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Adozioni internazionali, tutti gli impedimenti e le difficoltà

Dall'Etiopia all'India, dal Congo al Nepal, gli ostacoli legali e burocratici che si presentano a chi intende adottare un bambino

Per migliaia di famiglie italiane, la scelta di adottare un bambino, spesso, si trasforma in un incubo, se non addirittura in un miraggio.
Mai come oggi, infatti, l’adozione internazionale è diventata un percorso ad ostacoli, costellato da difficoltà oggettive, carenze legislative, da blocchi e revisioni improvvise.

“Mancano gli accordi bilaterali tra i Paesi, un intervento concreto da parte delle ambasciate ma soprattutto una seria politica di governo nel processo di adozione”, dice Pietro Ardizzi, portavoce del Coordinamento nazionale “Oltre l’adozione” che rappresenta 25 enti accreditati per le adozioni internazionali.

Negli ultimi sei anni, dice Ardizzi, i governi che si sono succeduti in Italia, ad esclusione di quello di Gentiloni, si sono totalmente disinteressanti delle famiglie che hanno iniziato un percorso di adozione in un paese straniero.

“I politici hanno trascurato le relazioni internazionali con gli enti governativi stranieri preposti alle adozioni, creando ulteriori incertezze e difficoltà che si sono sommate a quelle oggettive che caratterizzano i singoli Paesi - spiega ancora Ardizzi – infatti, le criticità in cui versano oggi decine di famiglie italiane, che hanno un processo di adozione internazionale in atto, non sono imputabili solo ed esclusivamente alle decisioni assunte dai paesi stranieri”.  

Adozioni difficili, corsa a ostacoli

Sicuramente, sembrano essere cadute in un baratro senza via d’uscita le coppie che avevano iniziato le procedure di adozione di bambini in Etiopia.

Se la messa al bando delle adozioni internazionali di orfani etiopici che è stata approvata alcuni giorni fa dal parlamento di Addis Abeba per “far fronte al timore che i piccoli vengano maltrattati all'estero”, ha terrorizzato decine di aspiranti genitori, non ha però sorpreso né Ardizzi e né Massimo Vaggi, Presidente dell’associazione Nova, ente accreditato per le adozioni in numerosi paesi africani.

“La motivazione ufficiale dell'Etiopia appare più come una ‘scusa’ che non come una reale e concreta giustificazione a tale decisione- spiega Vaggi – ci sono altre ed importanti motivazioni politiche alla base di questo ‘stop’. Anche in Congo, alcuni anni fa, ci fu un dietrofront improvviso. In quel caso la decisione fu motivata dall’adozione di un bambino da parte di una famiglia di origini canadesi che si scoprì, successivamente, essere gay”. “Queste sono solo “foglie di fico” che, in realtà, nascondo situazioni molto complesse”, aggiunge. “Ad esempio, negli ultimi 4 anni, le difficoltà di adottare un bambino in Etiopia sono aumentate in modo esponenziale a fronte di una situazione politica interna già estremamente delicata- continua Vaggi- non a caso la revisione legislativa di Addis Abeba non ha sorpreso gli addetti ai lavori”.
“Nel 2014, infatti, è venuto meno il controllo del governo etiope sugli enti locali autorizzati alle adozioni e con i quali noi operavamo, creando una seria instabilità nel processo adottivo- prosegue Vaggi- questo ci ha indotto a chiedere, nel 2015, una rinuncia all’accreditamento in Etiopia dove noi operavamo già da moltissimi anni”.

L’associazione Nova, infatti, è ora essere operativa in altri Paesi africani, tutti comunque con gravi problemi di instabilità politica: Congo, Mali e Burundi.  

“Problema” Africa

“La situazione del Congo è per molti aspetti simile a quella etiope se non addirittura più esplosiva. I bambini sono ammassati all’interno delle strutture senza cibo e senza nessuna forma di assistenza- specifica il presidente di Nova- stessa cosa anche in Mali e Burundi dove guerre civili si susseguono lasciando un vuoto incolmabile nella politica sociale”.

“A questo occorre aggiungere che in tutti i paesi africani l’adozione non è percepita come una soluzione positiva per lo sviluppo e la crescita del bambino ma solo ed esclusivamente come un “furto” di un essere umano che appartiene a quella terra”, conclude Massimo Vaggi.  

I numeri delle adozioni in Etiopia

L'Etiopia è stata storicamente il terzo paese di origine al mondo per numero di adozioni internazionali fatte dagli italiani nel periodo 2004/2014, preceduta soltanto da Cina e Russia.

Dai 1.539 minori adottati nel 2004 si è passati a un picco di 4.553 minori adottati nel 2009, per concludere con 1.086 minori adottati del 2014 (ultimo dato ufficiale a disposizione), con una contrazione rispetto al picco del 76,1%.

Un calo dovuto anche alla crisi economica oltreché alle politiche di “chiusura” dei singoli Paesi.

Asia, Sud America e Est Europa

“Sono molti anche gli Stati non africani che stanno effettuando una revisione legislativa della disciplina in materia di adozione - ci spiega Andrea Zoletto, Presidente dell’associazione International Adoptions- con il fine di ridurre le adozioni internazionali in favore di quelle nazionali”.

Dunque non è solo l’Etiopia a mettere un freno alle famiglie straniere.

“Negli ultimi anni abbiamo assistito a un susseguirsi di nuovi regolamenti e quindi di nuove posizioni governative nei paesi dell’America del Sud oppure dell’Asia e dell’Est Europa che hanno ridotto sensibilmente se non in alcuni casi bloccato, le adozioni internazionali per favorire quelle da parte di famiglie locali”, continua Zoletto, esperto e profondo conoscitore delle procedure di adozione nei paesi asiatici.

Ma nonostante non vi sia una instabilità politica come per i Paesi africani, non vi sono minori difficoltà nell’adottare un bambino.

Nepal e India

“Sempre con maggiore frequenza ci scontriamo, all’interno di un singolo Paese, con legislazioni e atteggiamenti differenti in tema di adozioni internazionali– puntualizza- in alcune regioni dell’India e del Nepal vi è un assoluto divieto di adottare bambini, in altre, invece, non si riscontra nessun impedimento. Non vi è una omogeneità. E’ una situazione a macchia di leopardo e questo complica di molto le singole procedure”.

Inoltre, in moltoi casi, a bloccare o a rendere difficoltosa un’adozione internazionale, è il giudice della regione interessata dal procedimento e che deve rilasciare il nullaosta e la documentazione. 

“Ad esempio in Nepal o in India, può capitare che una adozione risulti difficoltosa per l’ignoranza dei giudici che non conoscono le leggi - conclude Andrea Zoletto- oppure che ignorano, incredibilmente, le procedure da applicare nelle adozioni internazionali”.

Lo “stop” dalla Commissione italiana

Intanto, in attesa di ulteriori sviluppi e informazioni dal Paese africano, anche la Commissione per le adozioni internazionali ha chiesto agli enti autorizzati ad operare in Etiopia di non assumere ulteriori incarichi da parte di famiglie desiderose di adottare un bambino e soprattutto di non proporre nuovi abbinamenti alle famiglie già in carico, proprio in considerazione della situazione di estrema incertezza degli iter adottivi.

Nonostante le difficoltà, però, prima del blocco annunciato da Addis Abeba la scorsa settimana, le adozioni erano comunque continuate anche se nell'ordine di poche centinaia.


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Nadia Francalacci