Dal Sudamerica continuano ad arrivare richieste di cittadinanza in virtù di antenati emigrati, per esempio, in Argentina e Brasile. Si tratta in moltissimi casi di truffe, accertano le inchieste. E la meta finale non è il nostro Paese ma gli Stati Uniti.
Non c’è solo chi approda sulle nostre coste alla ricerca di un futuro. Da qualche tempo c’è anche chi guarda alla penisola come tappa necessaria per emigrare sì, ma in Nordamerica. Un fenomeno diffuso soprattutto tra i cittadini di quei Paesi che, a differenza degli italiani, e di molti europei, non possono avvantaggiarsi di misure come il «Visa waiver program» che permette di entrare negli Stati Uniti senza visto. Il meccanismo sfrutta le larghe maglie della legge sulla cittadinanza del 5 febbraio 1992, n. 91, che dà la possibilità di diventare italiani iure sanguinis, «per discendenza», anche grazie a remoti trisavoli dei quali fino a qualche momento prima neanche si conosceva l’esistenza. Persino se non si parla una parola di italiano. Requisito richiesto invece ai coniugi di quanti vivono in Italia da almeno due anni. Nessun limite generazionale o di tempo. Unica condizione, qualora la richiesta venga presentata nei nostri confini, quella di fornire un indirizzo di residenza sul territorio nazionale. Domicilio che, a quanto emerge da vari casi di cronaca, spesso si rivela fittizio.
Un escamotage utilizzato soprattutto da persone del Sudamerica, terra di forte emigrazione italiana tra Ottocento e Novecento. I dati dell’annuario statistico 2022 del ministero degli Affari esteri infatti parlano chiaro. Il maggior numero di richieste di cittadinanza, ben 53 mila, si concentra proprio tra Argentina e Brasile. Un dato curioso se si considera che per esempio negli Stati Uniti, dove gli italo-americani sono oltre 17 milioni, le richieste sono poco più di duemila, tante quelle avanzate nell’intera Unione europea.
Il vaso di Pandora lo hanno scoperchiato le forze dell’ordine nel 2019 con l’inchiesta «Super Santos» che ha accertato una truffa tra Verbania e Novara dove in tre giorni 800 brasiliani, domiciliati negli stessi appartamenti in uso alla rete criminale, sono diventati cittadini italiani alla modica cifra di settemila euro a pratica. Situazione analoga a Crescentino, Vercelli, dove si è scoperto che almeno sei nuclei familiari risultavano residenti nella stessa casa bifamiliare a due piani. Una vicenda che ha portato a un’indagine della Procura e all’arresto di due dipendenti dell’ufficio anagrafe locale oltre a due italo-brasiliani, madre e figlio, titolari di un’agenzia di documenti falsi con sede a Verona.
Si tratta di un racket stimato in 250 milioni di euro, secondo l’avvocato italo-brasiliano Luiz Scarpelli, tra i primi a denunciare gli escamotage utilizzati, alimentati, in un circolo vizioso, dalle lunghissime liste d’attesa presso i servizi consolari all’estero. Addirittura 12 anni a Rio de Janeiro. Basta scorrere il social Instagram alla parola cidadania, cittadinanza, per trovare agenzie e intermediari che promettono di realizzare la speranza di scovare un avo italiano. Chiaramente nel giro di pochi giorni. Magari collegando documenti italiani autentici a sudamericani il cui cognome «suona italiano». Pensa a tutto l’agenzia.
Di quanto sia ambita la cittadinanza italiana ne sa qualcosa il comune di Agna, poco più di tremila abitanti in provincia di Padova, i cui due dipendenti dell’ufficio anagrafe lamentano di essere quotidianamente subissati da «insistenti corrispondenze telefoniche e via email» da parte di sudamericani alla ricerca di atti di nascita e di matrimonio di lontani parenti. L’ha messo nero su bianco il sindaco Gianluca Piva in una nota inviata al ministero dell’Interno lo scorso 21 febbraio, dove ha raccontato come le richieste pervengano soprattutto da intermediari e avvocati che spesso finiscono per minacciare i funzionari del Comune «ad adempiere». Un sistema che include pure gli archivi parrocchiali perché qualora la ricerca dei parenti si dovesse spingere a prima del 1861, a prima dell’Unità d’Italia e della nascita di un registro nazionale, occorrono sacerdoti «di buona volontà» in grado di orientarsi tra vecchi faldoni. Un lavoraccio per cui Don Emanuele Gasparini, di Padova, è stato indagato per corruzione dopo aver aver accettato denaro per falsificare il certificato di battesimo dell’avo di un brasiliano.
Il boom di richieste dall’America latina è confermato anche dai dati dell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, Aire. Il 50 per cento dei nuovi iscritti nel 2023 nella circoscrizione di Barcellona, per esempio sono appunto sudamericani, probabilmente arrivati in Spagna a causa dell’affinità linguistica. La destinazione preferita però restano gli Stati Uniti dove il Dipartimento di Stato, sempre attento al rispetto delle leggi sull’immigrazione, deve aver sentito puzza di bruciato. Motivo per cui tra il 2006 e il 2020, il tasso di rifiuto dei visti per turismo e affari richiesti da cittadini italiani è aumentato in modo esponenziale passando dal 2,4 al 21 per cento. La stretta evidentemente è seguita a un sempre maggior numero di «connazionali» che restano oltreoceano oltre i 90 giorni concessi, come ipotizzato dal senatore di Fratelli d’Italia Roberto Menia in un’interrogazione di alcune settimane fa. Un fenomeno su cui è necessario far luce quanto prima, visto che a pagarne il prezzo dei ritardi per gli ingressi sono i cittadini italiani, quelli «veri».