allevamento visoni
(Ansa)
Salute

La variante inglese del Covid ha origine animale

Il covid in Inghilterra è mutato. Nel sud-est dell'Inghilterra è stata osservata una variante del SARS-CoV2 che desta preoccupazione perché interessa un'ampia percentuale di casi con un tasso di trasmissibilità più alto di quanto riscontrato finora. Secondo Il centro per lo studio e il controllo delle malattie (Ecdc) tra le possibilI spiegazioni ci potrebbe essere il processo di adattamento di un virus che si verifica in una diversa specie animale più suscettibile e che viene ritrasmessa agli esseri umani, come è successo in Danimarca. L'infezione da Covid del visone infatti ha portato alla comparsa di una variante con mutazioni multiple della proteina spike.

"A prescindere dal visone, la preoccupazione di noi virologi veterinari è che, come suggerito dalla collega Ilaria Capua, si possa instaurare un ciclo selvatico dell'infezione, nel senso che il virus potrebbe trovare in alcuni animali selvatici (pipistrelli, mustelidi ed altri) delle specie serbatoio, nelle quali sarebbe in grado di perpetuarsi a prescindere dall'evoluzione della pandemia nell'uomo- ci spiega il virologo veterinario Nicola De Caro

Tra le ipotesi sulla nuova variante del Covid in Inghilterra l'Ecdc parla di trasmissione dagli animali all'uomo. Lei cosa ne pensa?

«Ad oggi sono tre le ipotesi del mondo scientifico sulla mutazione del Covid in Inghilterra. Una di queste é che possa essere avvenuta in qualche specie animale».

Quanti studi epidemiologici ci sono sul Covid e gli animali?

«Attualmente ci sono circa 10 studi epidemiologici sugli animali da affezione e sono state praticate delle infezioni sperimentali per valutare la sensibilità di alcuni animali al Covid. Sono stati infettati furetti, pipistrelli, primati e cani procioni. Alcuni di questi hanno anche sviluppato una sintomatologia. Ad esempio in Danimarca sono stati accertati 214 casi di infezione dal visione all'uomo. Di queste ci sono state 12 varianti diverse del virus che hanno destato preoccupazione a tal punto da abbattere milioni di visoni».

Ci può spiegare perché i visoni positivi al Covid rispetto agli altri animali possono trasmettere il virus all'uomo?

«Rispetto agli animali d'affezione, il visone, al pari di tutti i mustelidi, presenta un'elevata suscettibilità a SARS-CoV-2. L'infezione sperimentale dei furetti ha dimostrato che questi mustelidi sviluppano forme di polmonite interstiziale sovrapponibili a quelle che colpiscono l'uomo ed eliminano grandi quantità di virus».

Com'è arrivato il Covid negli allevamenti?

«Il visone è una vittima dell'uomo, in quanto il virus è portato in allevamento e si diffonde grazie al personale infetto».

Il Covid muta dai visoni all'uomo?

«SARS-CoV-2 come tutti i Coronavirus nel momento in cui effettua un salto di specie tende ad adattarsi al nuovo ospite accumulando mutazioni soprattutto nella proteina della spike. Questo fenomeno nel visone ha generato diverse varianti virali, una delle quali denominata cluster 5 perché non è stata completamente neutralizzata dagli anticorpi di pazienti convalescenti che erano stati infettati da ceppi virali umani».

Negli allevamenti italiani ci sono visoni positivi?

«La consistenza degli allevamenti di visoni in Italia è abbastanza scarsa: esistono solo nove allevamenti, tutti concentrati in Nord Italia tranne uno in Abruzzo, con un numero complessivo di capi di circa 60.000-70.000 all'anno. I controlli effettuati hanno messo in evidenza la positività per SARS-CoV-2 in due animali di un allevamento lombardo, una positività sempre a basso titolo. Il rischio legato alla trasmissione uomo-visone-uomo in Italia è abbastanza contenuto perché ci sono pochi allevamenti».

Alcuni virologi veterinari sono stati criticati per aver espresso i loro pareri sul Covid. Che ne pensa?

«Tengo a ribadire che la virologia è una sola. Molte malattie infettive dell'uomo dall'influenza ad Ebola, dall'AIDS alle infezioni da Coronavirus, sono zoonosi virali, cioè derivano da virus provenienti proprio dagli animali. Dispiace constatare che questo semplice concetto sia misconosciuto a colleghi medici, anche di una certa notorietà, secondo i quali i virologi veterinari devono occuparsi esclusivamente di polli, forse ignorando il fatto che gli amministratori delegati di Pfizer e AstraZeneca sono laureati in veterinaria, come veterinario è il direttore del Robert Koch Institut che si occupa della salute dei cittadini tedeschi e non certo di quella dei polli»

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