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Fermare Trump è ancora possibile? L’ipotesi in campo

I Grandi Elettori chiamati a ratificare il voto popolare dell’8 novembre non hanno l’obbligo di votare Donald Trump, e potrebbero far saltare la sua elezione. Lo prevede la Costituzione

C’è un’ipotesi tanto suggestiva quanto inquietante che riguarda l’elezione formale del presidente americano, che sarà ratificata il 19 dicembre prossimo. Tale ipotesi circola negli ambienti liberal e democratici già dal giorno precedente la cocente sconfitta patita da Hillary Clinton e dal partito dell’asinello. Ed è quella secondo la quale i Grandi Elettori che sono chiamati a confermare il voto popolare, potrebbero indicare un nome diverso da quello di Donald Trump e concorrere così alla nomina di un presidente degli Stati Uniti alternativo. Inverosimile? Non del tutto, lo prevede la Costituzione americana.

Come noto, la Costituzione stabilisce che il presidente e il vicepresidente non siano eletti direttamente dal popolo, ma siano scelti dai cosiddetti Grandi Elettori attraverso un processo chiamato Collegio Elettorale. Si tratta di delegati selezionati prima delle elezioni che si sono distinti per il lavoro svolto per il partito o per il candidato durante la campagna elettorale. Il numero dei Grandi Elettori per ciascuno Stato è determinato da quanti membri del Congresso ciascuno Stato esprime, per un totale di 538 Grandi Elettori (ovvero la somma dei seggi di Camera e Senato più i tre voti di Washington D.C.). Ovviamente, il numero è proporzionato alla popolazione residente: la California, ad esempio, esprime il maggior numero di Grandi Elettori, cioè 55, perché è lo Stato più popoloso d’America. Il piccolo Vermont, ad esempio, ne esprime solo 3.

Nessun vincolo di mandato

Un candidato presidente per vincere le elezioni ha bisogno del voto di almeno 270 Grandi Elettori, cioè uno più della metà. L’8 novembre 2016 Donald Trump ne ha ottenuti 290, contro i 232 di Hillary Clinton, e dunque ha guadagnato virtualmente la presidenza. Formalmente, però, il voto effettivo del Collegio Elettorale si assegna quaranta giorni dopo, cioè in questo caso il 19 dicembre prossimo, nel seguente modo: i Grandi Elettori si riuniscono ciascuno nella capitale dei rispettivi Stati (dunque, non tutti insieme in un’unica assemblea) e poi inviano un verbale a Washington D.C. con la dichiarazione di voto.
Il punto è però che la Costituzione degli Stati Uniti non richiede esplicitamente ai Grandi Elettori di votare secondo l’indicazione del popolo che pure essi rappresentano; non esistendo vincolo di mandato, questa è più che altro una consuetudine consolidata nel tempo. Dunque, se è estremamente raro che un Grande Elettore non segua l’indicazione del voto popolare, ciò nonostante è un evento costituzionalmente incensurabile perché il parere del popolo non è per lui vincolante: nella storia americana, è già accaduto 157 volte.

Un Grande Elettore che esprime il proprio voto contrario alla volontà del popolo è chiamato faithless elector, cioè “elettore infedele”. Ma il suo eventuale comportamento scorretto è punito soltanto in 29 Stati e con sanzioni assai blande, che prevedono una multa di circa mille euro (!), mentre in altri 21 Stati non sono previste pene di alcun tipo.

 

Il sistema americano, dunque, contiene in sé alcune storture che possono portare a un doppio paradosso e a un corto circuito istituzionale: primo, un candidato può vincere una combinazione di Stati e raggiungere i 270 elettori anche senza ottenere la maggioranza dei voti in tutto il paese (è il caso di Trump contro Clinton del 2016 e il caso di Al Gore contro Bush nel 2000); secondo, i grandi elettori possono modificare la scelta del voto popolare e indicare un altro presidente a loro più gradito, perfino votando il candidato del partito avversario. Si aggiunga che il processo cui è chiamato il Collegio Elettorale è parte integrante della Costituzione degli Stati Uniti, ragion per cui per cambiare questo sistema sarebbe necessario un emendamento costituzionale.

La decisione finale al Congresso

C’è, infine, il caso rarissimo in cui nessun candidato ottiene i 270 voti elettorali necessari a ottenere la maggioranza. Anche tale eventualità è prevista dalla Costituzione: la Carta dispone che nel caso in cui nessuno dei due candidati abbia raggiunto i 270 voti, la decisione venga presa dalla Camera dei Rappresentanti, che vota per eleggere il nuovo presidente tra i primi tre candidati, mentre il Senato vota per l’elezione del vice presidente. È successo durante l'elezione del 1824, quando John Quincy Adams ricevette la nomina dalla Camera dei Rappresentanti dopo che nessun candidato aveva ottenuto la maggioranza del Collegio Elettorale.

In tempi più recenti, nelle contestate elezioni del 2000 George W. Bush vinse il Collegio Elettorale con un margine di soli cinque voti - 271 a 266 - e ottenne la presidenza grazie al voto di un solo elettore in più. Se dopo il giudizio popolare anche soltanto tre Grandi Elettori avessero rovesciato il proprio voto, allora Al Gore sarebbe divenuto presidente degli Stati Uniti nel pieno rispetto della Costituzione.

Il “ribaltone” contro Trump

Nel caso odierno, per impedire a Donald Trump di assumere la carica di presidente il prossimo 20 gennaio servirebbe il voltafaccia di una pattuglia di Grandi Elettori e poi la complicità del Partito Repubblicano che, avendo la maggioranza al Congresso, dovrebbe indicare un diverso presidente (probabilmente non Hillary Clinton, ma un altro Repubblicano a loro più gradito). Non è un mistero che il Grand Old Party abbia boicottato Trump sin dall’inizio e che Paul Ryan, lo speaker della Camera in quota GOP, nutra un astio feroce nei suoi confronti e abbia egli stesso ambizioni presidenziali. Lo stesso dicasi per Mike Pence, il vicepresidente designato.

 Oltre a ciò, non sarà sfuggito ai lettori più attenti dei fatti americani che George Soros - il multimilionario liberal grande finanziatore di Hillary Clinton - starebbe (il condizionale è d’obbligo) sponsorizzando le proteste di piazza contro la vittoria di Trump; che organizzazioni progressiste hanno avviato petizioni che hanno già raccolto milioni di voti per lo stesso motivo; che giornali come Huffington Post (nell’articolo Electoral College Can Stop Unfit Trump), USA Today (con l’articol Could the Electoral College elect Hillary Clinton instead of Donald Trump? e altri stanno accarezzando a loro volta l’ipotesi di un ribaltamento nel Collegio Elettorale; che lo stesso presidente Barack Obama abbia velatamente ammiccato all’idea affermando “C’è scontentezza per l’esito del voto […] E certo, noi siamo democratici e repubblicani, ma prima di tutto siamo americani e patrioti”; che, come riportato dal Time Magazine alcuni Grandi Elettori come Robert Satiacum, Bret Chiafalo, Baoky Vu e Chris Suprun, rispettivamente due democratici e due repubblicani, hanno dichiarato già prima dell’8 novembre che non voterebbero per Donald Trump in nessun caso.

 La democrazia americana in gioco

Mettendo insieme tutti questi fattori, si evince come sulla carta la possibilità di un corto circuito istituzionale sia improbabile ma non impossibile. Si capisce anche come non solo il paese ma la stessa classe politica americana sia divisa sulla nomina a presidente di Trump. E di come all’interno del partito Repubblicano scorrano correnti carsiche che non disprezzano l’idea di un colpo di scena dell’ultimo minuto. Tale ipotesi, per quanto accademica, dimostra la vulnerabilità del sistema americano, che viene generalmente ritenuto solido e altamente affidabile ma che, in definitiva, non è esente da critiche al pari di altri impianti democratici.

Tutto sommato, però, non appare credibile - tantomeno auspicabile - che il 19 dicembre prossimo si verifichi un simile paradosso. Anche perché questo getterebbe nel caos gli Stati Uniti d’America, con conseguenze così tragiche che potrebbero ripercuotersi pesantemente non solo in America e tali da metterebbe in dubbio il valore stesso della democrazia.

 

 

Donald Trump
iStock - Bastiaan Slabbers
Il presidente americano Donald Trump

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Luciano Tirinnanzi