Coma Cose: «Non c'è più una scena alternativa, lo streaming ha uniformato tutto»
Mattia Guolo
Musica

Coma Cose: «Non c'è più una scena alternativa, lo streaming ha uniformato tutto»

Il duo milanese, formato da California e Fausto Lama, torna nei negozi con l'atteso album Un meraviglioso modo di salvarsi, una nitida fotografia della loro evoluzione musicale

Intimi, delicati e al tempo stesso dirompenti, i Coma Cose, duo tra i più interessanti dell'attuale scena musicale italiana, si sono messi in luce con l’EP Inverno Ticinese (2017), per poi fare il grande salto nel mainstream con gli album Hype Aura (2019) e Nostralgia (2021), che conteneva il successo sanremese Fiamme negli occhi (doppio disco di platino). Dopo essersi presi un anno sabbatico, il duo milanese formato da California e Fausto Lama torna nei negozi con l'atteso album Un meraviglioso modo di salvarsi, pubblicato da Asian Fake/ Epic Records Italy/ Sony Music Italy. Scritto dai Coma Cose insieme a Fabio Dalè e Carlo Frigerio e prodotto da Mamakass e Fausto Lama, Un meraviglioso modo di salvarsi è un disco intenso e intimo, nel quale il duo riflette su come vivere i rapporti, soprattutto quelli di coppia, in una società egocentrica che dà difficilmente modo di relazionarsi con le differenze dell’altro. Anticipato alcune settimane fa dal godibile singolo Chiamami, l'album racconta l’evoluzione artistica e personale del duo dalle origini fino a una chiara fotografia della loro musica oggi.

Avete descritto Un meraviglioso modo di salvarsi come una sorta di diario, un insieme di appunti e suggestioni musicali che spontaneamente sono diventati canzoni. Com'è nata l'idea di questo progetto?

California: «Alla fine del 2021, reduci da Sanremo e da un lungo tour, ci siamo fermati e ci siamo chiesti chi siamo e dove vogliamo andare. Abbiamo iniziato così a raccogliere idee e suoni, nel disco ci sono brani più rap legati al nostro primo periodo, mentre, ad esempio, ne La Resistenza c'è un tocco alla LCD Soundsystem, con un suono più da collettivo musicale. Abbiamo avuto modo di sperimentare la band allargata al concerto del Primo Maggio e vorremmo sviluppare in futuro questo tipo di sound»

Avete dichiarato che "questo disco è un piccolo invito a rallentare e provare a capire cosa ci può fare stare davvero meglio". A voi che cosa fa stare davvero meglio?

California: «Questo album è stato un esperimento per noi. Venivamo da due anni di "frullatore" con tante cose da fare, tra cui 30 date in 3 mesi, e ci siamo ritrovati con la necessità di dover staccare sia dai social che dalla vita sociale. Abbiamo capito che, in realtà, la cosa che ti fa stare bene è prenderti ogni giorno un momento tutto tuo per essere presente a te stesso, cercando di trovare sempre qualcosa di nuovo che possa stupirti e meravigliarti»

Avete detto che uno dei motivi del vostro allontanamento dalle scene era dovuto alla necessità di capire che senso ha oggi fare musica. Che risposta vi siete dati a questa difficile domanda?

Fausto: «Oggi la musica ha perso tanto valore, è diventata un sottofondo mentre si fa altro, legata alle piattaforme che la fanno fluire come una cosa usa e getta. Il nostro progetto non nasce da un'idea speculativa, ma dal mio personale canto del cigno in cui ho condiviso dei problemi che avevo con la mia fidanzata, diventando poi i Coma Cose fino ad arrivare a Sanremo. Il nostro percorso, che parte dal rap per poi spostarsi sull'elettronica ma con dei marker cantautorali, nasce da un'esigenza, da una impellenza di comunicare: senza quella non riusciamo a scrivere. Negli ultimi mesi ci sono arrivate molte proposte, abbiamo detto no a molte collaborazioni, mentre siamo molto contenti della nostra partecipazione al disco di Deda con il brano Change. A volte abbiamo anche accettato di collaborare con altri artisti, ma poi le cose non stavano in piedi. Questo non è un vanto, ma anche un limite: per far funzionare questa miscela sgangherata dei Coma Cose ci deve sempre essere una sincerità di fondo, partiamo sempre dalla nostra nostra intimità per poi allargarci. A volte ti chiedi se questo aspetto introspettivo, autoanalizzante possa interessare a qualcuno, se gli ascoltatori hanno voglia di farsi dei viaggi elucubrativi con i nostri brani, ma, per fortuna, in tanti hanno ancora voglia di vivere la musica come un'esperienza più profonda, in una maniera più immersiva»

Voi siete stati tra gli artisti che negli ultimi anni sono riusciti a fare il grande salto dalla scena alternativa al mainstream. Come vedete la scena alternativa di oggi?

Fausto: «So che potrei sembrare un po' naif, ma non so se oggi esista ancora una scena alternativa: nel senso, alternativa a che cosa, visto che sulle piattaforme streaming, che uniformizzano tutto, si trova qualsiasi cosa, anche le playlist alternative? Una volta c'erano le canzoni che passavano in radio, e per conoscere qualcosa di underground, proibito o rivoluzionario dovevi avere un amico che te la facesse conoscere. Il percorso per arrivarci era una parte della soddisfazione dell'ascolto, mentre oggi, se nella stessa playlist ci trovo il brano reggaeton da 1 miliardo di ascolti e il ragazzino da 5000 stream, mi sento confuso e faccio fatica a capire le differenze»

Nel vostro album c'è un brano, Napster, che parla della rivoluzione della musica digitale e che, in qualche modo, si ricollega alle tematiche della serie tv The Playlist, che racconta la nascita di Spotify, una grande vetrina per le band, che, però, offre ricavi modesti alla maggior parte degli artisti...

Fausto: «Napster l'abbiamo scritta alcuni mesi fa, ma è molto attuale rispetto a quanto raccontato in The Playlist: possiamo anche dire che lo streaming sia cattivo, ma l'alternativa qual è, la pirateria? Non se ne esce. Tutto cambia velocemente, noi siamo emersi alcuni anni fa, quando lo streaming era quasi una novità, un mezzo nuovo che veniva fruito con un entusiasmo diverso. Oggi è entrato a far parte della quotidianità, così ha iniziato un po' a livellarsi. Tutti noi, che componiamo la musica che poi finisce nelle playlist, facciamo il nostro. C'è una sorta di cinica meritocrazia nello streaming, magari tu, dal tuo punto di vista, porti tanto, ma la piattaforma è così immensa che il tuo tanto, in realtà, è niente in assoluto»

Nella serie The Playlist c'è anche chi afferma che la musica è un lavoro e che, come tale, vada pagata il giusto...

Fausto: «Io ho fatto 20-25 anni di gavetta prima di arrivare a cantare davanti a 3.000 persone, ho sempre fatto musica con la stessa attitudine: per me era un'esigenza interiore che poi, dopo anni in cui ho fatto un po' di tutto, è diventata anche un lavoro. Devi avere innanzitutto qualcosa da comunicare, e, se questa cosa incontrerà il consenso di gente che si rivede in te, hai fatto centro, diventerà una cosa ancora più grande e poi il tuo lavoro. A volte trovo che chi afferma "la musica è un lavoro", pretendendo tutto e subito senza affrontare un certo tipo di percorso, si pone in un modo po' arrogante: tutti possono fare musica, è vero, ma non per tutti deve diventare un lavoro»

Dopo il successo di Fiamme negli occhi e dell'album Nostralgia, avete sentito addosso la pressione di ripetervi?

California: «Avvertivamo la necessità di staccarci da tutto e di rimetterci nella nostra condizione di vita normale, cercando di tornare alle nostre origini e di capire chi siamo adesso e dove vogliamo andare domani. Ci abbiamo messo sette mesi per realizzare un album anche bello lungo per i nostri standard. Abbiamo cambiato completamente approccio nella composizione dei brani. Prima Fausto partiva da un testo scritto su carta e poi aggiungeva la musica dopo, invece adesso siamo passati al computer. Non solo è più ecosostenibile, ma cambiando approccio è cambiato un po' la penna, è un trick che ci ha dato nuovi stimoli e più libertà artistica, spesso siamo partiti dalla melodia e poi abbiamo messo le parole in un momento successivo»

Sto mettendo ordine è un omaggio al rap delle origini, e alla delusione per quando è diventato un clichè. Che ne pensate della scena hip hop italiana di oggi?

Fausto: «La storia del rap italiano è fatta di grandi cicli: è partito dalle posse e dai centri sociali tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta, ispirando gruppi impegnati come i Sangue Misto e i Colle Der Fomento per poi arrivare nel Duemila con la prima grande diaspora, in cui i Club Dogo hanno creato una nuova attitudine. Marracash ha fatto alcuni mesi fa un album molto profondo come Noi, loro, gli altri, che mi ha dato coraggio per scrivere il nostro. Oggi c'è bisogno di aprire la parte conscious perchè forse siamo esasperati dalla canzone usa e getta. Visto che il rap è un genere basato sui testi, è giusto che le parole vengano usate bene»

Che ricordi avete e che cosa avete imparato della vostra esperienza a Sanremo con Fiamme negli occhi?

California: «Noi siamo partiti con molte paure, per noi è stata una piccola lotta portare Fiamme negli occhi, avevamo anche paura di non essere capiti perché, sia nel nome che nel look, non siamo molto rassicuranti. Siamo andati con serenità e con un pizzico di sfacciataggine, il brano non convinceva molto l'etichetta, né la giuria: c'era grande scetticismo intorno a noi. Quando siamo entrati sul palco la prima sera e abbiamo avvertito tutto quel calore dal pubblico, si è creata una magia. Forse è arrivata la nostra genuinità e la nostra voglia di metterci in gioco con un pezzo scritto e composto da noi in cameretta, prodotto insieme ai nostri amici: tutto questo ci ha difeso da una cosa che era più grande di noi. Alcuni giornalisti ci hanno chiesto qual'era il messaggio della canzone, ma, il realtà, l'unico messaggio era l'amore tra di noi»

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Gabriele Antonucci