De Benedetti, tutte le contraddizioni sull'amianto all'Olivetti
Carlo De Benedetti alla scuola Sant' Anna di Pisa durante una conferenza sul futuro dell'editoria nel passaggio dalla carta al digitale nell'ambito dell'Internet Festivala, 11 ottobre 2013. ANSA/FRANCO SILVI     
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De Benedetti, tutte le contraddizioni sull'amianto all'Olivetti

Documenti interni e d'archivio dimostrano che l'Ingegnere «non poteva non sapere»

Non si sapeva». Taglio all’umberta, cravatta vinaccia su vestito grigio: Carlo De Benedetti, il 13 novembre, viene intervistato da Alan Friedman. Tema principale del colloquio, pubblicato sul Corriere della sera e ripreso dalla web tv del quotidiano, è l’endorsement dell’Ingegnere, già tessera numero 1 del Pd, per Matteo Renzi

Ma poi gli viene chiesto dell’amianto all’Olivetti. L’editore della Repubblica è indagato dalla Procura di Ivrea per omicidio colposo: almeno 21 persone sarebbero morte per avere respirato fibre cancerogene di amianto negli stabilimenti dell’azienda, che dal 1978 al 1996 venne guidata dall’Ingegnere. Assieme a lui sono coinvolte 23 persone, tra cui il fratello, Franco, e l’ex ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera. «Sapevate che c’erano problemi legati all’amianto?» domanda Friedman. «Non si sapeva» risponde l’Ingegnere. Documenti, archivi e leggi dimostrano però che l’editore della Repubblica gode di pessima memoria.

L’indagine della procura potrebbe chiudersi entro l’anno. Nell’intervista De Benedetti annuncia che sarà interrogato dai magistrati. Ma poi scarica ogni responsabilità: «Da un lato si definisce Adriano come una persona che aveva una visione umanistica, culturale, del lavoro» premette riferendosi al figlio di Camillo Olivetti, il fondatore dell’azienda.  «Ma la colpa di questi morti è dell’epoca di Adriano... degli architetti che hanno lavorato per Adriano». Un ingeneroso scaricabarile: l’imprenditore muore infatti nel 1960, quando nessuno correlava il minerale al cancro.

Ma è anche un maldestro tentativo di svicolare: sotto accusa non c’è infatti la costruzione dei capannoni, ma semmai la successiva manutenzione degli impianti e la totale assenza di misure di sicurezza per gli operai. E soprattutto: aver usato talco industriale contaminato con la tremolite, un particolare tipo di amianto. La polvere serviva a far scorrere meglio i cavi, anch’essi foderati del minerale cancerogeno, ed è stata usata fino agli anni Ottanta, quando a Ivrea regnava l’Ingegnere. «Era a conoscenza dei pericoli del talco?» chiede Friedman. «No» risponde De Benedetti. «La legge italiana che ha proibito l’uso dell’amianto è del ’92. Prima lo usavano tutti». 

«Non si sapeva», dunque. Carte ufficiali e vecchi articoli comprovano l’opposto. A partire dal talco industriale: la consapevolezza della sua nocività emerge già da una corrispondenza del 16 febbraio 1981. Quel giorno Maria Luisa Ravera, direttrice del Servizio ecologia dell’Olivetti, scrive a Enea Occella, un luminare del Politecnico di Torino: «La prego di voler esaminare i due campioni di talco che le ho portato, per verificare se è presente dell’amianto». Il professore la informa di aver trovato «in elevate proporzioni la tremolite»: amianto, appunto. In quantità devastanti: «Il numero di elementi fibrosi supera le 500 mila unità per microgrammo». Negli Stati Uniti, esemplifica Occella, «i limiti consentiti sono 1.000 unità per microgrammo»: 500 volte inferiori a quelli analizzati. Il professore conclude: «I due materiali in esame non devono assolutamente, per nessun motivo, essere utilizzati come talco industriale». 

Le lettere risalgono al febbraio 1981: De Benedetti è presidente e amministratore delegato da tre anni. Già a quell’epoca, quindi, l’Olivetti ha ben chiaro che l’amianto è devastante per la salute. Ma i magistrati vogliono andare oltre: i vertici sono informati del carteggio? E poi: quel talco viene ritirato immediatamente, come intima Occella?

Non è però solo il luminare torinese a conoscere i rischi dell’amianto. Anche La Repubblica sa. Il capitano d’industria De Benedetti brancola nelle tenebre, il suo giornale no: a differenza del suo editore, conosce e informa. E con decine di articoli avverte i lettori. Già il 17 dicembre 1985, a pagina 16, il quotidiano squilla: «L’amianto è cancerogeno». Il testo chiarisce: «Non dovrà più essere utilizzato per la produzione industriale a partire dal 1° gennaio 1986». Tre anni dopo, il 27 novembre 1988, altro titolo: «A Firenze un’inchiesta sull’amianto nei treni». Il giornalista informa: «Al centro di questa indagine c’è la pericolosità dell’amianto con cui sono state isolate le carrozze e la scoibentazione, le operazioni di bonifica per sostituirlo con altri materiali». Fra macchinisti e operai si rilevava «uno spaventoso aumento dei casi di mesotelioma pleurico, una rarissima forma di tumore legata all’esposizione all’amianto». 

Due giorni dopo, il giornale trilla un nuovo allarme: «Irpinia, scatta l’allarme-amianto: sotto la terra 35 mila tonnellate». Responsabile del fattaccio sarebbe il mitologico Elio Graziano, ex presidente dell’Avellino calcio, poi condannato per lo scandalo «Lenzuola d’oro» delle Fs: «Il timore» allerta il quotidiano «è che la diffusione nell’ambiente del materiale possa indurre anche nella zona un drammatico aumento dei casi di cancro». 

Il 20 maggio 1989, il quotidiano dell’ignaro Ingegnere torna sul tema: «Si “sfarina” l’amianto del soffitto, asilo chiuso». L’evacuazione riguarda 162 bambini di una scuola elementare di Casal Palocco, periferia sud di Roma: «Il soffitto dell’edificio aveva cominciato da tempo a sfarinarsi e la polvere d’amianto, impalpabile quanto nociva, non ha concesso più tregua agli alunni». L’8 novembre 1989 viene messa in pagina una notizia speranzosa: «La Montedison inventa il succedaneo dell’amianto». Scoperta che sarebbe provvidenziale: perché «l’amianto è accusato di essere cancerogeno» chiarisce l’articolo. 

Il 26 giugno 1990, nelle pagine economiche, viene pubblicato un pezzo di sicuro interesse per De Benedetti: «Stop all’amianto nelle auto. Siglato accordo con la Fiat». Cioè l’azienda in cui l’Ingegnere fu amministratore delegato prima di rilevare l’Olivetti. Eppure, niente: anche quest’ulteriore sforzo della Repubblica per ragguagliare il suo editore è vano. «La legge italiana che ha proibito l’uso dell’amianto è del 92. Prima di allora lo usavano tutti» si difende oggi De Benedetti. «Non si sapeva». 

Orsù colleghi, all’erta: le celeberrime dieci domande della Repubblica stavolta spettano all’Ingegnere. 

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Antonio Rossitto