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La nuova corsa alla terra: perché i terreni agricoli sono l’investimento del momento

La nuova corsa alla terra: perché i terreni agricoli sono l’investimento del momento

Dopo 20 anni, il prezzo dei terreni agricoli torna a salire. Grazie al ricco business dell’energia rinnovabile e degli stranieri che comprano nei luoghi più iconici della Penisola

Dimenticate le criptovalute, l’oro o i titoli di Stato. Il “nuovo” investimento si chiama terra. Niente a che vedere con qualche diavoleria finanziaria per salvare il pianeta, ma semplicemente il ritorno a un bene antico che si sta riscoprendo denso di prospettive economiche. Una volta i terreni facevano parte della dote a una figlia o erano l’ambita eredità di un genitore facoltoso. Pian piano però sono stati dimenticati, specie quelli a ridosso della costa considerati, prima della speculazione edilizia trainata dal boom del turismo, senza valore, perché destinati al pascolo.

Noto il caso dell’area della Costa Smeralda venduta all’Aga Khan a prezzi stracciati rispetto a quelli che avrebbe raggiunto in seguito. Nessuno immaginava l’enorme potenziale immobiliare futuro. Qualcosa di simile, ovvero la rivalutazione del bene, sta avvenendo anche oggi solo che ora c’è consapevolezza delle prospettive di guadagno. Il nuovo business dell’energia verde (biogas e agrivoltaico) spinge i prezzi dei terreni agricoli in Italia che, per la prima volta dopo vent’anni, battono l’inflazione, con un’inversione di tendenza destinata a prolungarsi.

Sono sempre più gli investitori che acquistano terreni da destinare alla produzione di energia rinnovabile. Una sfida favorita dalla possibilità di ottimi guadagni e determinata dagli obiettivi di decarbonizzazione dell’Unione europea: coprire il 42,5 per cento del consumo energetico con fonti rinnovabili entro il 2030 e raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.

La corsa alle rinnovabili sui terreni agricoli ha come data di inizio l’8 novembre 2021, quando il governo presieduto da Mario Draghi ha emesso il cosiddetto Decreto energia, che doveva servire a stimolare la produzione di energia da fonti green. L’atto prevedeva una serie di sussidi per la costruzione di impianti di energia da fonti pulite, dava il via libera a una procedura semplificata per le autorizzazioni e fissava in 180 giorni dalla sua approvazione il termine per stabilire «principi e criteri omogenei per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee all’installazione» degli impianti.

Subito dopo la pubblicazione sono piovute le richieste al ministero dell’Ambiente. Tutti a caccia della nuova gallina dalle uova d’oro. E i prezzi hanno iniziato a salire. Il fenomeno ha inizialmente interessato il Mezzogiorno, Sardegna, Sicilia e Puglia. Ma negli ultimi tempi sono cresciute le richieste in Pianura Padana e in particolare in Emilia-Romagna, dove i piani di connessione si attestano su 10 gigawatt.

Anche per questo l’anno scorso il prezzo dei terreni in generale, ha superato dello 0,2 per cento circa l’inflazione a livello nazionale, attestandosi intorno all’1 per cento. Non stiamo parlando di un asset speculativo e la percentuale può apparire modesta, ma visto che si tratta di un bene rifugio non soggetto a rapide oscillazioni, il dato è rilevante.

Inoltre, va considerato che il valore è una media tra zone che hanno quotazioni e trend molto differenti tra loro. A fare il punto è il rapporto 2025 del Crea che indica in 22.400 euro il prezzo medio per ettaro, risultato dei 47.100 euro pagati nel Nord-Est, i circa 35.200 euro nel Nord-Ovest (dove si registra l’aumento maggiore dei prezzi, +2,3 per cento) e i valori nel Centro-Sud e nelle Isole, rispettivamente sotto i 16 mila e i 9mila euro. Le compravendite sono salite del 4 per cento, con punte del 9 per cento nell’Italia centrale.

Il costo di un terreno dipende da numerosi fattori: se è adibito a pascolo o è ricoperto da un un bosco vale poco, ma se invece è coltivato a vigneti con uve di pregio può raggiungere quotazioni stellari. Come nelle Langhe, dove i filari del Barolo arrivano addirittura a 2,3 milioni per ettaro, quelli Doc della zona del lago di Caldaro, in Alto Adige, a 1,1 milioni. La stessa quotazione della Doc Bolgheri, ormai sullo stesso livello, sempre in Toscana, di Montalcino e dei suoi vigneti a Brunello per i quali si sfonda il tetto del milione di euro all’ettaro.

Non sono da meno le Docg di Valdobbiadene, culla storica del Prosecco Superiore, dove si può arrivare fino a 500 mila euro l’ettaro. Tra i terreni agricoli più preziosi figurano anche i meleti del Trentino in Val Venosta con picchi da 450 mila a 750 mila euro a ettaro. Così come nella piana di Albenga, dove quelli impiegati nell’ortofloricoltura possono fruttare anche 500 mila euro. Il suolo agricolo che vale meno a livello economico secondo l’analisi del Crea, invece, è quello dei pascoli della provincia di Catanzaro (tra mille e 2 mila euro l’ettaro).

Ci sono anche altri fattori che fanno il prezzo. Al Nord c’è una maggiore presenza di terreni in aree pianeggianti e irrigue, ma anche il più elevato tasso di urbanizzazione e, di conseguenza, di consumo di suolo agricolo, che riduce l’offerta di terreni, spesso non sufficiente a soddisfare la domanda. Nelle aree interne e montane, invece, c’è grande disponibilità da parte di agricoltori anziani e aziende in difficoltà economiche che non trova riscontro sul mercato.

Nel rapporto si legge che «risulta evidente l’influenza sui prezzi di alcuni fenomeni connessi al cambiamento climatico e alla diffusione di impianti per la produzione di energia rinnovabile». Poi si sottolinea che «lo scenario del mercato fondiario appare moderatamente positivo seppure nell’incertezza che nasce da eventi climatici sempre più estremi e dannosi e di conseguenza dalla tendenziale riduzione della redditività delle produzioni».

C’è poi il capitolo dei terreni incolti, pari a un milione e mezzo di ettari. «I prezzi sono in aumento e la domanda supera l’offerta. La terra non è un investimento ad alto rendimento, è a basso rischio, è sicuro ed è un bene rifugio» sottolinea l’autore del rapporto, Andrea Arzeni. «E mentre negli ultimi anni l’investimento veniva eroso dall’inflazione, ora c’è un mutamento che dovrebbe continuare a lungo. Emerge come principale novità l’interesse dei fondi stranieri per alcune aree, come i paesaggi iconici di Piemonte e Toscana per fini non agricoli ma di status».

Ma non c’è solo la finanza a puntare sulle aree più belle e quindi economicamente promettenti. Anche i giovani hanno riscoperto l’agricoltura come sbocco lavorativo. Secondo un’analisi di Coldiretti su dati Istat, nel secondo trimestre del 2025 gli occupati under 35 nei campi sono aumentati del 18 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, raggiungendo oggi quota 122 mila.

E c’è anche un altro dato non marginale: oltre un terzo delle imprese agricole nate negli ultimi cinque anni ha un titolare sotto i 35 anni. Accanto alle attività tradizionali quali la gestione delle colture, la raccolta, l’allevamento, emergono ruoli legati all’agricoltura di precisione, alla gestione digitale dei processi produttivi, al marketing territoriale e all’agriturismo sostenibile.

Nascono così i “contadini digitali” che usano i droni per monitorare le coltivazioni, gli esperti di big data agricoli, che ottimizzano le risorse idriche, e gli agronomi che fanno della biodiversità una leva economica importante.

Nonostante questa ventata di novità, l’agricoltura continua ad avere la più alta percentuale di operatori anziani. «Sono sostanzialmente tre le difficoltà per le nuove generazioni: l’accesso alla terra, alle conoscenze e al credito. Un giovane agricoltore che non ha terra o ne ha poca e vuole chiedere un prestito deve fornire alle banche garanzie che non ha e così spesso per una start-up si appoggia economicamente sulle spalle dei genitori» conferma a Panorama Enrico Parisi, delegato nazionale di Coldiretti Giovani.

La soluzione? «Creare un microcredito agricolo, ovvero un finanziamento con budget da 30-40mila euro che dia al giovane la possibilità di avviare la sua azienda e avere a disposizione un periodo di ammortamento di tre anni. Sarebbe un’importante boccata d’ossigeno per tutto il settore. C’è poi il tema del ricambio generazionale che va affrontato con strumenti di politica adeguati».

Eppure, tra mille difficoltà e ostacoli, è in atto una rivoluzione in agricoltura e la terra, che un tempo era solo fatica, può diventare visione e futuro per investitori e giovani.

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