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Leggi razziali, 80 anni fa la nascita del razzismo di Stato in Italia

Cos'erano e perché è importante ricordare i provvedimenti contro gli ebrei che portarono il nostro paese a condividere le responsabilità della Shoah

Nel settembre del 1938 l'Italia fascista varò le leggi razziali, firmate senza battere ciglio dal re Vittorio Emanuele III, che macchiò per sempre di infamia Casa Savoia.

Le leggi razziali in Italia

Il Regime di Benito Mussolini, con il Regio Decreto del 5 settembre del '38, si adeguò di fatto alla legislazione antisemita della Germania nazista, che fin dal 1933, anno dell'ascesa al potere del Führer, varò una serie di provvedimenti contro gli ebrei, che portatono all'Olocausto, ovvero il genocidio di 6 milioni di persone, compresi donne e bambini, ricordati con la Giornata della Memoria, il 27 gennaio.

Nel 1933 si stima che ci fossero 13 milioni di ebrei in Europa, dei quali circa 40.000 in Italia. Anche questi diventarono progressivamente vittime di un "razzismo di Stato", prima tramite leggi discriminatorie a livello sociale ed economico, poi con la violenza vera e propria.


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La prima pagina del "Corriere della Sera" dell'11 novembre 1938, con l'annuncio dell'approvazione delle "Leggi per la difesa della razza" da parte del consiglio dei ministri del governo fascista. Il re Vittorio Emanuele III promulgò il provvedimento.

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I primi provvedimenti

Anche dopo l'introduzione delle prime norme anti-semite in Germania, in Italia non si assisteva ancora a forme di discriminazione. Dopo che i Patti Lateranensi avevano definito l'ebraismo come culto ammesso, il governo fascista nel 1930 emanò la Legge Falco, che istituiva e rendeva obbligatoria l'iscrizione all'Unione delle comunità ebraitiche italiane, vista con favore però degli ebrei come forma di semplificazione burocratica.

Fu, invece, nel 1938 che la situazione cambiò profondamente. Il 14 luglio viene redatto il primo il primo documento che parlava ufficialmente di "razza ariana italiana".

Era redatto da 10 docenti universitari di Neuropsichiatria, Pediatria, Antropologia, Demografia e Zoologia, e tra i firmatari figuravano anche Giorgio Almirante, Giorgio Bocca, Giuseppe Bottai, Giovanni Gentile, Giovanni Papini, Amintore Fanfani, accanto a Pietro Badoglio, Emilio Balbo e Galeazzo Ciano.

La nascita della "razza ariana italiana"

Il testo era diviso in punti e sanciva alcuni concetti ritenuti fondamentali:
1) Le razze umane esistono;
2) Esistono grandi razze e piccole razze;
3) Il concetto di razza è un concetto puramente biologico. Esso quindi è basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche, religiose;
4) La popolazione dell'Italia attuale è nella maggioranza di origine ariana e la sua civiltà è ariana.
Al punto 5 si definiva "leggenda l'apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici", affermando che "dopo l'invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della nazione;
6) Esiste ormai una pura "razza italiana";
7) E' tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti;
8) È necessario fare una netta distinzione fra i Mediterranei d'Europa (Occidentali) da una parte, e gli Orientali e gli Africani dall'altra;
9) Gli ebrei non appartengono alla razza italiana. Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l'occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all'infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l'unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani.
10) I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo.

La discriminazione a scuola, nel lavoro e nella società

Dalla definizione di razze alla discriminazione ed espulsione di cittadini (e bambini) ebrei dalla vita sociale e dal mondo lavorativo e scolastico il passo fu breve.

Con la Disciplina dell'esercizio delle professioni da parte di cittadini di razza ebraica, del 29 giugno del 1939, venivano imposte limitazioni e divieti, in particolare per chi era "giornalista, medico-chirurgo, farmacista, veterinario, ostetrica, avvocato, procuratore, patrocinatore legale, esercente in economia e commercio, ragioniere, ingegnere, architetto, chimico, agronomo, geometra, perito agrario, perito industriale".

Con il Regio decreto legge N.1728 nel novembre 1938 (Provvedimenti per la Difesa della Razza Italiana) si stabilì poi il divieto di matrimoni misti tra ebrei e "cittadini italiani di razza ariana". Proibito anche prestare servizio militare o come domestici presso famiglie non ebree; possedere aziende con più di 100 dipendenti, essere proprietari di terreni o immobili oltre un certo valore; essere dipendenti di amministrazioni, enti o istituti pubblici (quindi anche scuole di ogni grado), banche di interesse nazionale o imprese private di assicurazione.

Venivano fatte eccezioni per i familiari di caduti nelle "guerre libica, mondiale, etiopica e spagnola, e caduti per la causa fascista"; mutilati, invalidi, volontari di guerra o decorati, iscritti al Partito Fascista della prima ora, legionari di Fiume o per coloro che avevano ottenuto benemerenze eccezionali.

Dopo l'armistizio dell'8 settembre, esattamente il 13 dicembre 1943, iniziò anche per gli ebrei italiani il periodo di deportazione e sterminio.

L'esempio della Germania

Le leggi razziali italiane seguirono l'esempio di quelle tedesche, emanate a partire dal 1933 e proseguite tra il '35 e il '38. Si iniziò con la Legge per il rinnovo dell'Amministrazione Pubblica, che pensionava gli impiegati pubblici non di discendenza ariana. Seguirono le leggi per la protezione dei caratteri ereditari, del sangue e dell'onore tedesco, oltre a quelle sulla cittadinanza, sui nomi, sul passaporto degli Ebrei, fino all'Ordinanza per l'esclusione dall'economia tedesca per questi ultimi.

Cibo razionato per i bambini

A gennaio del 1942, la Conferenza di Wannsee discusse invece della "Soluzione Finale" della questione ebraica, mentre il 18 settembre del 1942 venne emanato un Decreto per il razionamento alimentare per gli Ebrei, che vietava loro di ricevere carne e prodotti derivati, uova, farinacei (dolci, pane bianco, panini, fecola di grano, ecc) e latte fresco.

Le uniche eccezioni erano ammesse per bambini e ragazzi ebrei fino ai 10 anni, che potevano ricevere la razione di pane uguale a quella dei "normali consumatori"e per i bambini ebrei fino ai 6 anni d'età, che potevano contare sulla razione di grassi assegnata ai coetanei tedeschi, ma senza sostituti del miele e senza cacao in polvere. I ragazzi di età compresa dai 6 ai 14 anni non ricevettero invece più il supplemento di marmellata, mentre i bambini ebrei sino ai 6 anni continuarono a poter avere mezzo litro di latte fresco scremato al giorno.

Le recenti polemiche: da Vittorio Emanuele III ad Attilio Fontana

Il 17 dicembre scorso è rientrata in Italia la salma dell'ex re Vittorio Emanuele III, non senza polemiche: la Comunità ebraica italiana ha espresso "profonda indignazione", ricordando l'ex re come "complice di quel regime fascista di cui non ostacolò l'ascesa", colui che "avallò le leggi razziali" e che con quell'atto ha "gettato discredito e vergogna su tutto il paese", come spiegato da Noemi Di Segni.

E' di pochi giorni fa, invece, la bufera scatenata dalle parole del candidato di centrodestra alla Presidenza della Regione Lombardia.

Attilio Fontana, parlando di immigrazione, ha sostenuto la necessità di difendere la "razza bianca" dall'invasione di migranti. Dopo essersi scusato per "l'espressione sbagliata" ha anche ricordato la Costituzione ("È la prima a parlarne")..

Il riferimento è all'articolo 3, che però recita: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".

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Eleonora Lorusso