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Usa 2024: Trump pronto a fronteggiare la nuova incriminazione

Usa 2024: Trump pronto a fronteggiare la nuova incriminazione

L’ex presidente ha confermato la seconda incriminazione. Ma il doppiopesismo del Dipartimento di Giustizia suscita dei dubbi

Una nuova tegola giudiziaria si è abbattuta su Donald Trump. Secondo Nbc News, il procuratore speciale, Jack Smith, ha formalmente notificato ai legali dell’ex presidente che il loro cliente è il target di un’indagine penale. Questo vuol dire che l’ex presidente ha ricevuto un’incriminazione per la questione dei documenti classificati, che aveva trattenuto nella sua casa in Florida. Smith dovrebbe presentare presto le proprie conclusioni al procuratore generale, Merrick Garland, che dovrà a sua volta acconsentire o meno a un’eventuale (e a questo punto assai probabile) richiesta di incriminazione. Nel caso in cui arrivasse, si tratterebbe della seconda incriminazione ai danni di Trump, dopo quella piovutagli addosso a marzo su input del procuratore distrettuale di Manhattan, il dem Alvin Bragg.

Che le cose si stessero mettendo male per l’ex presidente, non era un segreto. Lunedì, gli avvocati di Trump avevano avuto un incontro con il procuratore speciale e con altri funzionari del Dipartimento di Giustizia. Subito dopo, l’ex presidente aveva bollato su Truth l’indagine come una “bufala”, accusando inoltre Smith di essere un “marxista”. Mercoledì, era inoltre tornato alla carica, definendo “fascisti” l’Fbi e il Dipartimento di Giustizia. Ricordiamo che Smith è stato nominato a novembre da Garland per indagare sull’ex presidente in riferimento a due filoni: quello dei documenti classificati, confiscati dall’Fbi ad agosto nella sua villa in Florida, e quello concernente il tentativo di ribaltare il risultato delle elezioni del 2020. Tra l’altro, era il 2 giugno quando Cnn riportò che il procuratore sarebbe entrato in possesso di un audio risalente all’estate del 2021: un audio in cui l’ex presidente avrebbe ammesso di aver trattenuto materiale classificato relativo a un potenziale attacco contro l’Iran. La testata ammise tuttavia a sua volta di “non aver ascoltato la registrazione”.

Molti repubblicani sposano la tesi di Trump, secondo cui sarebbe in atto una “caccia alle streghe”, imbastita dall’amministrazione Biden per azzoppare la sua campagna elettorale. Non a caso, appena pochi giorni fa, il presidente della commissione Giustizia della Camera, Jim Jordan, aveva chiesto a Garland di fornire delle versioni non segretate del memorandum contenente gli obiettivi precisi dell’indagine di Smith e di quello contenente gli scopi dell’inchiesta di Robert Hur: il procuratore speciale, nominato dallo stesso Garland a gennaio, per indagare sui documenti classificati indebitamente trattenuti da Joe Biden.

Ed è qui che si pone il primo problema. Che fine ha fatto l’indagine sul presidente in carica? Ricordiamo che tra novembre e gennaio sono stati trovati incartamenti sensibili in una delle sue case in Delaware e in un suo ex ufficio a Washington: incartamenti che risalivano ai tempi in cui Biden serviva come vicepresidente e, addirittura, come senatore degli Stati Uniti. Non solo. L’Fbi ha confiscato nelle sue dimore anche dei taccuini, in cui si sospetta che possano essere state trascritte delle informazioni sensibili. Come mai nelle scorse settimane sono uscite indiscrezioni relative all’indagine su Trump e ancora non si sa praticamente nulla sugli sviluppi di quella concernente Biden? Tanto più che Biden si è guardato bene dal rendere noto il ritrovamento (verificatosi il 2 novembre) dei primi documenti nel suo ex ufficio, assai probabilmente per non compromettere i dem alle ultime elezioni di Midterm (tenutesi l’8 novembre).

Un secondo problema è la credibilità dell’Fbi, soprattutto dopo il rapporto recentemente pubblicato dal procuratore speciale John Durham, che ha evidenziato tutte le storture commesse dai federali contro Trump ai tempi del cosiddetto caso Russiagate. Una circostanza, questa, che certo non rafforza la credibilità dell’indagine di Smith. Un terzo problema riguarda la possibilità di dimostrare l’intenzionalità dell’eventuale reato. È vero che il procuratore sembrerebbe in possesso di un audio compromettente. Ma si tratta comunque di qualcosa di difficile da dimostrare. Hillary Clinton, nel 2016, si salvò dall’incriminazione per la questione delle email non perché non ci fossero delle irregolarità, ma perché non fu considerato dimostrabile dall’Fbi che quelle irregolarità fossero state commesse consapevolmente. Infine, una domanda. Ma l’indagine penale su Hunter Biden che fine ha fatto? È dal 2018 che la procura federale del Delaware la sta portando avanti. E non è stato ancora deciso se procedere o meno con un’incriminazione. E pensare che Smith si accinge a incriminare Trump dopo appena sette mesi d’inchiesta!

È chiaro che l’ex presidente cercherà di sfruttare questo doppiopesismo per cavalcare la tesi della persecuzione giudiziaria e ridurre così i margini di manovra dei suoi avversari per la nomination presidenziale repubblicana: da Ron DeSantis a Mike Pence, passando per Chris Christie. La prima incriminazione, è bene ricordarlo, ha favorito Trump nei sondaggi e nella raccolta fondi. La domanda a questo punto è: l’ex presidente sarà in grado di continuare a cavalcare efficacemente i suoi guai giudiziari? O questa situazione è destinata a stancare prima o poi gli elettori? Per dirlo, è ancora presto. Ma Trump, questo è certo, è tutt’altro che fuori gioco.

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