Draghi chiede persino scusa ma attacca sulla scuola: «prima si chiude tutto il resto»

La più difficile, sofferta e non-voluta, ma infine concessa come “atto riparatorio”, tra le conferenze stampa del premier Mario Draghi si conclude con –addirittura- le scuse del premier, dichiarate con un mezzo sorriso per aver “sottovalutato le attese” e non essere andato subito in video, lo scorso 5 gennaio, a spiegare agli italiani un decreto con un così forte impatto sulle vite dei cittadini.

E’ un Mario Draghi molto diverso dal solito, quello apparso in conferenza stampa, con un atteggiamento per certi versi difensivo che sorprende tutti gli analisti e senza nessuna di quelle battute in perfetto stile «british» alle quali ci ha abituati in questi mesi: difesa che viene abbandonata solo quando replica alle accuse di scarso decisionismo cadute su di lui ed il suo esecutivo sugli ultimi decreti contro il Covid, spiegando ad esempio la chiara differenza di comportamento rispetto al suo predecessore.

«Draghi non decide più? La scuola è stata riaperta e non era questo il modo con cui il problema era affrontato in passato» dice Draghi secondo cui la scuola ed i ragazzi restano la priorità: «Il Governo non vuole chiudere le scuole perché prima dovrebbe chiudere tutto il resto, e questo non avrebbe senso, dato che “vorrebbe dire tornare all’anno scorso, e non ci sono i motivi per farlo».

Ancora frecciate. Perché a Super Mario, oggi forse un po’ meno “super” del solito, le accuse di scarso decisionismo proprio non vanno giù: e allora rivendica l’approccio diverso del suo Governo, consentito dal grande successo della campagna vaccinale, delle sue politiche coerenti con la scienza e con i dati, della sua strategia basata sul fatto che “gran parte dei problemi dipendono dai non vaccinati” e che quindi ogni atto sia teso a diminuire la platea novax. E questi problemi sono non solo sanitari, ma anche economici, proprio in un momento in cui la nostra economia “cresce più del 6%, quando calava del 9%” prima del suo arrivo. Sempre lì, sempre Conte.

Al fianco di Draghi un Franco Locatelli –anch’egli- particolarmente serio e sulla difensiva, che arriva a dichiarare come “all’interno del CTS non vi è stata alcuna voce dissonante rispetto alle misure adottate dal governo e non ci sono voci critiche sulla riapertura delle scuole”, e lo fa proprio nel giorno in cui Walter Ricciardi, consulente del ministro Roberto Speranza (quest’ultimo presente in conferenza stampa ma oggettivamente trasparente) ha definito le scuole “detonatore di contagi”.

Ancora c’è spazio, nei 45 minuti di conferenza stampa, anche per altre giustificazioni: perché Mario Draghi sa quanto si stia facendo pesante la situazione e allora spiega che tanti decreti si sono succeduti velocemente, uno dopo l’altro, “a causa della complessità della materia” e che occorre colpire la pandemia con lo strumento più importante, cioè la vaccinazione, e nello stesso tempo non tenere chiuso tutto perché l’attività economica deve andare avanti in sicurezza e prudenza.

Vaccinazione e fiducia, molta fiducia, unità. Sono queste le basi, solo da qui si può ripartire.

E sulle divisioni all’interno del Governo? Minimizzare è la parola d’ordine: “Quando si introducono provvedimenti di questa portata occorre cercare di arrivare all’unanimità, vista l’importanza sociale, economica ed etica”.

Mediazione politica sì, certo, perché è di vita che si parla e sulla vita e sulla salute si discute, si consiglia, si incentiva, ma alla fine si impone.

Perché siamo nel 2022 e i tempi di Conte sono lontani; non si osi dire che a Palazzo Chigi non si decide.

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