Italicum: perché Renzi ha chiesto la fiducia
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Italicum: perché Renzi ha chiesto la fiducia

Non solo il presidente del Consiglio non si è fidato dei parlamentari del PD ma ha voluto infierire, per mostrarne la debolezza

Nella storia della nostra democrazia parlamentare, solo due volte venne messa la fiducia sulla legge elettorale. Una fu la Legge Acerbo, nel 1923, prodromo della dittatura fascista. Ma in quel caso Mussolini pose la questione di fiducia solo su un singolo emendamento. L’altra fu la legge elettorale del 1953, voluta da De Gasperi, passata alla storia con il nome di "legge truffa" proprio per la feroce opposizione che le mosse la sinistra (in verità per molti versi era una buona legge).

Dunque se non altro la scaramanzia avrebbe dovuto sconsigliare a Renzi di porre la fiducia sulla legge elettorale. Invece la fiducia è stata posta, con l’inevitabile coro di proteste, di perplessità, di reazioni incattivite, di critiche anche da parte della stampa.

Perché Renzi ha voluto farsi carico di una decisione impopolare, e apparentemente non necessaria? Nelle prime votazioni (quelle sulle cosiddette “pregiudiziali) ha ottenuto una larga maggioranza, sia a scrutinio palese che a scrutinio segreto (in questo caso ha funzionato la minaccia ripetuta diverse volte in questi giorni: “se la legge non passa mi dimetto e si va ad elezioni anticipate”. Questo gli ha garantito un ampio sostegno trasversale di deputati, da Forza Italia ai Grillini (ansiosi di non perdere il posto).

Fiducia sull'Italicum: in corso le dichiarazioni di voto


Dunque nessun problema di numeri, al massimo una questione di tempi: senza fiducia, le opposizioni avrebbero potuto tentare di allungare di qualche giorno la discussione. Ma valeva la pena di versare – politicamente – tanto sangue per guadagnare una settimana? Valeva la pena di esporsi all’accusa di aver forzato la mano al Parlamento, imponendo il massimo della spaccatura proprio su una materia (la legge elettorale) sulla quale tutti dicono che occorre il massimo dell’unità? Valeva la pena di forzare i regolamenti della Camera, e di mettere in imbarazzo persino il sobrio Mattarella, con un gesto che è lontanissimo dal suo stile? Valeva la pena di esacerbare la spaccatura interna al PD fino a questo punto?

Il sottile gioco di inganni

Gli esperti di cose del Palazzo la spiegano con un sottile gioco di inganni. È un po’ complicato, ma vale la pena di raccontarlo. Le opposizioni interne al PD, secondo questa tesi, avrebbero evitato di mandare "sotto" il governo nel voto segreto sulle pregiudiziali proprio per attirare Renzi in una trappola. Il premier - nei calcoli degli strateghi della minoranza interna - visto il successo iniziale, si sarebbe sentito tranquillo e non avrebbe messo la fiducia.

Così, in un momento successivo, lo avrebbero potuto battere quando meno se lo sarebbe aspettato, nella votazione su un qualsiasi dettaglio della legge. Come è noto, anche una sola virgola cambiata imporrebbe il ritorno della legge al Senato. E lì, senza l’appoggio di Forza Italia e quello della minoranza interna del PD, sarebbe stato quasi impossibile per Renzi ottenere l’approvazione definitiva.

L’astuto Renzi – raccontano - non si è fidato, ha fiutato la trappola, e proprio per questo ha posto comunque la fiducia. Così il voto è palese, e non ci sono emendamenti: prendere o lasciare la legge nel suo complesso. Se la legge non passa, elezioni anticipate (e ovviamente addio posto in Parlamento per chi – nel PD – ha votato contro).

È una tesi interessante, con una sua demoniaca suggestione, ma non del tutto convincente. Intanto perché richiederebbe, da parte della spappolata minoranza interna del PD, una coesione e un’organizzazione militare da vecchio PCI che oggi è del tutto impensabile. Ma soprattutto perché non fa i conti con il “metodo Renzi”.

Obbiettivo: infierire sui perdenti

Matteo Renzi è il contrario dei politici ai quali siamo abituati. Ragiona in modo opposto. I motivi per i quali nessun altro, al suo posto, avrebbe messo la fiducia, sono proprio quelli per i quali lui l’ha messa.
La partita sulla Legge Elettorale lui l’ha già vinta. Quello che gli interessa davvero, cioè una legge elettorale con la quale ricattare i deputati ansiosi di conservare il posto, l’avrebbe ottenuto comunque.

Oggi il suo obbiettivo è un altro: infierire sui perdenti, in particolare quelli interni al PD, per dimostrarne la debolezza e l’inconsistenza, umiliarli e disperderli. Ha ignorato tutti gli appelli alla mediazione e al senso di responsabilità, proprio per dimostrare loro che non contano nulla. Che possono solo scegliere se adeguarsi o andarsene (scommette che si divideranno anche su questo, molti si adegueranno, alcuni se ne andranno).

Di più, Renzi dimostra che il Quirinale si adegua ai suoi “desiderata”, che la Presidenza della Camera (sempre per ispirazione quirinalizia) forza il regolamento se lui lo vuole, che i giornali dei pochi residui “poteri forti” possono venire tranquillamente ignorati.

È una virtù, questo modo di agire? Visto il discredito del quale soffre il resto della politica, può sembrare una virtù. Di certo Renzi in questo discredito e in questa debolezza affonda il coltello come nel burro, senza scrupoli e senza esitazioni. Se abbia ragione o torto, se sia uno statista lungimirante o un velleitario con ambizioni cesaristiche, lo diranno gli storici del futuro, secondo come andrà a finire (gli storici sono sempre dalla parte dei vincitori). Di certo, non è un personaggio ordinario. Come direbbe Bertolt Brecht “sventurato il popolo che ha bisogno di personaggi straordinari”.

La tensione in aula nei giorni della fiducia sull'Italicum

ANSA/ANGELO CARCONI
Il ministro delle riforme e rapporti col parlamento Maria Elena Boschi con il ministro della difesa Roberta Pinotti (s) alla Camera durante dichiarazioni di voto sulla questione di fiducia posta sull'articolo 1 della Legge Elettorale (Italicum), 29 aprile 2015

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Serenus Zeitblom