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Franco Origlia/Getty Images - ottobre 2018
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Ecco perché gli Usa rafforzano la base italiana di Camp Darby

I lavori sono già iniziati: via mille alberi per riorganizzare l'area in cui sono stoccate armi (anche nucleari?)

Gli Stati Uniti non lasciano, ma raddoppiano, o almeno si ampliano. I preparativi per ampliare la base americana di Camp Darby, a pochi chilometri da Pisa e vicino anche a Livorno, sono infatti già partiti. Quasi 1.000 alberi sono stati segnati con vernice rossa e alcuni anche già tagliati. Devono lasciare il posto a una riorganizzazione generale dell’insediamento, che secondo alcuni media, costituirebbe il più grande arsenale degli Stati Uniti al di fuori del proprio territorio.

La base, che fino a qualche tempo fa si pensava potesse essere ridimensionata, vedrà invece un nuovo assetto, in particolare con la realizzazione di un nuovo collegamento ferroviario dalla stazione di Tombolo, lungo la linea Pisa-Livorno e un terminal progettato per il carico e scarico di merci (soprattutto armi). La sua posizione è strategica, perché si trova a poca distanza dal porto di Livorno e dall’aeroporto di Pisa, oltre che in prossimità del Canale dei Navicelli, una via d’acqua navigabile per il cui attraversamento dovrebbe essere costruito un nuovo ponte metallico.

Ma perché gli Stati Uniti hanno deciso il potenziamento del sito?

I lavori

L’ampliamento della base americana di Camp Darby, che dipende dalla caserma Ederle di Vicenza  (sede dello United States Army Africa), era previsto da diversi mesi, ma ha subito un apparente rallentamento, anche di fronte all’evidente fastidio che questo aveva generato in parte della popolazione locale e soprattutto di alcune formazioni politiche e pacifiste. Il progetto, messo a punto direttamente dal Pentagono, ha comunque già ottenuto il via libera della CoMiPar, la commissione mista tra governo statunitense e italiano. Costerà alla Difesa americana una cifra tra i 30 e i 45 milioni di dollari, che sarebbero già finanziati.

L’intenzione è quella trasferire il trasporto delle merci, armi e munizioni da rotaia a ferrovia, con una linea costituita da quattro binari di 175 metri ciascuno, fino a un enorme terminal (quasi 20 metri d'altezza), dove potranno sostare fino a 36 vagoni alla volta. Si prevede che un massimo di due convogli al giorno partiranno dal porto di Livorno diretti al terminal, tramite normale linea delle Ferrovie dello Stato, e da qui all’area di stoccaggio chiamata Ammunition Storage Area, dalla quale le merci saranno infine trasportate da autocarri all’interno della base.

Perché l’ampliamento?

La necessità di ampliare le vie di collegamento è ufficialmente data dal fatto che le attuali infrastrutture non sono più adeguate e soprattutto si vuole evitare il ricorso alle strade carrabili, preferendo quelle ferroviarie.

Di sicuro le voci di un progressivo ridimensionamento della base, dopo che negli scorsi anni era stato ridotto il numero di militari americani presenti (e di civili italiani) sono state in qualche modo smentite. Camp Darby resta una base strategica per gli Stati Uniti nel Mediterraneo, soprattutto dopo che l’area nord africana (e libica?) è tornata ad avere un’importanza crescente dopo le primavere arabe. A ciò si aggiunge il ruolo chiave nel rifornimento delle truppe americane in Medio Oriente.

Cosa c’è a Camp Darby

C’è chi lo ritiene il principale arsenale statunitense fuori dal suolo americano. All’interno ci sarebbero 125 bunker, dove sarebbe stoccato circa un milione di proiettili di artiglieria, ma anche bombe aeree e missili. Secondo alcuni esperti ci sarebbero anche dotazioni nucleari, oltre a carri armati e diversi veicoli militari. In realtà si tratta di una sorta di hub delle armi: queste giungono via mare, a bordo di navi della USS Navy, fino al porto di Livorno. Da qui sono stoccate a Camp Darby, per poi essere smistate e destinate - pare - a Giodania, Arabia Saudita e altri paesi mediorientali per rifornire le forze di Washington impegnate nei vari teatri dell’area, dalla Siria alloYemen,senza dimenticare l’Iraq.

Rafforzamento a est?

In un clima di apparente guerra fredda, alternato a momenti di grandi rasserenamenti e avvicinamenti tra Usa e Russia (specie dall'insediamento di Trump), però, il Pentagono potrebbe anche voler mantenere (a rafforzare, appunto) la propria presenza ed efficacia militare in un avamposto nel Mediterraneo, proprio per aumentare la capacità offensiva in Medio Oriente. In Siria Washigton e Mosca sono in una situazione di equilibrio precario: dopo aver raggiunto un accordo di “spartizione” del territorio nella lotta all’Isis, ci sono stati episodi che hanno fatto temere un intervento armato militare statunitense proprio contro le forze russe, soprattutto di fronte ai casi sospetti di uso di armi chimiche. Il fatto di poter disporre di un hub meglio organizzato potrebbe risultare importante per il dispositivo militare americano.

Rischio sicurezza?

La notizia del via ai lavori a Camp Darby, però, ha avuto come primo effetto quello di riaccendere le polemiche da parte di coloro che mal tollerano un avamposto americano di tali proporzioni e potenzialità in Italia. Oltre a chiedere politiche di compensazione ambientale (gli Usa hanno già assicurato che gli alberi saranno ripiantumati in altra sede non lontana), si teme per la sicurezza della popolazione. L’idea di sapere che enormi carichi di armi possano viaggiare su una linea ferroviaria ordinaria spaventa non poco. Non si trascura neppure il rischio di un attentato terroristico.

Non a caso si è pensato anche alla realizzazione di un secondo terminal, con la funzione di “dogana” e controllo della merce prima dell’arrivo all’area di stoccaggio di munizioni e armamenti.

Le rassicurazioni Usa

Il colonnello Erik Berdy, comandante della guarnigione Us Army Italy presso la caserma veneta di Ederle e la base toscana di Camp Darby, negli ultimi mesi ha moltiplicato gli incontri con le autorità locali (sindaci, rappresentanti provinciali e regionali) e con il questore di Livorno, Paolo Rossi, facendosi accompagnare dal console Usa Wohlauer e dalla responsabile della stessa responsabile Camp Darby, Catherine Miller. L’obiettivo è stato quello di consolidare quelli che sono stati definiti come “rapporti di reciproca collaborazione e amicizia”. Wohlauer ha avuto modo di definire i militari americani “ospiti di questo Paese, di questa terra straordinaria che rispettiamo (…) faremo tutto il possibile per ricambiare tale ospitalità con gratitudine”. Ci riusciranno?

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Eleonora Lorusso