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Russiagate: Trump vs Fbi, senza esclusione di colpi

La guerra fra Trump e il "deep state" divampa, con l’Fbi nel ruolo dell’accusatrice e dell’accusata. E l'inchiesta si fa sempre meno "russa"

L'ormai logora formula "un nuovo capitolo del Russiagate" non autorizza a rifiutarsi di capire a che punto siamo nella vicenda.

Lo scontro fra Donald Trump e l’Fbi è cresciuto nuovamente d’intensità, ma questo non deve far perder di vista il bivio principale al quale lo scandalo è giunto.

Due sono le strade che il Russiagate si trova di fronte e solo una potrà essere imboccata: o si tratta di uno scandalo di riciclaggio internazionale di denaro; o si tratta di uno scandalo di spionaggio ai massimi livelli istituzionali.

Il Presidente, le Istituzioni

Prima di entrare nel merito, è ovvio constatare come la seconda ipotesi tenga l’amministrazione Trump molto più sulla graticola della prima, e abbia un potenziale d’impatto ben maggiore sia in termini legali, sia in termini d’immagine.

Tutto ciò senza mai dimenticare che Trump è un outsider a Washington; il suo duello con l’Fbi è quindi il termometro di due forze uguali e contrarie: in altre parole la domanda è quanto il Presidente intende armonizzarsi con le istituzioni e quanto le istituzioni (in questo caso la comunità dell’Intelligence della quale il Bureau è una delle massime espressioni) intendono a loro volta accettare la "novità" Trump?

Il licenziamento di James Comey è sembrata la risposta inequivocabile a questo interrogativo. Un muro contro muro, con al centro un gioco di matrioske capace di mescolare tempi e protagonisti, democratici e repubblicani, governi stranieri e 007 di ogni bandiera.

Questa mescolanza di situazioni e di cronologia è al tempo stesso la forza e la debolezza del Russiagate. Perché se è vero, da una parte, che i sospetti di collusione appaiono fondati, dall’altra gli ultimi sviluppi ci dimostrano come le indiscrezioni giornalistiche (o addirittura voyeuristiche) possano essere la base di autorevoli dossier d’indagine. E siamo al capitolo attuale.

Sembra che l’indiscrezione di un giornalista – Luke Harding - su festini hot di Trump a Mosca (per la serie: Trump ricattabile dai russi) coincida con la memoria di una ex spia britannica, Christopher Steele; a questo punto l’Fbi avrebbe deciso di muoversi, in quanto il dispaccio di un agente segreto ha più valore dell’indiscrezione di un giornalista.

Ora, questo dossier, detto tecnicamente memo, può essere reso pubblico come il memo successivo, in mano ai repubblicani del Congresso, dove invece è l’Fbi ad essere accusata di palesi e reiterate attività anti-Trump?

Il Grande Dilemma

L’Attorney General Jeff Sessions pensa il contrario: perché? Anche qui due le letture possibili: o per proteggere Trump, o per proteggere l’Fbi. Il primo eviterebbe la rivelazione di dettagli potenzialmente lesivi della sua immagine, la seconda la rivelazione dei propri metodi di lavoro e fonti.

Come se non bastasse il numero due del Bureau, Andrew McCabe si è appena dimesso. Dopo il licenziamento di Comey, del quale era il vice, era toccato a lui dirigere ad interim l’Agenzia fino alla nomina di Christopher Wray.

Dimissioni plateali dal momento che McCabe era in vista della pensione, e infatti il dettaglio che conta sono le frizioni avute in passato con Trump. Lo sappiamo grazie a Twitter (dovremo farcene una ragione…), dove abbiamo letto le accuse di Trump a McCabe per l’amicizia coi Democratici, sancita dalla candidatura della moglie per un seggio al Senato.

Come poteva McCabe indagare seriamente sulle mail di Hillary se intanto la moglie era scesa in campo in politica al suo fianco

Insomma, la foto di famiglia ai piani alti di Washington al momento dice questo: l’Fbi che Trump aveva ereditato da Obama ora non esiste più; Russiagate è ormai quasi impossibile da dipanare; la guerra tra Trump e il deep state sarà ancora lunga.

Non bisogna infine dimenticare che si tratta di una guerra giuridico-legale, dove cioè le categorie di bene e male, giusto e sbagliato si riferiscono unicamente al codice penale e non al codice morale.

Di santi, in questa vicenda molto americana e molto poco russa, sembrano essercene davvero pochi.

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Alessandro Turci

Alessandro Turci (Sanremo 1970) è documentarista freelance e senior analyst presso Aspenia dove si occupa di politica estera

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