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ANSA/GIORGIO ONORATI
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Senza onestà al Movimento 5 stelle non resta niente

Per anni la competenza è stata sacrificata sull'altare della correttezza. Ma lo scandalo sui rimborsi rimette tutto in gioco

Senza onestà cosa resta del Movimento 5 stelle? È questa la domanda che sorge nel mezzo della bufera che vede coinvolti i grillini sui falsi bonifici e rendiconti a poche settimane dal voto.

Nel 2013 entrando in Parlamento avevano promesso di restituire parte degli stipendi, di portarsi il pranzo da casa e rinunciare agli abiti firmati. Cinque anni dopo si scopre che dai calcoli sui rendiconti manca circa un milione di euro e in questi mesi gli onorevoli portavoce li abbiamo visti mangiare ai ristoranti di Camera e Senato e vestiti di tutto punto. Per carità non c’è nulla di male, ma non si può predicare il francescanesimo a parole e poi fare tutt’altro.

Il motto onestà

Anche perché in questi anni il motto “onestà onestà” è stato usato come una clava contro gli avversari politici. Ogni accusa (vera o presunta), ogni illazione giornalistica è stata trasformata in condanna definitiva dai severi giudici grillini per ergersi ancora di più sul podio dell’onestà, distinguendo la propria purezza da quella classe politica giudicata "ladrona" senza se e senza ma. Salvo poi diventare garantisti quando a finire al centro delle inchieste ci sono Virginia Raggi, Chiara Appendino o Filippo Nogarin.

Le competenze che mancano

Sul podio dell’onestà siamo stati pronti a sacrificare anche le competenze. Per molto tempo il popolo si è accontentato di avere un gruppo parlamentare inesperto, però onesto. Come se questo bastasse al funzionamento del Paese o come se un gruppo di improvvisati potesse ricucire le ferite di Tangentopoli e gli scandali sui rimborsi dei gruppi regionali usati per feste, escort e spese pazze.

L’onestà certificata con gli scontrini, i rendiconti, i siti web, salvo poi scoprire un giorno di piena campagna elettorale che dietro la parabola si nascondeva la truffa. Perché se anche fosse solo uno sparuto numero quello degli infedeli al diktat grillino, nell’opinione pubblica si è aperta una crepa.

Ma in questo i 5 stelle sono vittime di se stesse. Per anni hanno additato le macchie altrui e oggi si trovano con deputati infedeli, candidati massoni e chi, pur non avendone diritto, vive in case popolari a 7 euro al mese e scrive post su Facebook vantandosi di aver preso a cazzotti un gruppo di rumeni.

Rinunciare alla ricchezza

Il denaro è da sempre considerato lo sterco di Dio e ammalia soprattutto chi fino all’elezione in parlamento ha vissuto con stipendi normali o a reddito zero (è il caso di molti grillini). Rinunciare per una regola interna al movimento (non c’è alcuna legge al riguardo) a buona parte di quella ricchezza è una prova di integrità morale non da poco, ma allo stesso tempo è facile immaginare che qualcuno non sia così integerrimo.

Da sempre le occasioni hanno fatto l’uomo ladro, soprattutto in politica e a guardare con lo scanner le cronache degli ultimi mesi, il tesoriere del Pd, Francesco Bonifazi, sta rincorrendo da settimane i dem non in regola con i versamenti al partito.

Ma qual è la differenza tra i dem e i grillini? Semplice, al Nazareno una regola interna non è diventato un mantra da sbandierare in ogni occasione, mentre verso il Movimento l'opinione pubblica ha un’intransigenza diversa. A forza di ribadirla quell’onestà si finisce per pretenderla.

Ci si è illusi che la politica si facesse con gli scontrini e le foto ai bonifici postate su Facebook, mentre si inneggiava alla propria diversità morale. Salvo poi una mattina specchiarsi e vedere nello specchio che l’altro si è impossessato di te. Scoprire di non essere più diverso, di non essere onesto (o quanto meno lo sei nella stessa identica misura in cui lo sono gli altri) e finire per domandarsi: ora che si fa?

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Sara Dellabella