Israele, arrivano i coloni "cool"
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Israele, arrivano i coloni "cool"

Israeliani vanno alle urne: l'astro nascente è Naftali Bennett, l'imprenditore hi-tech del partito nazional-religioso

«Ci sono alcune cose che, sappiamo tutti, non accadranno. I Soprano non torneranno in TV con una nuova stagione, e un accordo di pace con i palestinesi non ci sarà mai».

La campagna elettorale della Casa Ebraica (Habayt Hayehudi), il nuovo partito dei coloni, prende in prestito una delle più popolari serie televisive americane: signori e signori, ecco a voi la nuova destra nazional-religiosa di Israele.

Si vota martedì, per eleggere la Knesset, ossia il Parlamento, e di riflesso il prossimo governo. I conservatori (Likud) e i nazionalisti laici (Yisrael Beitenu), che corrono con una lista unica , sono dati per strafavoriti. E di conseguenza l'attuale premier Benjamin Netanyahu ha ottime possibilità di rimanere in carica. Ma il vero astro nascente della politica israeliana è Naftali Bennett. La cui missione, in soldoni, consiste nel rifare il look al partito dei coloni. Svecchiandolo, rendendolo più appetibile anche a un pubblico laico o moderato e, non ultimo, dandogli anche una patina “cool.”

Secondo i sondaggi, la Casa Ebraica potrebbe ottenere fino a 14 seggi su un totale di 120. Nasce dalle ceneri del Mafdal, lo storico partito dei coloni, che sostiene attivamente l'espansione degli insediamenti nei Territori occupati. Per sua stessa definizione, è una forza politica “nazional-religiosa” (datì leumì, in ebraico), che cioè si distingue sia dai tradizionali partiti ortodossi (ovvero haredì) e dai nazionalisti laici . Per esempio, a differenza degli ortodossi , la Casa Ebraica sostiene la riforma del servizio militare, in modo che anche i religiosi siano obbligati a prestare la leva (cosa cui gli ortodossi sono totalmente contrari, «perché è più importante studiare la Torah»). A differenza di Netanyahu, poi, è contraria tout court all'idea di uno Stato palestinese.

Un partito, insomma, che originariamente era pensato apposta per il pubblico, religioso ma non ortodosso , con una visione radicalmente nazionalista della politica di sicurezza, che abita gli insediamenti in Cisgiordania.

Tuttavia, a questo giro, sta facendo di tutto per corteggiare una fetta nuova dell'elettorato. Lo stesso Naftali Bennett è un leader decisamente atipico per una formazione vicina ai coloni: spigliato, 40 anni appena, vive a Tel Aviv, dove ha trovato il successo nell'hi-tech – un settore, in Israele, tradizionalmente associato alla borghesia liberale.

Non solo: il suo numero vice è una donna giovane... e dichiaratamente laica. Ayelet Shaked, 36 anni, nata e cresciuta nel quadrante Nord di Tel Aviv. Un'area geografica strettamente collegata nell'immaginario israeliano alla borghesia liberale (tanto che tzfonim, o “nordici”, è il termine che si utilizza per indicare i “fighetti”, generalmente laici e di sinistra, che abitano nei quartieri “bene” di Tel Aviv).

Ricapitolando: c'è una donna, laica e di Tel Aviv, che è il numero due di un partito che, almeno formalmente, si rivolge ai religiosi che abitano nelle colonie... è evidente che la Casa Ebraica sta cercando di intercettare un pubblico nuovo, i giovani laici dei grandi centri urbani, e di convincerli che sostenere gli insediamenti e anche nel loro interesse. Anche gli spot di Naftali Bennett, con le citazioni della TV americana, una grafica giovanile e gli iPhone bene in vista, si rivolgono chiaramente a questo tipo di target.

La loro forza, in un certo senso, sta nella delusione verso la politica tradizionale che molti giovani nutrono . Con tutte le dovute differenze, la destra e la sinistra sostengono (almeno formalmente) il principio dei “due popoli e due Stati”: una formula che risale all'epoca di Rabin e Clinton e che, a 20 anni di distanza, non si è mai realizzata. Naftali Bennett, dal canto suo, propone una formula chiara e alternativa: annettiamo a Israele una parte della Cisgiordania, l'area C, dove vivono 350mila coloni ebrei e solo 48mila palestinesi, e permettiamo ai palestinesi una qualche forma di autogoverno nel resto della West Bank, permettendo loro di muoversi «senza imbattersi in neppure un check point israeliano».

Una soluzione che, dice lui, «non è perfetta ma migliorerà la nostra situazione».

Certo, in questa equazione, non è ben chiaro se Bennett si sia mai chiesto sei i palestinesi accetterebbero un compromesso del genere... ma questo è un problema che si dovrà porre quando (e se) andrà al governo.

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Anna Momigliano