Il Corriere e il fascino discreto del giacobinismo
Ansa
News

Il Corriere e il fascino discreto del giacobinismo

L'imbarazzo di Severgnini inutilmente esterofilo

Dall’imbarazzo non nascono i fiori. Neppure le riforme. E’ una di quelle reazioni inconcludenti che di solito va a braccetto con altrettanto inconcludenti invocazioni: serve un ‘cambiamento culturale’, i fatti ‘impongono una riflessione’. Bene, diffidate.

Dispiace che al coro degli sdegnati imbarazzati si aggiunga il Corriere della Sera che con grande risalto pubblica in homepage i ‘10 motivi di vergogna’ (sic) preceduti da un ‘almeno’, come ad intendere che ad averci lo spazio molti altri se ne aggiungerebbero. A farsi esegeta dell’imbarazzo italico è Beppe Severgnini che dall’inizio alla fine dell’angusto elenco utilizza il ‘noi’. La prima ragione per cui ‘in queste ore l’Italia ci imbarazza’ fa strabuzzare gli occhi. ‘Perché tutti sono innocenti finché non è provata la colpevolezza.

Ma insomma’. Il principio della presunzione di innocenza costituzionalmente garantito viene liquidato con un ‘ma insomma’. Il riferimento è alle inchieste in corso su Expo, Carige e Mose, procedimenti che non hanno formulato ancora neanche una sentenza di condanna in primo grado. Ma, quel che è peggio, è che il principale quotidiano italiano cincischi su una sacrosanta prerogativa costituzionale dell’indagato/imputato. Conviene forse rincorrere il giornalismo delle forche che gode già di un ampio megafono? Certo, esibire uno sdegnato imbarazzo serve a ribadire la propria superiore moralità.

Ma la posta in gioco è alta, e forse il Corriere farebbe bene a pesare i toni. L’immagine del Paese ne risente, sì, lo stesso autore sottolinea come ‘i 100 motivi per amare l’Italia’ siano stati tradotti in inglese, spagnolo e francese. Nell’elenco dell’imbarazzo Severgnini formula considerazioni condivisibili, direi persino banali, sulla brutta immagine dei  politici che si scaricano a vicenda le responsabilità, sull’ingordigia di chi amministra montagne di soldi e non è mai sazio, sul peccato che è grave quando lo commettono i nostri avversari. Come essere in disaccordo? Impossibile. Non si capisce però quale sia la soluzione.

Se più privati competono per lo stesso appalto pubblico, gli intermediari servono ed esistono in tutto il mondo. Con la differenza che a Bruxelles il lobbista è un mestiere regolamentato, che pone vincoli e limiti alle regalie, in Italia invece è un ‘faccendiere’ che agisce nell’ombra. Ci sono poi i soldi pubblici, tanti, troppi, ma quando si parla di privatizzare e di ‘affamare la bestia’ si sollevano mille distinguo e non se ne fa mai nulla. E poi quanta esterofilia che rasenta il provincialismo, sempre a commiserarci noi per esaltare gli altri.

Come se i casi di corruzione sulle commesse pubbliche non affollassero le cronache di mezzo mondo. ‘Paragons of virtues’, modelli di virtù, ha definito così i parlamentari inglesi il senior conservatore Bob Stewart nel tentativo di arginare la sfiducia dei cittadini inglesi verso una classe politica – quella inglese, eh – che negli ultimi tempi si è resa protagonista di una lunga serie di scandali a luci rosse tra accuse di ruberie e corruzione.

L’esponente laburista MacShane che nel 2012 si dimette per aver richiesto rimborsi su fatture false. Il conservatore Zahawi che chiede scusa pubblicamente per aver fatto pagare ai contribuenti inglesi quasi 6000 sterline per  il riscaldamento delle sue stalle. Cose così. Non scordiamoci che negli Stati Uniti il governatore del New Jersey Chris Christie era dato per favorito nella corsa alle presidenziali 2016 fin quando non è rimasto infilzato da una serie di inchieste, dal bridgegate allo scandalo relativo all’uso dei fondi per l’uragano Sandy. Ma la lista è lunga, e Severgnini la conosce bene.

Severgnini se la prende con le amnesie, le amnistie e le prescrizioni che tirerebbero fuori dai guai. Peccato che l’ultima amnistia risalga al 1990, insomma prima di Tangentopoli. E se persino il Presidente della Repubblica ha aperto a tale opzione un motivo c’è. Non è una sanatoria ma un passaggio necessario, probabilmente ineludibile, per azzerare il caos giudiziario esistente e ridare fiato ai tribunali italiani (oltre che alle nostre carceri, quelle sì che dovrebbero suscitare indignazione). Quanto alle prescrizioni, secondo i dati di via Arenula, il 40 percento di esse avviene nella fase delle indagini preliminari. Il che significa che sono i pm a decidere quali fascicoli far avanzare e quali abbandonare. Negli uffici giudiziari l’ingorgo è tale che l’obbligatorietà dell’azione penale è ridotta ad un miraggio.

Severgnini invoca ‘pene rapide’, espressione di per sé giacobina come ‘giustizia rapida’. La giustizia ha i suoi tempi, che non sono certo quelli italiani, ma non deve essere ‘rapida’. Le pene devono essere certe, sì, e devono seguire una sentenza di condanna. Il dramma italiano è che le pene precedono la condanna, sono pene preventive nei confronti di presunti innocenti. Il carcere preventivo è diventato l’antidoto alla irragionevole durata dei processi.

E di fronte a questa evidenza, caro Severgnini, non possiamo voltarci dall’altra parte. Tocca scegliere da che parte stare. E se siamo contro le pene preventive, certi imbarazzi non possiamo covarli. Non è permesso.

I più letti

avatar-icon

Annalisa Chirico

Annalisa Chirico è nata nel 1986. Scrive per Panorama e cura il blog Politicamente scorretta. Ha scritto per le pagine politiche de "Il Giornale". Ha pubblicato "Segreto di Stato – Il caso Nicolò Pollari" (Mondadori, pref. Edward Luttwak, 2013) e "Condannati Preventivi" (Rubbettino, pref. Vittorio Feltri, 2012), pamphlet denuncia contro l’abuso della carcerazione preventiva in Italia. E' dottoranda in Political Theory a alla Luiss Guido Carli di Roma, dove ha conseguito un master in European Studies. Negli ultimi anni si è dedicata, anche per mezzo della scrittura, alla battaglia per una giustizia giusta, contro gli eccessi del sistema carcerario, a favore di un femminismo libertario e moderno.

Read More