Quando un ebreo viene accoltellato per la strada
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Quando un ebreo viene accoltellato per la strada

Non serve l'indignazione a comando. Necessarie invece cura e attenzione quotidiane contro i comportamenti e le parole dell'antisemitismo

Nessuna rivendicazione. Scarse le testimonianze, almeno quelle pubbliche. Un “flash” d’agenzia, citando l’Intelligence italiana, insinua il dubbio che l’accoltellamento di Nathan Graaf, ebreo ortodosso israeliano genero di un rabbino della comunità ebraica di Milano, sia un episodio circoscritto alla sfera “individuale”, non implichi cioè il pericolo di un’estensione all’Italia dell’Intifada dei coltelli come disegno generale.

Intento, però, fioccano le dichiarazioni di solidarietà agli ebrei italiani. Le espressioni più prudenti vengono paradossalmente proprio dagli esponenti ebraici, che non danno nulla per scontato.

La solidarietà, certo, fa sempre bene. Anche le circostanze inducono a pensare che vi sia una motivazione antisemita, se non “religiosa” (se è lecito definire “religioso” l’odio anti-ebraico) nell’aggressione a Nathan Graaf.

E se poi si scoprisse che dietro l’accoltellamento c’è un movente politico o confessionale o etnico, sarebbe ovviamente gravissimo. Ma bisogna fare attenzione, conviene essere prudenti in assenza di evidenze certe. Piuttosto, non lasciamo che passino inosservati alcuni temi.

Le etichette sui prodotti degli insediamenti nella West Bank
Per esempio, la decisione europea di costringere Israele a “etichettare” le merci di provenienza dei territori  (in pratica, gli insediamenti ebraici in Cisgiordania).

Una decisione che va incontro alle pressioni palestinesi e del mondo arabo per il boicottaggio economico di Israele. Decisione che l’Europa giustifica per bocca del commissario “competente” con ragioni tecniche, con ciò aggiungendo al danno la beffa, all’errore l’ipocrisia.

Le comunità ebraiche, in Italia e nel mondo (ma finora in Italia meno che in tanti altri paesi a noi vicini, come la Francia), sanno benissimo di essere potenziali bersagli del terrorismo e dell’intolleranza, oggi targati Isis ma ieri, e forse domani, Hamas.

L'esportazione dell'intifada
In sintesi: se l’esportazione dell’Intifada fosse all’origine dell’aggressione di Milano, sarebbe un orribile segnale di deriva italiana verso la violenza antisemita.

Voglio pensare che non sia così, e che dietro l’accoltellamento ci siano altri moventi, tutti da scoprire.

La sensibilità verso lo status degli ebrei in Italia e nel mondo, oggetto per secoli di odio e persecuzioni, non dovrebbe manifestarsi soltanto di fronte a episodi non ancora scandagliati, ma essere una cura quotidiana, animare un’attenzione costante, suscitare indignazione non solo di fronte a fatti di cronaca tuttora indecifrati, ma più semplicemente a campagne come il boicottaggio dei prodotti israeliani dei territori, o espressioni antisemite parte del gergo politico di movimenti di estrema destra ed estrema sinistra.

Troppa ipocrisia e poca attenzione a forme evidenti di discriminazione
C’è troppa ipocrisia sugli ebrei. Troppa sensibilità a comando. Troppa indifferenza dalla quale ci si risveglia solo per via di qualche scossone mediatico. Quando poi si è pronti a chiudere un occhio su forme evidenti di discriminazione, razzismo e manipolazione mediatica.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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