Lettera aperta sul sesso alla gioventù che lavora: largo all’Eros alato!
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Lettera aperta sul sesso alla gioventù che lavora: largo all’Eros alato!

I comunisti che avevano fatto la Rivoluzione del ’17 e si trovavano a dover gestire le nuove forme che assumevano i rapporti tra le persone nel mutamento generale pensavano che l’amore non fosse affatto un ambito privato, ma socialmente determinato, …Leggi tutto

I comunisti che avevano fatto la Rivoluzione del ’17 (e si trovarono a dover gestire le nuove forme che assumevano i rapporti tra le persone nel mutamento generale) pensavano che l’amore non fosse affatto un ambito privato, ma socialmente determinato, capace di incatenare i corpi e le menti a scopi estranei allo scopo principale.

In un libercolo-pamphlet uscito come «Lettera alla gioventù lavoratrice» su una rivista di Mosca nel 1923 col titolo Largo all’Eros alato!, la rivoluzionaria e (proto)femminista Aleksandra Kollontaj parlò dell’amore come fenomeno niente affatto «privato», una semplice storia tra due «cuori», ma come qualcosa che «racchiude in sé un “principio di coesione” prezioso per la collettività».  Critica con la NEP - la nuova politica economica voluta da Lenin nel ‘21 che reintroducendo alcuni principi di capitalismo per “fluidificare” l’arricchimento del popolo aveva in realtà portato con sé anche il germe della reazione, per esempio imponendo alle donne di curare gli aspetti familiari e domestici di cui lo Stato non poteva più farsi carico - Kollontaj ebbe scontri molto duri con lo stesso Lenin, cui era sempre stata vicina.

La sua tesi è sviluppata con una precisione di cristallo: l’amore non è un sentimento assoluto, e le sue forme cambiano con la struttura sociale. In più, l’umanità, in tutte le tappe del suo sviluppo storico, ha dettato delle norme per determinare «come» e «quando» l’amore doveva considerarsi legittimo (rispondente cioè agli interessi della collettività del momento), e quando invece doveva considerarsi colpevole, criminale (cioè in conflitto con gli obiettivi posti dalla società).

L’amore feudale non contemplava l’amore ma solo il matrimonio come strumento di trasmissione del potere dinastico; quello cavalleresco ha privilegiato l’amore platonico per la “dama del cuore” relegando il sesso allo stupro o al mercimonio; la morale borghese ha fagocitato la bontà dell’amore facendone un mero mezzo di trasmissione del capitale, e l’ha sabotato come sentimento sociale, costringendo gli amanti alla farsa del matrimonio e della monogamia ai fini dell’accumulo condiviso del denaro e attraverso la violenza della proprietà sul corpo e sulle emozioni.

La morale ipocrita della cultura borghese ha strappato senza pietà le piume dalle ali multicolori e sgargianti di Eros, obbligandolo a frequentare unicamente le «coppie legittime». Al di fuori del matrimonio, l’ideologia borghese lascia posto unicamente ad un Eros senza piume e senza ali: l’unione sessuale momentanea, sotto forma di carezze comperate (prostituzione) o rubate (adulterio).

Allora qual è la soluzione? Non certo l’Eros indiscriminato, regredito a bisogno biologico, forma di amore che lei chiama Eros senz’ali; al contrario, l’ideologia comunista promuove l’emozione d’amore in quanto fattore che può essere volto (al pari di qualsiasi altro fenomeno psico-sociologico) al bene della collettività. L’amore da compagni è un dono della coppia alla società per mezzo delle forze liberate nella direzione di estendere la stessa intensità emotiva che la anima al proletariato di cui fa parte; per questo la coppia non è più costretta a ricorrere all’adulterio o alla prostituzione per completarsi.

Questo accantonamento della «coppia innamorata», questo isolamento morale da una collettività in cui i compiti, gli interessi, le aspirazioni di tutti i membri formeranno una trama complessa e compatta, diventerà non solo superfluo, ma psicologicamente irrealizzabile.

Il tipo di amore propugnato dai cinici della Rivoluzione, «l’istinto di riproduzione allo stato puro», è anzi nemico del popolo, perché esaurisce il corpo e toglie forze alla collettività, che le servono invece per la creazione e la sistemazione dell’economia comunista.

Quindi, l’amore al suo apice utopistico dovrebbe coincidere con il pieno compimento, col mezzogiorno della dittatura del proletariato.

Kollontaj rimase isolata e incompresa per anni. La normalizzazione voluta da Stalin sancì la centralità della famiglia (con l’istituzione del titolo onorifico di Madre eroica per le donne con più di 10 figli), e l’abbandono di ogni discussione sulla condizione femminile.

Persino il ’68 ebbe alcune remore ad accoglierla come autrice di riferimento, perché lei più volte indicava nel sesso senza slancio e senza tensione morale e intellettuale uno dei mali che nella società pienamente realizzata devono essere sconfitti. Questo rifiuto non deriva però da un punto di vista moralistico, ma economico, dialettico. Leggete:

Per ciò che concerne gli obiettivi di classe del proletariato, è del tutto indifferente che l’amore assuma la forma di un’unione duratura e legalizzata o che si esprima semplicemente in una relazione passeggera. La ideologia della classe operaia non impone alcun limite formale all’amore. Al contrario, fin da ora essa guarda soprattutto al contenuto dell’amore, delle sfumature sentimentali ed emozionali che uniscono i due sessi. E in questo senso, l’ideologia della classe operaia darà la caccia a Eros senz’ali (la concupiscenza, la soddisfazione carnale egoista per mezzo della prostituzione, la trasformazione dell’atto sessuale in scopo a se stante, del tipo «facile piacere»).

Quanto la visione di Aleksandra fosse progressista e non solo utopica è chiaro da questa vicenda: ne Le basi sociali della questione femminile scrisse che il cosiddetto «amore libero» per cui si erano battute le donne si era rivelato un cappio per loro, perché anziché sollevarle dalle tribolazioni della vita familiare non aveva fatto che addossare sulle loro spalle un nuovo onere: il compito di occuparsi dei figli da sole e senza alcun aiuto.

L’amore libero non sarebbe che la traduzione in ambito privato dell’abolizione delle regole corporative in fabbrica, che si sono rivelate solo un altro mezzo per il padrone di sfruttare la manodopera. Se preferite, è l’equivalente del nostro mito della flessibilità nel lavoro, con la slavina del precariato di massa, che erode i «giovani» (nella società comunista i nostri giovani sarebbero considerati più che adulti) del loro tempo e del loro eros.

I suoi avversari vollero usare l’espressione «libero amore», come suona il titolo tradotto in inglese del suo romanzo Bol’ šaja liubov (che invece vuol dire «Grande amore») per attaccarla; tra questi, il già adorato Lenin. Lei precisò recisamente:

«Molti dei miei oppositori hanno tentato di attribuirmi il postulato assolutamente falso secondo il quale io predicavo il “libero amore”. Vorrei porre la questione in un altro modo. Ho sempre raccomandato alle donne: liberatevi dalla schiavitù dell’amore per un uomo».

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Daniela Ranieri

Daniela Ranieri vive a  Roma, anche se si domanda perché ciò dovrebbe avere importanza in questa sede. Ha fatto reportage e documentari per la tv. Ha fatto anche la content manager, per dire. Vende una Olivetti del '79, quasi  nuova. Crede che prendere la carnitina senza allenarsi faccia bene uguale. Ha pubblicato il pamphlet satirico "Aristodem. Discorso sui nuovi radical chic" e il romanzo "Tutto cospira a tacere di noi" (entrambi Ponte alle Grazie) 

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