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Singapore, la città che costruisce futuro

Singapore, la città che costruisce futuro

È Singapore ormai il vero polo di attrazione tecnologico e digitale dell’Estremo Oriente, dove quasi ogni giorno nascono startup e nuove aziende. Entro il 2030, il 13 per cento dei suoi cittadini sarà milionario. Ed è qui che si sta spostando il business occidentale, allontanandosi dalle politiche restrittive di Pechino.


È ’unico luogo al mondo dove si vende la carne coltivata al dettaglio. Era il 2020 quando Singapore, questa città-Stato del Sud-est asiatico (a sud della Malesia) annunciava l’approvazione di un prodotto a base di carne di pollo, creato in laboratorio. Secondo il think thank Good Food Institute, a Singapore ci sono almeno 36 aziende produttrici di proteine alternative, che hanno raccolto complessivamente oltre 213 milioni di dollari di finanziamenti. Solo Israele è paragonabile per fondi a startup e infrastrutture dedicate al settore. Basterebbe questo esempio per capire che la direzione in cui si muove questa città, governata da una repubblica parlamentare, è anticipare il futuro. Nel giro di pochi anni ha strappato a Hong Kong il primato come punto di riferimento per il business occidentale proiettato verso l’Asia, diventando un ecosistema ideale per le multinazionali stanche della politica restrittiva della Cina e alla ricerca di nuovi sbocchi commerciali.

Singapore è considerata, in base a varie classifiche, la città più tecnologicamente all’avanguardia, con il Pil pro-capite tra i più alti al mondo. Un rapporto di HSBC intitolato The Rise of Asian Wealth ha stimato che entro il 2030 il 13 per cento della sua popolazione sarà milionaria, una percentuale più alta rispetto a Stati Uniti, Cina e a qualsiasi altra nazione dell’Asia Pacifico. Tra il 2012 e il 2022 il numero di milionari in dollari è aumentato del 40 per cento, mentre quelli di Hong Kong (considerato fino a qualche tempo fa, l’hub commerciale dell’area asiatica) sono diminuiti del 27 per cento.

Questa città Stato ha un altro asso di attrattività: è il secondo Paese al mondo (dopo l’Islanda) considerato più sicuro. La lotta al crimine è combattuta attraverso l’uso massiccio delle tecnologie digitali. In un’intervista al Tg1, circa un anno fa, spiegava Crystal Abidin, antropologa studiosa dei nativi digitali: «Qui, in un Paese molto multirazziale, anche le etnie sono profilate. In aeroporto, un software riconosce i volti e le etnie e, in base alla casistica, alcune vengono fermate più spesso di altre. Decide tutto l’algoritmo. Nessuno è disturbato dal controllo. Nessuno si pone domande, se vive in una società confortevole». Un meccanismo impensabile in Europa ma che qui ha una giustificazione, anche culturale, nel confucianesimo. Una dottrina che considera la classe dirigente al servizio della collettività a cui deve assicurare benessere. E l’efficientismo, come valore, ha quale strumento operativo le nuove tecnologie.

Da tempo il governo è impegnato nella creazione di una Smart Nation per migliorare la qualità della vita dei residenti con infrastrutture intelligenti e sostenibili, e questo la rende un laboratorio per i centri urbani del futuro. Ed è un modello che vuole esportare nel mondo. L’agenzia Bloomberg ha riportato che Temasek, holding controllata da Singapore, e l’Unione Africana stanno valutando di sostenere il progetto «Africa 123» per sviluppare oltre un centinaio di centri urbani sostenibili nel Continente e rispondere all’espansione demografica e alla crescente domanda di urbanizzazione: altro segnale di come il governo punti molto sullo sviluppo di sistemi digitali all’avanguardia.

Tutti questi fattori, benessere diffuso, uso spinto delle tecnologie innovative, un’amministrazione agile e incentivi governativi agli investimenti, esercitano una grande attrazione all’estero. La lista di chi la sceglie, preferendola a Hong Kong si infittisce ogni anno: dalle family office, al servizio delle multinazionali come Amazon, Facebook, Google, Twitter che vi hanno stabilito i loro headquarter per l’Asia-Pacifico, ai grandi competitor asiatici come Alibaba, ByteDance, Grab, Sea. Qui convergono fondi sovrani, agenzie governative, venture Capitals e centri di ricerca pronti a esplorare partnership. Uno studio del Financial Times ha stabilito che dal 2021 hanno aperto sedi nella città 800 family office e 500 sono arrivate dalla Cina insieme a hedge fund e gestori di patrimoni. Basti pensare che il porto di Singapore è il secondo al mondo per volume di container dopo Shanghai, mentre lo scalo di Hong Kong che nel 2004 era il primo, ora è sceso al decimo posto.

«Singapore ha una vocazione come hub commerciale e di investimento della regione e questo ruolo è stato rafforzato dal nuovo accordo di libero scambio su scala regionale rappresentato dalla Regional comprehensive economic partnership: un’intesa che riunisce 15 Stati dell’Asia-Pacifico e, per la prima volta, mette insieme Cina, Giappone e Corea del Sud e permette l’integrazione di queste economie con il Sud-est asiatico, l’Australia e la Nuova Zelanda» spiega Giuseppe Gabusi, docente di economia politica internazionale e dell’Asia orientale all’Università di Torino e direttore della rivista Rise e del programma Asia Prospects. «Quindi è possibile investire e produrre a Singapore ed esportare in Nuova Zelanda o in Corea del Sud». La presenza delle multinazionali americane si spiega con il ritiro deciso dall’ex presidente Donald Trump, dalla Trans Pacific partnership. «Siccome gli Stati Uniti sono esclusi da qualsiasi accordo di libero scambio nell’area, i grandi gruppi industriali e finanziari che devono commerciare con quei mercati devono andare a investire lì e la destinazione di maggiore appeal è Singapore» osserva l’economista.

È una piazza economica che attira anche le nostre imprese. Sono oltre 200 le aziende del made in Italy presenti a Singapore, soprattutto nei comparti dei macchinari industriali, elettronica, shipping e design. «L’Italia tradizionalmente non è mai stata molto presente nella regione ma la politica sta cominciando a riflettere sull’Indo-Pacifico perché è un’area del mondo su cui puntare per trainare la domanda» afferma Gabusi, aggiungendo che la anche presenza tedesca a Singapore è notevole in termini industriali, finanziari e bancari. «Non è un caso che l’anno scorso quando il Cancelliere Olaf Scholz è andato a Bali al G20, si sia prima fermato a Singapore con una delegazione importante, che comprendeva ministri e imprenditori”. Può essere competitiva rispetto alla Cina? «Il mercato cinese è saturo in molti settori» risponde l’economista. «Per chi si affaccia ora sul mercato asiatico, la scelta di Singapore potrebbe essere più strategica, meno dipendente da Pechino ma sempre con l’Asia al centro».

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