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Walesa: "Non ero una spia, ma ho fatto un errore"

Il fondatore di Solidarnosc smentisce le accuse, che potrebbero essere strumentali. E cita una persona misteriosa che "dovrebbe dire la verità"

Lech Walesa, travolto dalle accuse di essere stato una spia dei servizi segreti comunisti, dopo aver nettamente smentito ogni accusa oggi ha sostenuto di aver "fatto un errore" ma di non essere stato una spia del regime comunista polacco. Il Premio Nobel per la Pace però non ha voluto rivelare di che errore si tratti, ma ha rimandato a una persona misteriosa che "dovrebbe dire la verità".

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"Non ho cooperato con la polizia segreta, non ho mai preso soldi, e non ho mai fatto la spia su alcuno né a voce né per scritto", ha sostenuto lo storico leader del sindacato Solidarnosc. Tuttavia, ha aggiunto, "ho fatto un errore ma non questo (la collaborazione con i servizi segreti ndr.)". "Ho promesso di non rivelarlo, certamente non ancora, non adesso", ma "c'è una persona - un responsabile, che è ancora vivo che dovrebbe rivelare la verità e io ci conto".

L'accusa

L'accusa è riapparsa ieri come una sferzata infamante: Walesa, 72 anni, storica icona della rivoluzione di Solidarnosc e primo presidente della Polonia eletto democraticamente dopo la svolta del 1989, sarebbe stato un informatore dei servizi segreti comunisti dal 1972 al 1976. È spuntato di nuovo il nome in codice di Bolek e sono comparsi nuovi documenti risalenti alla metà degli anni Settanta, ricevute di pagamenti con in calce la firma di Walesa e tre parole annotate sulla carta: "Bolek è Walesa". La calligrafia è del generale Czeslaw Kiszczak, ultimo ministro dell'Interno della Polonia comunista scomparso tre mesi fa. I documenti erano custoditi nella sua casa. La moglie avrebbe tentato di venderli all'Istituto nazionale per la memoria (Ipn), un centro deputato a indagare sull'intreccio politico della recente storia polacca, e che ora, per bocca del suo direttore Lukasz Kaminski, conferma l'autenticità delle carte e della firma di Walesa.

Il precedente

Ma l'ex sindacalista si difende, ancora una volta, come fece nel 2000, quando l'accusa di collaborazionismo con la Sluzba Bezpieczenstwa, la polizia segreta della Varsavia comunista, lo colpì per la prima volta. Dal Venezuela, dove si trova in questi giorni assieme ad altri premi Nobel per la pace, tuona: "Non possono esistere documenti che provengono da me, e se ci sono sono falsi. Lo dimostrero' in tribunale". Più esplicita la difesa del figlio, Jaroslaw Walesa, deputato europeo, per il quale i documenti ritrovati non hanno valore perché falsificati e sono stati ripescati su "richiesta politica" di quanti sono interessati a distruggere la figura dell'eroe della rivolta sindacale che negli anni Ottanta abbattè il regime comunista polacco e diede il via all'effetto domino sull'intero blocco est-europeo.

La politica

La controaccusa è precisa e chiama in causa il cambio di guida politica al vertice del Paese. Walesa è da tempo nel mirino di Jaroslaw Kaczynski, il leader del partito ultra-conservatore Pis tornato nel giro di cinque mesi al potere con la doppia conquista della presidenza della Repubblica e del governo. Ma non si tratterebbe solo di una schermaglia personale: nel confronto c'è molto di più: c'è una diversa valutazione della fase di transizione, che mise fine al regime comunista e diede vita alla Polonia democratica. Per Kaczynski i quadri del vecchio regime si sarebbero gradualmente riciclati nei settori cardine del nuovo Stato, dall'economia ai media, dalla burocrazia alla magistratura, arricchendosi nella fase delle privatizzazioni del settore pubblico. E accusa Walesa di essere stato il garante di questo riciclaggio politico, puntando il dito sul compromesso storico della famosa tavola rotonda, che nella primavera del 1989 aprì in maniera indolore le porte al cambio di regime a Varsavia.

"Vecchia storia, che conosco da 25 anni, perché Walesa stesso ne ha parlato più volte", ha tagliato corto Donald Tusk, ex premier e attuale presidente del Consiglio europeo. Ora la parola tornerà al tribunale. Walesa già in passato aveva ammesso di essere stato avvicinato da agenti dei servizi negli anni Settanta, dopo la repressione degli scontri di Danzica del 1970. Nel 2000, di fronte ad accuse come quelle di oggi, il tribunale lo prosciolse. Ma l'ombra di quei servizi continua a inseguirlo ancora


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