Nadia Terranova, 'Gli anni al contrario' - La recensione
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Nadia Terranova, 'Gli anni al contrario' - La recensione

Tutto passa, specialmente la gioventù: dissoluzione di una famiglia e degli ideali di una generazione

Ci sono romanzi che scorrono con la fluidità di una canzone, serbando fra le pagine il segreto del perché suonino così bene. Gli anni al contrario, esordio di Nadia Terranova, è uno di questi. Ambientato a Messina tra la fine degli anni Settanta e il 1989, racconta l'intima epopea di una coppia nel momento storico in cui gli ultimi sussulti ribelli di una generazione venivano cancellati da una triplice deriva: l'approdo alla lotta armata, la piaga dell'eroina, la rivincita degli stereotipi borghesi.

La famiglia Silini ha un padre fascistissimo, una madre distaccata e depressa, una primogenita da sistemare che trova nei libri e nello studio la sua emancipazione: Aurora. La famiglia Santatorre ha un padre avvocato iscritto al Pci, una madre normalmente buona e depressa, un terzogenito sanguigno dai riccioli scomposti, attratto da ogni eccesso e dalle utopie libertarie espulse dal vecchio comunismo che odorava di sconfitta: Giovanni. I due si incontrano all'università, si amano, sognano la rivoluzione, osano sentirsi felici al punto da mettere al mondo una bimba e giocare a fare i grandi.

Le rispettive famiglie trovano un punto di incontro inaspettato. Se il legame di Aurora e Giovanni era rinsaldato dalla voglia di dimenticare ciascuno il proprio marchio di origine, il vecchio fascista e il vecchio comunista ratificano un'alleanza contro il nemico comune: i giovani d'oggi. Il delicato passaggio dal vecchio al nuovo istituto familiare rappresentò un momento cruciale nell'evoluzione della società italiana del dopoguerra. Terranova fotografa con precisione e grazia quel germe ancora immaturo negli Anni al contrario: i due ragazzi passarono dai banchi di scuola alle urgenze quotidiane "con la faccia incredula di due bambini che invece di essere puniti sono stati premiati per una monelleria".

La caduta per Giovanni è fragorosa, per Aurora invece matura lenta, angosciosa. L'uomo che non è riuscito a diventare grande baratta i suoi sogni con le allucinazioni finché un giorno, scappato in fretta da Berlino Est per tornare nel più rassicurante Ovest, uno specchio gli restituisce l'immagine di un fantasma: un tossico aspirante terrorista terrorizzato, stritolato da due vuoti di cui quello della morte non è peggiore dell'altro. La risalita sarà nel segno della ciclicità ancestrale del mondo contadino. In comunità Giovanni sembra recuperare in parte la fiducia in sé e nell'amicizia e, sia pure a distanza, la gioia e forse il senso della paternità. Ma la disillusione ha scavato un solco irrimediabile con il passato.

La frattura si allarga dolorosamente nella quotidianità di Aurora ("in passato non ho avuto le tue debolezze, ora vorrei il tuo coraggio"). Prima la sua fragilità ha la faccia della solitudine, con le piccole tentazioni del perbenismo borghese che si riaffacciano all'orizzonte. Poi la sua gabbia, la sua rabbia, cominciano a somigliare a quelle di un tempo. Ma tutto è cambiato. I brevi tentativi di ristabilire un ritmo coniugale sono intessuti di silenzi, insicurezze e sensi di colpa; nelle cure materne c'è una confusa rassegnazione per la fine dei sogni, l'università diviene il rifugio dalla sconfitta, la vita il ciglio di un burrone da cui guardare giù.

Anche i luoghi di questo romanzo sono imbevuti di candide, simboliche tracce. A partire da Messina, rappresa in un provincialismo che guarda le file di ombrelloni allineate di là dello Stretto come le fondamenta di una terra straniera, fino alla magia di Stromboli e Pantelleria, con la luna e le spiagge, gli asini e i dammusi, l'aria che purifica i pensieri. Ne trascrivo uno, semplice e disarmato: "l'esperienza è la somma di tutte le cazzate fatte".

Nadia Terranova
Gli anni al contrario
Einaudi
148 pp., 16 euro

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Michele Lauro