Lo spettro di Kabul aleggia sull'Africa

La caduta di Kabul rischia di avere delle pesanti (e pericolose) conseguenze per il continente africano. Come recentemente sottolineato da Deutsche Welle, svariate delle sigle jihadiste che operano in Africa rivendicano affiliazioni ad al-Qaeda: storico gruppo terrorista, che intrattiene antichi legami con i talebani afghani. In tal senso, va tra l'altro ricordato che – secondo quanto riferito dal sito Axios – lo scorso 15 agosto i "barbuti" abbiano liberato migliaia di prigionieri, tra cui proprio vari esponenti qaedisti. E' quindi anche in tal senso che il membro del Centro internazionale di addestramento per il mantenimento della pace Kofi Annan in Ghana, Kwesi Aning, ha recentemente sottolineato come il ritiro americano dall'Afghanistan metta a rischio l'Africa e, in particolare, il Sahel. Non è allora un caso che il gruppo islamista somalo (e affiliato ad al-Qaeda) al-Shabaab abbia salutato con favore la conquista talebana di Kabul. In questo quadro, la Bbc ha riportato che anche Nusrat al-Islam (braccio qaedista del Maghreb e attivo soprattutto in Mali) si sia congratulato con i "barbuti". "Stiamo vincendo", ha infatti dichiarato la leadership di questa sigla, paragonando il ritiro americano dall'Afghanistan alla riduzione delle truppe francesi nell'Africa Occidentale.

Problemi arrivano inoltre dall'Isis. E' infatti vero che lo Stato islamico non intrattenga rapporti troppo cordiali con i talebani: si pensi solo che, dal 2015, questi ultimi siano in guerra, a fianco di al-Qaeda, con l'Iskp (filiale dell'Isis in Asia centrale e meridionale). Tuttavia il rischio è che scattino meccanismi di emulazione e di concorrenza nelle galassie jihadiste del continente nero. E' quindi alla luce di questi elementi che – ha riferito sempre l'emittente britannica – si stanno registrando forti timori in vari Paesi africani. In Mali – dove Parigi sta avviando un parziale disimpegno militare nella lotta contro il terrorismo islamista – molti paventano uno scenario simile a quello afghano.

In Somalia il futuro non si prospetta migliore: le forze dell'Unione africana stanno da tempo combattendo contro al-Shabaab sotto l'egida del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il problema è che, esattamente come in Afghanistan, anche il governo somalo appare debole, disfunzionale e venato di corruzione. E' quindi alla luce di tali fattori che Ilham Gassar, consigliere politico della missione delle Nazioni Unite in Somalia, ha sottolineato alla Bbc questo problema, lamentando che – oltre al contrasto nei confronti di al-Shabaab – la comunità internazionale non sia riuscita a contribuire alla formazione di uno Stato forte. Problemi, secondo Deutsche Welle, potrebbero verificarsi anche in un'area come il Mozambico, dove, dal 2017, il governo locale è alle prese con una sanguinosa insurrezione jihadista, che presenta elementi di connessione con l'Isis: un'insurrezione che, negli anni, ha visto circa 2.500 vittime e oltre 700.000 sfollati. Anche in questo caso, la caduta di Kabul potrebbe spingere i miliziani locali a pericolosi tentativi di emulazione. Un discorso simile vale inoltre per la Nigeria, dove opera un'organizzazione come Boko Haram.

Insomma, la vittoria del talebani rischia indirettamente di infiammare il continente africano (con particolare riferimento al Sahel). Un problema non di poco conto, sotto svariati punti di vista. In primo luogo, un'eventuale recrudescenza del jihadismo porterebbe all'aggravarsi di situazioni umanitarie locali già drammatiche. In secondo luogo, l'intensificarsi degli attacchi creerebbe maggiore instabilità nella regione, rafforzando i flussi migratori diretti verso il Vecchio Continente. Infine, tutto questo rischia di rivelarsi particolarmente pericoloso per l'Unione europea (e, in particolare, per Italia e Francia). Ricordiamo infatti che Bruxelles abbia recentemente approvato una missione di addestramento militare in Mozambico, con l'obiettivo di arginare la suddetta insurrezione jihadista: quello stesso Mozambico in cui proprio Roma e Parigi hanno rilevanti interessi nel settore energetico. In tutto questo, non va neppure trascurato che l'Italia abbia di recente preso parte a Takuba: task force, a guida francese, che opera nel Sahel. I pericoli, insomma, appaiono tutt'altro che irrilevanti.

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