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U2: buona la seconda allo Stadio Olimpico di Roma - Recensione

La scaletta ha subito qualche variazione significativa rispetto alla serata precedente, con l'inserimento di "A sort of homecoming" e "Mysterious Ways"

The Joshua Tree, indiscusso capolavoro degli U2 insieme ad Achtung Baby!, ha festeggiato il traguardo dei 30 anni con una nuova edizione estesa e un tour mondiale celebrativo, che ieri sera ha fatto la sua seconda tappa allo Stadio Olimpico di Roma, per un totale di quasi 120.000 spettatori in due concerti.

Boy del 1980, October del 1981, War del 1983, Under a blood red sky del 1983 e soprattutto The unforgettable fire del 1984 hanno segnato una lenta, ma inesorabile crescita della band guidata da Bono Vox, in cui il songwriting sempre più personale del suo leader veniva supportato da un suono, frutto dell’alchimia tra la chitarra liquida di The Edge con la solida sezione ritmica di Clayton e Mullen Jr, sempre più caratteristico e a fuoco.

Tutte tappe di avvicinamento a quel fatidico 9 marzo 1987, data di uscita nei negozi di The Joshua Tree, che ha proiettato la band irlandese in una realtà del tutto nuova, fatta di stadi da football ribollenti di entusiasmo, dei dischi di platino a cadenza settimanale e delle copertine sulle più importanti riviste internazionali.

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Non è un caso che nell’iconica copertina si veda dietro la band un suggestivo Yucca Brevifolia, comunemente detto albero di Joshua, perché il disco ha solide radici nel rock, nel blues e nel gospel, nonostante spinga sull’acceleratore dello sperimentalismo europeo grazie all’apporto creativo dei produttori Brian Eno e Daniel Lanois e al sound cinematico della sei corde di The Edge.

La foto della copertina è stata scatta da Anton Corbjin lungo la Route 190 in California. "La scelta del deserto mi sembrò naturale in un anno che ancora oggi ricordo come molto difficile per me. Ero in crisi con mia moglie e morì un carissimo amico" ha raccontato Bono dopo l'uscita del disco.

L’album, che ha venduto 25 milioni di copie nel mondo (di cui 1 milione solo in Italia), è ambizioso nel suono quanto nei temi: l’amore, la perdita, i sogni spezzati, la ricerca dell’oblio.

Brani cupi e disperati come Mothers of the disappeared e Bullet the blue sky si alternano a canzoni più accessibili, ma ispiratissime, come I still haven’t found what I’m looking for e With or without you.

Anche ieri sera allo Stadio Olimpico, dopo il bagno di folla del 15 luglio, era presente il pubblico delle grandi occasioni. L'ingresso in tribuna autorità di Ligabue ha scatenato momenti di grande entusiasmo tra i fan in tribuna, che sono corsi a salutare e a chiedere autografi al rocker di Correggio, che è venuto qui a "rubare" i segreti del mestiere a Bono Vox.

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L'apertura di Noel Gallagher con i suoi High Flying Birds è stata eccellente, soprattutto nella parte finale con i classici degli Oasis come Champagne supernova, Little by little, Wonderwall e Don't look back in anger (ormai diventata la nuova Imagine dopo l'attentato di Manchester all'uscita del concerto di Ariana Grande) cantati in coro da buona parte dello stadio.

La scaletta della seconda data degli U2, come era prevedibile, ha subito qualche variazione significativa rispetto alla sera precedente, con A sort of homecoming al posto di Bad, l'inserimento di Mysterious ways nella fase finale e la cancellazione come ultimo bis del nuovo brano The little things that give you away, che sarà inserito nel prossimo album Songs of experience, lasciando saggiamente la chiusura all'intensa One.

Il concerto è diviso in tre blocchi distinti: nella prima parte la band irlandese si presenta sul palco più piccolo al centro del prato, senza l'ausilio del maxischermo, solo con i loro strumenti, quasi a sottolineare di non aver bisogno di effetti speciali per accendere il pubblico.

Eccellente la scelta dei primi quattro brani dal periodo antecedente a The Joshua Tree: Sunday Bloody Sunday, New year’s day, A sort of homecoming e Pride (In the name of love), che si chiude con l'immancabile coro "oooh oooh" su cui i Coldplay hanno costruito buona parte della loro recente discografia, è un poker straordinario, che conferma, a 37 anni dal loro debutto discografico, l'intatta potenza di fuoco di Bono & soci, soprattutto nella ritmica indiavolata di Clayton e Mullen Jr.

Purtroppo l'acustica in tribuna stampa è vergognosa, con suoni saturi e distorti che rimbombano indistantamente in un magma sonoro quasi indecifrabile. Ci domandiamo come sia possibile che un evento del genere, con prezzi dei biglietti salatissimi, abbia in alcune zone dello stadio Olimpico una resa acustica più adatta a una volenterosa cover band che suona alla Sagra della Patata di Leonessa (detto con il massimo rispetto per la Sagra della Patata di Leonessa) che non al live di una delle più grandi rockband al mondo.

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Per fortuna nella seconda parte del concerto, quella tanto attesa dell'esecuzione integrale di The Joshua Tree, l'audio è leggermente migliore, per quanto lontanissimo da quello ammirato solo 20 giorni fa al concerto dei Depeche Mode, dove il palco era situato in Tribuna Tevere e non in curva Nord come ieri sera.

Basta la suggestiva immagine su sfondo rosso dell'albero di Joshua sul gigantesco schermo in 8K per tornare indietro con la memoria alla primavera del 1987, evocata dalle emozionanti note e parole di Where the Streets Have No Name: "Voglio correre, voglio nascondermi, voglio abbatte i muri che ci tengono dentro. Voglio protendermi e toccare la fiamma dove le strade non hanno un nome".

Entusiasmo alle stelle anche nella successiva I Still Haven't Found What I'm Looking For, definita da Bono "la nostra canzone preferita". Le immagini del deserto americano accompagnano la struggente With or without you, in cui Bono può sfoggiare le sue doti da consumato crooner mentre The Edge lo supporta adeguatamente suonando con grande pathos la sua fedele sei corde.

La riproposizione integrale di un album comporta il rischio di eseguire quasi subito i singoli più conosciuti dal pubblico, ma la grandezza di The Joshua Tree risiede proprio nei suoi brani meno famosi, come la tiratissima Bullet in the blue sky, inno antimilitarista in cui la chitarra di The Edge ha colori quasi funky, mentre la batteria di Mullen Jr. ha un andamento marziale.

Stesso discorso per le splendide Running to stand still, quasi una preghiera laica con la ripetizione della parola alleluja a mo' di mantra, e Red hill mining town, impreziosita dalle ieratiche tastiere suonate da The Edge.

"Adesso cambiamo lato del disco -scherza Bono, loquace e di ottimo umore, tanto da rivolgersi spesso in italiano agli spettatori- Alcuni brani non li suonavamo da 30 anni, così, nel frattempo, abbiamo imparato a eseguirli. La prossima canzone è dedicata all'America, che per noi non è solo un Paese, ma un'idea".

God's country, scandita da una ritmica indiavolata, è accompagnata sul maxischermo dall'albero di Joshua declinato in vari colori, quasi a rappresentare le numerose sfaccettature degli Stati Uniti.

Prima di introdurre Trip through your wires, dove Bono suona in modo dylaniano l'armonica, il frontman degli U2 dichiara di amare l'Italia da quando suo padre ascoltava a casa l'opera: "In realtà gli U2 non sono una rock band, ma un'opera band".

L'energica One tree hill, scritta per Greg Carroll, un membro della crew scomparso nel 1986, la mefistofelica Exit e la commovente Mothers of the disappeared, dedicata alle madri dei desaparecidos, chiudono nel migliore dei modi la seconda parte del concerto: "Grazie per esserci stati vicini - saluta Bono prima di guadagnare l'ingresso dei camerini- Le nostre canzoni sono diventate ormai vostre".

Dopo una breve pausa, arriva l'atteso momento dei bis, con la toccante Miss Sarajevo che si trasforma in Miss Syria, accompagnata da strazianti immagini di devastazione e di campi profughi ed impreziosita dalla voce registrata di Pavarotti, mentre ben diversa è l'atmosfera in Beautiful day, ma soprattutto in Elevation e Vertigo, due brani incendiari che fanno letteralmente tremare le fondamenta dello Stadio Olimpico con la loro carica rock.

In Mysterious Ways Bono chiama sul palco un'avvenente spettatrice delle prime file, che si diverte a inquadrare con una piccola telecamera mentre balla e che bacia con trasporto, suscitando l'invidia di una buona fetta del pubblico femminile, noncurante della discutibile pettinatura del cantante irlandese, un misto tra Donald Trump e Mara Maionchi.

Ultraviolet è dedicata a tutte le donne che si sono coraggiosamente battute per l’uguaglianza e per i diritti civili (sullo schermo si alternano, tra le altre, le immagini delle nostre Rita Levi Montalcini ed Emma Bonino), mentre il finale è affidato a One, cantata in coro da tutto il pubblico, con i flash dei cellulari, le lucciole del terzo millennio, a illuminare lo Stadio Olimpico.

Il concerto si chiude dopo due ore ricche di musica, di emozioni e di ricordi, che ha confermato ancora una volta l'esplosività live degli U2, meno ispirati negli ultimi album, ma che, una volta sopra a un palco, non hanno ancora rivali, con buona pace di Coldplay, Muse e Radiohead.

La scaletta della seconda data degli U2 del 16 luglio 2017 allo Stadio Olimpico di Roma

Sunday Bloody Sunday

New Year's Day

A Sort of Homecoming

Pride (In the Name of Love)

Where the Streets Have No Name

I Still Haven't Found What I'm Looking For

With or Without You

Bullet the Blue Sky

Running to Stand Still

Red Hill Mining Town

In God's Country

Trip Through Your Wires

One Tree Hill

Exit

Mothers of the Disappeared

Miss Sarajevo

Beautiful Day

Elevation

Vertigo

Mysterious Ways

Ultraviolet (Light My Way)

One

U2
SUZANNE CORDEIRO/AFP/Getty Images
Gli U2 live nel tour di The Joshua Tree

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Gabriele Antonucci