Sharitaly: boom della condivisione, dall'auto alla casa
Credits: Capra / Imagoeconomica
Economia

Sharitaly: boom della condivisione, dall'auto alla casa

Il 29 novembre a Milano si svolge il primo evento in Italia per fare il punto sulla sharing economy

In pochi giorni i posti per il convegno sulla sharing economy, che si terrà a Sharitaly   il 29 novembre, erano già i tutti prenotati. “Praticamente senza nessuna pubblicità” commenta Ivana Pais, ricercatrice in Sociologia dei processi economici e del lavoro, all’Università Cattolica di Milano, autrice di La rete che lavora (Egea) .

L’evento, il primo in Italia  dedicato all’economia collaborativa è un termometro che dimostra come l’interesse intorno al fenomeno stia salendo anche nel nostro paese.
Questa economia complementare, più che alternativa, al sistema si basa sulla condivisione di oggetti, spazi, servizi, ma anche competenze. Resa possibile grazie a piattaforme digitali che molto devono all’evoluzione dei social network: “In pratica si rimettono in moto risorse inutilizzate” spiega Pais  “l’esempio tipico è l’auto che rappresenta una delle spese più grosse della famiglia, ma che si utilizza in media un’ora al giorno, perché non trovare il modo per condividerla?”

È quello che hanno immaginato i creatori dell’app Get Around  che fa incontrare chi possiede una macchina con chi ha bisogno di noleggiarne una. Ma sono figli di questa filosofia anche Zipcar   e le tante esperienze di car sharing e bike sharing che stanno conquistandola anche le città italiane.

Per chi invece cerca soltanto un passaggio in auto, esiste l’esempio di Blabla car   che fa incontrare autisti e viaggiatori. Si dividono le spese, si chiacchiera (oppure no), si può andare da Torino a Bologna con 17 euro (meno di un biglietto del treno). A viaggio terminato si da un voto, anzi un feedback, che permette di rafforzare la  propria reputazione, di guidatore o passeggero.

Milioni di persone, 12 mila ogni giorno in Italia dormono in un letto che hanno trovato grazie a Airbnb , successo planetario, nel mirino di albergatori arrabbiati per "concorrenza sleale". Ma sono esempi di sharing economy, la condivisione di spazi di lavoro, dall’ufficio ai laboratori artigianali (coworking) le piattaforme di crowfunding, ovvero di finanziamenti condivisi di un progetto, il baratto.
“In realtà non si sta inventando nulla” afferma Pais, “Ma le piattaforme online hanno permesso di allargare il numero di persone coinvolte”. La crisi ha favorito lo sviluppo del fenomeno? “Dal punto di vista retorico, sì. Ma le ricerche stanno dimostrando che in realtà chi fruisce di queste forme di scambio è ancora un’élite non necessariamente più ricca, ma più pronta ad abbracciare la filosofia della condivisione, cosciente che lo spreco nella nostra società ha raggiunto livelli inaccettabili” continua Pais.
Difficile stimare l’impatto della sharing economy, solo in Italia l’unicamappatura ufficiale, tracciata sei mesi fa, indicava 91 piattaforme di condivisione, di cui la maggior parte di coworking. Quante ne siano nate o morte nel frattempo è difficile da dire. “Non esiste un modello vincente di business a priori” aggiunge Pais, “c’è un darwinismo molto spinto tra queste start up, che però richiedono bassissimi investimenti”.

Generare utili non è scontato, ma è anche difficile stabilire quanto vale il capitale immateriale che si crea con i consumi condivisi: "Viaggiando in auto con qualcuno che non si conosce o condividendo una postazione di lavoro, si ricostruisce il tessuto sociale, si recuperano le relazioni di vicinato» commenta Pais, insomma si da corpo, letteralmente, alla rete di rapporti virtuali che nascono online. Sara McKinney su Forbes lo chiama “fattore benessere”. “In un periodo in cui c’è una così scarsa fiducia nel governo, nei poltici, nelle grandi aziende e nei media, c’è qualcosa di rassicurante in questi business, il cui successo dipende dal fatto che la persone si fidino le une  delle altre”. Ma Airbnb ha fatto anche due conti sull'impatto che lo scambio di case ha sull'economia di New York scoprendo che i suoi utenti creano un indotto di 632 milioni di dollari, restano mediamente più a lungo in città (6,4 contro le 3,9 di chi dorme in hotel) e spendono anche di più in negozi e ristoranti dei turisti che stanno in albergo (880 dollari contro 690).

Il 29 novembre a Sharitaly sarà lanciata un progetto triennale di ricerca sul fenomeno che coinvolge 7 atenei italiani. “L’appuntamento principale sarà nel pomeriggio” conclude Pais, “quando attorno a un tavolo metteremo start up, comuni, grandi aziende. La sharing economy può davvero rappresentare una strada per affrontare molti problemi a livello locale, pensiamo alla mobilità, ma anche la gestione delle emergenze. Durante l’uragano Sandy a New York,  Airbnb ha messo subito a disposizione la sua rete per trovare ospitalità agli sfollati”. Esempi di collaborazione virtuosa anche tra privato e pubblico che forse possono contribuire a ricostruire quella fiducia nelle istituzioni che ovunque nel mondo sembra messa a dura prova.

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