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La Serie A in Australia non piace ai tifosi e neanche alla Uefa

La Serie A in Australia non piace ai tifosi e neanche alla Uefa

Nessuna decisione sulla richiesta di giocare Milan-Como a Perth. Un’idea che non piace a quasi nessuno, così come la volontà del Barcelliona di spostare la Liga a Miami. Ecco cosa c’è dietro l’ultima battaglia dei club europei

La scelta della Uefa di non decidere sulla richiesta di Serie A e Liga spagnola di portare in giro per il mondo i rispettivi campionati, il nulla di fatto è maturato nel Comitato Esecutivo di Tirana del 12 settembre, segna un punto a favore dei proponenti. In sostanza, l’aria che tirava in vista dell’appuntamento dei vertici del massimo organismo calcistico europeo portava dritta alla bocciatura della proposta e aver guadagnato tempo consente ai dirigenti italiani e spagnoli di provare a costruire un consenso che oggi manca.

La formula utilizzata dalla Uefa per legittimare la mancata decisione è quella della necessità di ulteriori approfondimenti: “Il comitato ha riconosciuto che si tratta di una questione importante e in crescita, ma ha espresso il desiderio di assicurarsi di aver ascoltato le opinioni di tutte le parti interessate prima di giungere a una decisione definitiva”. Tra le parti interessate, ha spiegato Nyon, andranno ascoltati anche i tifosi che dal loro punto di vista hanno espresso da tempo contrarietà, allergici a qualunque forma di sperimentazione.

Difficile giustificare la trasferta di una partita di campionato in Australia (Milan-Como in programma a inizio febbraio 2026) con l’impossibilità di trovare uno stadio con capienza sufficiente senza volare a Perth: 14mila chilometri andata e altrettanti ritorno. “Non è un capriccio ma un’esigenza” ha spiegato il presidente della Lega Serie A, Ezio Maria Simonelli, che ha recepito l’input di procedere alla trasferta australiana proveniente soprattutto dal Milan.

L’idea è che portare dall’altra parte del mondo una delle 380 partite del campionato di Serie A, che non si può giocare a San Siro a causa della concomitanza con la cerimonia d’apertura delle Olimpiadi di Milano Cortina, possa aiutare il calcio italiano a esportare il proprio brand, aprirsi mercati nuovi. Lo stesso pensiero che ha fatto il Barcellona chiedendo di giocare a Miami la sfida con il Villarreal a dicembre.

Non è detto che sul piede di guerra ci siano solo i tifosi, però. In Spagna, ad esempio, la forza d’opposizione maggiore al progetto del Barcellona viene dagli arci rivali del Real Madrid che hanno preso carta e penna per scrivere a federazione, Uefa e Fifa chiedendo di opporsi alla concessione della deroga ai catalani. Le ragioni affondano quasi certamente nella secolare rivalità tra i due club, ma è indubbio che la presa di posizione del Real Madrid sveli come il fronte non sia compatto nemmeno nelle stanze delle società.

Non è una novità nemmeno questa: da tempo ormai le istanze delle multinazionali del pallone e dell’altro calcio – provinciali e non solo – sono differenti se non opposte: la Uefa e la Fifa hanno strappato allargando i format della Champions League e del Mondiale per Club, ma ora la sfida si è spostata sul core business del calcio di un tempo e anche di oggi che è il legame inscindibile tra una squadra e la sua gente che si esprime principalmente nella possibilità di seguirla sempre e comunque nella gare di campionato e delle coppe europee.

Il sospetto è che mandare in Australia Milan-Como (e a Miami il Barcellona) creerebbe il precedente cui appellarsi per arrivare poi a spostare in giro per il mondo un’intera giornata della Serie A e della Liga. Non è una cosa detta tanto per spaventare i tifosi italiani, spennati ormai in ogni atto che compiono per provare ad alimentare l’amore per le rispettive squadre; a dire che mandare il debutto del campionato negli States è “un sogno” è stato lo stesso presidente di Lega Simonelli non più tardi della scorsa estate. Comprensibile che tutti gli altri si siano messi sul piede di guerra.

La domanda è: esiste un prezzo giusto, e se esiste qual è, per tagliare il cordone ombelicale? La risposta della “non scelta” della Uefa è che ci può essere un prezzo per tutto. Quella degli altri soggetti interessati, che pomposamente vengono definiti “stakeholders” è chiara da tempo e nemmeno tanto difficile da comprendere e interpretare.

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