Se Berlusconi non avesse fatto il Patto del Nazareno
ANSA/ ETTORE FERRARI
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Se Berlusconi non avesse fatto il Patto del Nazareno

Come sarebbe andata? Viaggio nella controstoria politica dell'ultimo anno con un incipit diverso ma lo stesso finale

Contropassato prossimo è il titolo di un bel romanzo scritto da un raffinato autore del ‘900, Guido Morselli. Il libro racconta gli eventi del secolo scorso, partendo da un presupposto immaginario: la Germania ha vinto la Prima Guerra Mondiale. Un divertissement, naturalmente, ma anche un modo per capire come sarebbero potute andare le cose, se…

Proviamo anche noi a riscrivere il nostro "contropassato prossimo". Come se… la mattina del 18 gennaio 2014, un improvviso mal di denti, una visita mattutina di Brunetta, un’indisposizione di Dudu o una qualsiasi altra calamità a scelta del lettore avesse impedito a Silvio Berlusconi di recarsi alla sede del PD, in largo del Nazareno, a concludere il celebre Patto del Nazareno.

Sì, proprio quell’accordo con Matteo Renzi sulla riforme che, secondo alcuni esponenti di Forza Italia, sarebbe all’origine di tutti i guai, e secondo molti commentatori politici sarebbe il capolavoro del leader del PD (il capolavoro, naturalmente, consisterebbe nella capacità molto italica di imbrogliare l’interlocutore). Immaginiamo dunque che l’ingenuo Berlusconi quel giorno fosse rimasto ad Arcore. Cosa sarebbe successo?

Renzi si sarebbe fermato, pazientemente aspettando che le ire di Brunetta e i malesseri di Dudu si risolvessero, e non avrebbe compiuto nessun atto politico nel frattempo? Solo chi non conosce il nostro Machiavellino di Rignano sull’Arno può pensarlo davvero.

La controstoria

Vediamo invece com’è andata, nella nostra controstoria.
È il 25 febbraio 2014. L’incontro del Nazareno come sappiamo non si è svolto. Renzi ha appena ottenuto la fiducia per il suo governo, ma sa che al Senato i suoi numeri sono esigui. Ha 30 voti di margine, ma almeno 24 senatori sono suoi irriducibili avversari. Quando vogliono possono farlo cadere o bloccare qualsiasi riforma, anche solo negandogli il numero legale. Nel frattempo il PD vola nei sondaggi e le aspettative degli italiani sul giovane leader sono altissime.

Che fare, si chiede Matteo nei ristretti conciliaboli con se stesso e con i pochissimi di cui si fida davvero? Tentare di governare esposto ad agguati e a ricatti continui? Sentirsi rinfacciare, fra pochi mesi, di non aver mantenuto le roboanti promesse? Finire incastrato in una melina esasperante come un Enrico Letta qualsiasi?

C’è una riforma che però Matteo ha i numeri e la giustificazione per far passare, con il consenso della minoranza interna. La riforma elettorale, che la sentenza della Corte Costituzionale, emessa un mese prima su ispirazione di Napolitano, rende obbligatoria. Una riforma molto semplice, che non costa neppure fatica agli uffici legislativi: basta rimettere in vigore la vecchia legge, il cosiddetto Mattarellum, quella con i collegi uninominali con cui gli italiani hanno votato dai 1994 al 2001. Per convincere eventuali dubbiosi, basta promettere loro un collegio sicuro e – come vedremo – il PD ne ha da vendere. Si può migliorarla depurandola di una clausola molto complicata e molto contestata da tutti, il cosiddetto "scorporo", grazie al quale chi prendeva pochi voti aveva comunque un po’ di spazio in Parlamento.

Maggio 2014: il Parlamento, nonostante l’ostruzionismo dei grillini e l’opposizione veemente di Forza Italia, approva il Mattarellum senza scorporo. A questo punto Matteo può salire al Colle, spiegare che con un parlamento così diviso, e delegittimato dalla sentenza della Corte Costituzionale, non si può andare avanti. Napolitano prende atto, naturalmente senza obiezioni, come spesso accade quando è il PD ad avanzare una proposta.

Alla fine di giugno 2014, in coincidenza con le elezioni europee, si rinnova anche il Parlamento italiano. Renzi, ottiene il 40%, che significa vincere quasi tutti i collegi, grazie al fatto che i voti del centro-destra e quelli dei grillini non si possono sommare. Dunque il suo PD vince 450 del 475 collegi della Camera, cui si sommano 66 deputati della quota proporzionale. In totale, su 630 deputati, ne ottiene 516, una maggioranza mai vista nella storia. Forza Italia, Lega e Grillini mantengono un modesto diritto di tribuna, 50 deputati a Cinque Stelle, 30 di Forza Italia e 20 Leghisti. Il resto va a Sudtirolesi e Valdostani. Il Senato, fatte le debite proporzioni, ha una composizione simile.

A luglio nasce il secondo governo Renzi, fotocopia del primo con la differenza che al posto dello scomparso Alfano il Ministero dell’Interno viene attribuito alla graziosa Maria Elena Boschi. Nessuno in Italia e in Europa nega che il passo avanti, sul piano dell’estetica, sia stato molto significativo.

A settembre in prima lettura è al Senato la riforma costituzionale. Il nuovo Senato non sarà più elettivo, ma sarà costituito da Sindaci e da Presidenti di Regione. Questo significa che, essendo i Sindaci e i Presidenti in giro per l’Italia per la quasi totalità del PD, c’è la ragionevole certezza che una delle due camere sarà per decenni a venire controllata dalla sinistra. Naturalmente nessuno ha la forza di opporsi, e neppure di minacciare il ricorso al referendum confermativo (che è possibile solo se una riforma costituzionale non ottiene i 2/3 dei voti).

A dicembre 2014 Napolitano annuncia di volersi ritirare a godere la meritata pensione con la signora Clio, e a gennaio 2015 dà effettivamente le elezioni. È convocato il Parlamento in seduta comune.

Renzi riunisce i grandi elettori del PD e annuncia che il loro candidato è Sergio Mattarella. Tutti applaudono entusiasticamente, anche i molti giovani che non sanno neppure chi sia. Naturalmente nel segreto dell’urna i franchi tiratori si scatenano, ma non sono molti (Matteo ha scelto bene i candidati collegio per collegio, in modo da disporre di gruppi parlamentari obbedienti).

Il 29 gennaio 2015 Mattarella dunque è eletto al primo scrutinio, con quasi cento volti in più del quorum necessario.

Il Giorno dopo, nel suo primo, sobrio discorso alle Camere riunite, il nuovo Presidente annuncia che il suo pensiero va alle difficoltà e alle speranze degli italiani, primi fra tutti il conflitto di interessi e l’imbarbarimento culturale imputabile alle TV commerciali.

Capezzone e Fitto rilasciano interviste spiegando che Berlusconi ha sbagliato tutto, che se avesse dato retta a loro avrebbe trovato un accordo con Renzi, ma il cerchio magico glielo ha impedito. Loro però continueranno la loro battaglia.

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