dell'ultima generazione per consumare meno energia possibile a vantaggio della durata delle batterie. Meno importante è l'aerodinamica, stante la bassa velocità in gioco, e questo, contrariamente a ciò che avviene per le automobili elettriche, rende possibile realizzare forme accattivanti lontane da quelle dei veicoli tradizionali. A bordo non ci sono vere seggiole, le sedute sono ricavate direttamente dagli stampi e sono un tutt'uno con la scocca.

Uno dei problemi iniziali di questi mezzi era la degradazione del funzionamento dei sistemi di guida autonoma in condizioni di cattivo tempo. Fino a poso tempo fa pioggia, ghiaccio e in generale il freddo influivano in modo molto negativo sui sensori e sul rendimento delle batterie di bordo, ecco perché lo scenario adeguato per collaudarli sono stati I Paesi Finnici. Un esempio di "baco di funzionamento" era rappresentato dalla dipendenza dell'autopilota di bordo dalla segnaletica orizzontale delle strade. Laddove era discontinua il computer di bordo poteva soltanto abbozzare ma questo non garantiva il necessario livello di sicurezza. Mentre, al contrario della mobilità classica, la nebbia e il buio non rappresentano un problema per gli "occhi" elettronici.

Oggi un buon veicolo è il Gacha delle società Muji e Sesibile 4, che a Helsinki sta dimostrando di non temere l'inverno.



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Possiede un mix di rilevatori radar e lidar dell'ultima genetrazione e un Gps ad alta precisione e bassa dinamica (cioè calcola la posizione con pochissimo errore ma soltanto a velocità ridotte). Gacha, che rispetto ad altri bus a guida autonoma può raggiungere i 40km/h, è in fase di introduzione nelle città finlandesi di Hämeenlinna, Vantaa, Helsinki ed Espoo. Un piccolo passo avanti nell'introduzione di questi mezzi è stato realizzato durante un evento scientifico organizzato dalla A&M University di Corpus Christi (Texas). Qui la Regional Transportation Authority (Ccrta) ha messo in servizio la navetta senza conducente su un percorso complesso non segregato, ovvero il bus si muove anche insieme al traffico veicolare. In questo caso si chiama Surge ed è il modello EZ-10 della società EasyMile.

Si tratta di una navetta che era arrivata A Corpus Christi nel novembre 2019 e fino alla scorsa settimana ha seguito il suo itinerario da sola, seppur controllata a distanza da un operatore, al fine di realizzare la mappa digitale del percorso che segue strade interne all'università ma aperte al traffico e molto frequentate da biciclette, monopattini, pedoni e moto. Una volta che la raccolta dati è stata sufficientemente completa per garantire all'autopilota di bordo di prevedere anche i punti di maggior congestione è stato inaugurato il servizio. "La nostra priorità in tutti i servizi di trasporto è la sicurezza", ha afferma Jorge Cruz-Aedo, amministratore delegato di Ccrta "Vogliamo garantire ai nostri ciclisti e alla nostra comunità che la guida della navetta autonoma sia sicura". Dunque per poter usare I bus senza conducente, seppure questi debbano sempre essere sotto il controllo di un pilota remoto che può intervenire in qualsiasi momento, occorre in primo luogo facilitarne la sperimentazione e stabilire il protocollo per omologarli. E' un passaggio inevitabile e da effettuare in tempi idonei, senza forzatura ma anche senza troppe resistenze.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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