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Atleti trans alle Olimpiadi? Cosa ci aspetta per i Giochi del 2028

Atleti trans alle Olimpiadi? Cosa ci aspetta per i Giochi del 2028

Il CIO prepara nuove regole per gli atleti transgender: perizie scientifiche, pressioni politiche e timori per la categoria femminile segnano il dibattito in vista di Los Angeles 2028

La questione trans entra sempre più prepotentemente nel cuore delle decisioni strategiche del Comitato Olimpico Internazionale (CIO). A pochi anni dai Giochi di Los Angeles 2028, lo spettro di una politica universale di esclusione degli atleti transgender dalle competizioni femminili non è più una certezza assoluta: è giunta sul tavolo di decisione dei vertici olimpici.

Finora, come previsto dalle linee guida in vigore, la responsabilità della regolamentazione su chi possa o meno partecipare, basata su aspetti come livelli di testosterone o altri criteri biologici, è stata lasciata alle singole federazioni sportive internazionali. Un mosaico di standard, spesso conflittuali e molto diversi l’uno dall’altro. Un vero coacervo decisionale. 

Coventry: «Proteggere la categoria femminile, ma con equilibrio»

Dal suo insediamento nel giugno 2025, Kirsty Coventry, plurimedagliata ex nuotatrice e prima donna presidente del CIO, ha deciso di imprimere una svolta netta sulla questione. Le sue parole risuonano come un manifesto di metodo e di principi:

«Quando parliamo della categoria femminile, dobbiamo proteggerla, ma farlo nel modo più giusto possibile.»Kirsty Coventry, conferenza stampa del CIO, dicembre 2025 

Il presidente del comitato ha ufficialmente dichiarato che una politica olimpica uniforme per l’ammissibilità degli atleti transgender sarà presentata entro l’inizio del 2026, dopo consultazioni approfondite e l’apporto di esperti, federazioni e stakeholder.

L’ex atleta olimpica non nasconde le difficoltà: «Forse non sarà facile trovare un consenso, ma dobbiamo fare del nostro meglio per proteggere la categoria femminile.» 

E insiste su un altro punto spesso dimenticato nel dibattito pubblico: «Lo sport è un diritto umano. A livello di base, a livello ricreativo, tutti dovrebbero avere accesso. Questo non cambierà.»

Verso una categoria apposita o definitiva estromissione? 

Le voci di una possibile esclusione totale degli atleti transgender dalla partecipazione femminile ai Giochi Olimpici sembrerebbero essere la maggioranza. Diverse testate internazionali, citando fonti interne, hanno riportato che il Comitato starebbe considerando un divieto generale, un atto che, se confermato, costituirebbe un precedente epocale nello sport internazionale.

Tuttavia, al momento nessuna decisione formale è stata adottata. Il CIO ha ribadito che il gruppo di lavoro dedicato alla questione continua a discutere e a valutare i dati scientifici disponibili, senza ancora adottare regole definitive. Le eventuali ripercussioni politiche sembrano preoccupare gli addetti ai lavori della massima espressione sportiva esistente. 

Il braccio di ferro tra scienza, equità e inclusione

All’origine della revisione delle regole c’è un dato di fatto: le differenze atletiche dopo la pubertà rappresentano una delle principali preoccupazioni per molti sportivi e dirigenti. Esperti di medicina dello sport e alcune federazioni sostengono che, se un atleta è stato sottoposto a pubertà maschile prima della transizione, è inevitabile che permangano vantaggi biologici significativi, difficilmente neutralizzabili anche con ormonoterapia. 

Coventry ha scelto di definire questo approccio «scientifico ma consultivo», lavorando a stretto contatto con rappresentanti di federazioni come il pugilato e l’atletica leggera, che hanno già introdotto test particolari o criteri più rigidi nelle loro competizioni. 

Reazioni politiche e culturali: un tema globale

Oltre alla comunità sportiva, il dibattito ha travalicato i confini olimpici e raggiunto le stanze dei governi. Negli Stati Uniti, per esempio, un ordine esecutivo firmato dall’amministrazione Trump ha proibito agli atleti transgender di gareggiare negli sport scolastici femminili e ha chiesto al CIO di allinearsi a tale linea anche per i Giochi di Los Angeles 2028.

Tutti ricordano molto bene le polemiche sorte per il pugile algerina Imane Khelif,la qualeaveva vinto la medaglia d’oro ai giochi di Parigi nel 2024. Il caso di quest’ultima si è concluso quest’anno: l’atleta non è stata ammessa ai mondiali femminili e nemmeno all’Eindhoven cup per il rifiuto di effettuare i test genetici sul sesso. Test che erano stati introdotti proprio a causa delle polemiche sorte durante gli agoni francesi. 

Uno sguardo al futuro: tra fair play e diritti umani

La decisione che verrà annunciata nel corso dei prossimi mesi avrà un impatto profondo non solo sulle Olimpiadi, ma anche sulla cultura sportiva globale. Coventry è consapevole della delicatezza del tema: da un lato lo sport di élite richiede pari opportunità competitive, dall’altro la sua dichiarata missione è di assicurare che lo sport resti un veicolo di inclusione e diritti universali.

Nei prossimi mesi, con l’avvicinarsi dell’annuncio ufficiale atteso a inizio 2026, il mondo dello sport seguirà con attenzione ogni intervento, ogni dichiarazione, e ogni dato scientifico reso pubblico dal CIO.
Una cosa è certa: in qualsiasi modo si concluderà la vicenda sicuramente non mancheranno le polemiche, tra chi inneggerà alla transfobia e chi invece riconoscerà nella decisione di preservare lo sport femminile un atto doveroso e dovuto. 

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