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La blockchain al servizio dell’arte

  • Per fare chiarezza sulla piattaforma tecnologica più vagheggiata del momento, Panorama.it lancia il suo approfondimento. Corredata da video realizzati in collaborazione con Sda Bocconi School of Management, l’inchiesta è pubblicata in cinque puntate a partire dal 3 marzo 2020.
  • Quinta puntata: come l’innovativa tecnologia ha rivoluzionato il mondo dell’arte, facendo nascere il filone della CryptoArt. La testimonianza degli artisti Hackatao che, dalle montagne della Carnia, sono stati fra i primi al mondo ad aderire al nuovo movimento.

Allo scoppio della pandemia da Covid, gli artisti Hackatao hanno subito colto lo spirito dei nuovi tempi. «La CryptoArt è l’arte perfetta per questi tempi di epidemia» hanno twittato il 6 marzo 2020 in inglese. «Gli artisti e i collezionisti si incontrano in spazi asettici virtuali senza mascherine. Le opere viaggiano senza dover varcare frontiere fisiche. Per goderla, non si deve andare in luoghi affollati. La CryptoArt è pronta per l’Apocalisse». Il tweet illustrava un’opera digitale del duo artistico: Tic Tac… Unchain your Life… Tic Tac, una coloratissima raffigurazione della morte, con tanto di falce e mantello, per sdrammatizzare il clima di quei giorni cupi.


La blockchain al servizio dell’arte
Tic Tac… Unchain your Life… Tic Tac (Hackatao)
Tic Tac… Unchain your Life… Tic Tac (Hackatao)


Già, le opere d’arte digitali. È grazie alla blockchain, registro digitale decentralizzato che certifica l’opera come se fosse un notaio digitale la cui autenticazione è valida a livello globale, se questo nuovo filone artistico ha trovato un mercato e quindi ha potuto espandersi. La CryptoArt è ufficialmente nata il 27 dicembre 2017, quando Jason Bailey, un giovane ingegnere di Boston, ha scritto sul suo blog, ArtNome, un articolo dal titolo programmatico: The Blockchain Art Market is Here. «Ci ho messo degli anni» si legge nell’incipit dell’articolo, «a capire cos’è la blockchain e perché è importante per il mercato dell’arte. «Ora che la capisco un po’ meglio, consiglio fortemente agli artisti e ai collezionisti di prenderla sul serio». In quell’articolo premonitore, il giovane che si definiva un nerd dell’arte annunciava che la blockchain avrebbe «turbato il mercato dell’arte».

A due anni di distanza, le premonizioni di Jason Bailey sono diventate realtà. L’ingegnere bostoniano sosteneva che la blockchain avrebbe incentivato le vendite dell’arte digitale, democratizzato gli investimenti nelle belle arti, ridotto la contraffazione e creato un modo più etico di pagare gli artisti. Ebbene, oggi la blockchain ha rivoluzionando il mercato dell’arte. La casa d’arte Christie’s, per esempio, è stata la prima nell’ottobre 2018 a battere all’asta opere d’arte fisiche certificate con la blockchain.

L’asta ha segnato un record per l’artista americano Edward Hopper, la cui tela Chop Suey è stata venduta per quasi 92 milioni di dollari. Quanto all’arte digitale, possiamo dire che in 24 mesi le vendite sono esplose: 5.681 le opere collezionate tramite la galleria d’arte newyorkese SuperRare per un totale di 654.351 dollari al cambio attuale, piuttosto basso. Gli investimenti in opere d’arte sono diventati alla portata di tutti o quasi: il prezzo medio di vendita di un’opera da SuperRare è di 117 dollari. Grazie alla tracciabilità il fenomeno della contraffazione si è ridotto. E gli artisti sono pagati di più, perché oltre ai proventi delle vendite possono contare su una provvigione del 10% a ogni passaggio nel mercato secondario.

Spiegano gli Hackatao: «Quando noi tokenizziamo un’opera, cioè la registriamo sulla blockchain, questa può essere acquistata subito al prezzo da noi impostato. In alternativa, un collezionista può farci un’offerta, che noi decidiamo se accettare o meno. Una volta concluso l’acquisto, il codice dell’opera viene trasferito nel portafoglio del collezionista. Resta però visibile sulla piattaforma SuperRare e in tal modo può ricevere altre offerte dagli altri collezionisti. Ciò permette di mantenere il mercato secondario molto dinamico, oltre a garantire all’artista, a ogni passaggio dell’opera il 10% royalties da parte dell’acquirente».

Gli Hackatao sono gli alfieri planetari della Cryptoart. In un’ottica molto glocal, la coppia (nell’arte e nella vita) ha aderito alla nuova corrente artistica nata a New York da Oltris, il minuscolo borgo medioevale sulle montagne della Carnia in cui si è rifugiata in fuga da Milano nel 2013. Attivi in campo artistico dal 2007, Nadia Squarci e Sergio Scalet hanno esposto in tutto il mondo, dagli Stati Uniti alla Cina, passando per Gran Bretagna, Spagna e India. E nei primissimi mesi del 2018 hanno scoperto la CryptoArt.

«Tutto è iniziato quando ho letto su Le Scienze un articolo dedicato alla blockchain e ho capito il suo potenziale per il mondo dell’arte» racconta Sergio Scalet, un montanaro barbuto nato 46 anni fa in Trentino. «Su Internet mi sono imbattuto in Jason Bailey, l’ingegnere di Boston poi diventato uno dei massimi esperti di Cryptoart al mondo. È stato lui a presentarci alla galleria d’arte newyorkese SuperRare, esattamente due anni fa, fondata a New York nel 2018 da tre giovani startupper e a oggi la più importante al mondo».


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Kim Jong-Un Dead or Alive (Hackatao)
Kim Jong-Un Dead or Alive (Hackatao)


A partire da quel momento gli artisti sono stati risucchiati in un vortice globale. Il 14 aprile 2018, Sergio e Nadia hanno realizzato la loro prima opera di CryptoArt, Girl next door, mettendola in vendita sulla piattaforma SuperRare, che opera attraverso Ethereum, una blockchain aperta che usa la criptovaluta Ether, la seconda più importante al mondo dopo i Bitcoin. Nel giro di due anni, dopo aver esposto in mostre collettive di Cryptoart a Denver e a Manchester e venduto 115 opere, gli Hackatao sono diventati fra i massimi esponenti al mondo, assieme al londinese XCOPY e al californiano Coldie, del nuovo movimento che fa arte con il linguaggio dei Millennial.

Ma non c’è solo la galleria newyorkese. Gli artisti carnici hanno iniziato a esporre anche nella seconda galleria digitale al mondo, KnownOrigin di Manchester, che in tutto ha venduto 11.436 opere. Nel giugno 2019, la galleria britannica ha organizzato una mostra a cui gli Hackatao hanno partecipato (in quel caso anche fisicamente). E il 24 aprile scorso hanno esposto alla mostra CR(Y)PTALY, che avrebbe dovuto essere un’esposizione fisica in occasione dell’evento EthTurin e invece, a causa del Covid-19, è stata solo virtuale.

Un successo stupefacente, per due artisti italiani che vivono sulle montagne isolati dal mondo, in una sorte di lockdown ante litteram. Ed è proprio in Carnia, a Tolmezzo, che gli Hackatao hanno presentato la prima mostra italiana (e una delle prime al mondo) di CryptoArt. Fight Fear, questo il titolo, è rimasta esposta dal dicembre 2018 al febbraio 2019. «A differenza del mondo dell’arte tradizionale, questi artisti non hanno chiesto il permesso a galleristi, agenti, case d’asta o altri custodi per condividere e vendere le loro opere» ha scritto su di loro il guru bostoniano Jason Bailey in occasione della presentazione della mostra. «Invece, sfruttando la blockchain, hanno semplicemente deciso da soli di mostrare il loro lavoro e renderlo disponibile».


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Whale (Hackatao)
Whale (Hackatao)


Ma perché sarebbe tutto merito della blockchain? «Prima dell’avvento di questa tecnologia, concepita negli anni Novanta ma realizzata nel 2009 con i Bitcoin, non era possibile attribuire un valore a un’opera digitale» spiega Scalet. «Quindi le opere digitali non potevano avere un mercato». Eppure il docente della Bocconi Leonardo Maria De Rossi, grande esperto di blockchain, sostiene che per certificare le opere d’arte digitali non è necessaria la blockchain e che si possono usare anche altre tecnologie. «Forse sì» risponde Sergio Scalet. «Resta il fatto che, al momento, che io sappia esiste solo la blockchain. In particolare, la piattaforma Ethereum si è dimostrata molto efficace: le transazioni sono veloci e noi non abbiamo avuto problemi».

Sempre De Rossi sostiene che Bitcoin sia più promettente di Ethereum. «Tecnicamente Bitcoin ha dimostrato di essere più stabile, resiliente e incensurabile» spiega il professore della Bocconi. «Inoltre, grazie a una comunità globale di sviluppatori autonomi alle sue spalle, ha le caratteristiche tecniche e organizzative per affermarsi come standard di mercato». Commento di Scalet: «A me le guerre religiose fra i fedeli di una criptovaluta o di un’altra non interessano. Ethereum mi ha risolto un problema e offerto delle opportunità. E va bene così».

Particolarmente entusiasta Massimo Franceschet, un professore associato di Informatica all’università di Udine che da un paio di anni si occupa del nuovo registro digitale. «La blockchain sembra fatta apposta per l’arte digitale» spiega Franceschet, che si definisce «un evangelista della CryptoArt» e realizza opere digitali con lo pseudonimo hex6c. «Non credo che la blockchain salverà il mondo, cioè che possa essere utilizzata ovunque. Ma sono convinto che quello fra la nuova tecnologia e l’arte digitale sia stato un matrimonio perfetto. La possibilità di tracciare la provenienza e la possibilità di creare opere rare (nel senso che possono essere viste da tutti ma possedute solo da uno, ndr) ha fatto nascere questo nuovo movimento artistico. In Italia c’è un fermento particolare e qui in Friuli la Cryptoart, trascinata da Hackatao, è fortissima».

Ma come nasce un’opera digitale? «Noi partiamo sempre da un’opera fisica, che in un secondo momento animiamo, facendola diventare digitale» spiega Sergio Scalet. «Poi colleghiamo l’opera d’arte fisica a quella digitale attraverso la realtà aumentata. In tal modo creiamo due opere unite da un cordone ombelicale». E chi si compera un’opera digitale? «Gli acquirenti delle nostre opere sono distribuiti nell’intero pianeta. Il collezionista più importante è il coreano WhaleShark (qui anche i collezionisti preferiscono l’anonimato), che ha investito solo in SuperRare 160.000 dollari».

Già, perché le opere d’arte digitali non si appendono al muro. «Quello lo fanno i collezionisti ancora legati al vecchio modo di esporre, tanto che stanno nascendo tecnologie ad hoc per esporle in casa» precisa Scalet. «I collezionisti più al passo con i tempi, invece, creano il museo della propria collezione in spazi virtuali, godibili attraverso la realtà virtuale o il pc». Minimo comun denominatore dei collezionisti di arte digitale è l’età: in pratica, solo i Millennial riescono a concepire l’idea di investire soldi in opere d’arte che non possono possedere fisicamente perché virtuali. «L’idea di fondo è che, come la Monna Lisa, tutti le possono vedere, ma solo uno le possiede» continua Scalet. «Abbiamo anche realizzato un’opera d’arte ispirata a questo concetto».


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    Crazy Diamond (Hackatao)
    Crazy Diamond (Hackatao)


    Gli Hackatao tengono a sottolineare che attorno alla CryptoArt si è formata una community in cui artisti che vivono in Paesi con forte censura possono, grazie a una condizione di pseudo-anominato, sensibilizzare il mondo su quanto sta avvenendo a casa loro. «In questi giorni sono stato contattato da un iraniano via Twitter che vorrebbe aiutare degli amici artisti ad aggirare la censura nel loro Paese» conclude Scalet. «Questo è l’aspetto più bello della blockchain applicata all’arte».

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