Lo spietato gioco del calamaro, Squid Game, è giunto alla sua conclusione. I sei episodi finali della terza stagione sono sbarcati su Netflix venerdì scorso, balzando subito in vetta alle classifiche e confermando l’inarrestabile successo del fenomeno coreano. Con questa stagione si chiude — almeno per ora — una parabola narrativa che ha rivoluzionato lo streaming e stabilito nuovi record, raccontando il crudele percorso di un gruppo di persone disperate costrette a competere in giochi mortali per un premio in denaro.
Ma non tutti hanno accolto con entusiasmo la conclusione ideata dal creatore, regista e sceneggiatore Hwang Dong-hyuk. Il finale, più cinico che mai, lascia irrisolti alcuni nodi narrativi e nega allo spettatore quella vendetta tanto attesa, optando invece per un esito più amaro ma forse più realistico.
Squid Game 3, il finale spiegato
Nel gioco conclusivo della serie, Gi-hun si trova di fronte a una scelta insostenibile: il rivale Myung-gi è pronto a uccidere la propria figlia pur di vincere. Gi-hun lo elimina, ma sapendo che può esserci un solo vincitore, si lascia cadere nel vuoto. Prima di morire, pronuncia una frase interrotta: “Non siamo cavalli, siamo esseri umani. Gli esseri umani sono…”.
A spiegare quel silenzio è Hwang stesso, intervistato da Variety: “Mi rendo sempre più conto di quanto sia difficile definire cosa siano gli esseri umani. Siamo esseri molto complessi. A volte siamo pieni di speranza e bontà d’animo. E poi, in un istante, siamo pieni di avidità e immenso egoismo. Volevo che quest’ultima frase fosse una domanda da porre a tutto il pubblico. Volevo che ognuno si ponesse questa domanda e si chiedesse di completare la frase da solo. E credo che per il personaggio di Gi-hun, ho pensato che sarebbe stato meglio mostrarlo attraverso l’azione piuttosto che concludere la frase a parole. E credo che, dal punto di vista di Gi-hun, abbia effettivamente concluso la frase sacrificandosi, mostrando cosa dovrebbero essere gli esseri umani.”
Gi-hun, alias giocatore 456, non è il vincitore del gioco in senso stretto, ma lo è moralmente. A sopravvivere è la bambina di 222, che si aggiudica anche il malloppo. Il Front Man, avvertito che l’isola è stata localizzata, avvia il conto alla rovescia per l’autodistruzione e fugge insieme a 222. Anche No-eul e il fratello del Front Man riescono a mettersi in salvo.
Qualche mese dopo, nel lungo epilogo, vediamo No-eul ritratta da Park Gyeong-seok (Lee Jin-wook) in un parco divertimenti. Lui, ora sereno e con la figlia guarita dalla leucemia, le sorride. No-eul, invece, parte per la Cina, aggrappandosi alla speranza — forse illusoria — di ritrovare sua figlia.
Nel frattempo, il Front Man approda negli Stati Uniti. Fa visita a Seong Ga-yeong (Jo A-in), la figlia di Gi-hun, a cui consegna i soldi rimanenti del padre sotto forma di una carta di credito. Un’altra carta, quella collegata al premio di 222, viene recapitata a suo fratello, insieme alla bambina.
Nel finale, mentre viaggia in auto per Los Angeles, il Front Man scorge una figura in un vicolo che gioca a ddakji. Stavolta, però, il reclutatore è una donna: Cate Blanchett.
“Abbiamo pensato che avere una donna come Reclutatrice sarebbe stato più drammatico e intrigante – ha spiegato il regista – E per quanto riguarda Cate Blanchett, è semplicemente la migliore, con un carisma ineguagliabile. Chi non la ama? Siamo stati molto felici di averla. Avevamo bisogno di qualcuno che potesse dominare lo schermo con solo una o due parole, ed è esattamente quello che ha fatto”.
La fine di tutti i personaggi
Hwang ha provato a dare un senso alle parabole di tutti i protagonisti: Gi-hun si redime con il sacrificio; Jun-ho non riesce a far arrestare il fratello, ma trova l’isola dei giochi e una ragione per vivere grazie a 222; Gyeong-seok si ricongiunge con la figlia in remissione dalla malattia e No-eul parte per cercare la propria. All’aeroporto, la ex guardia passa vicino a Cheol, fratello di Sae-byeok, che ritrova la madre giunta dalla Corea del Nord. La sua tutrice? La madre di Sang-woo, il finalista della prima stagione insieme a 456.
Il Front Man, in cerca di redenzione, assicura un futuro ai figli di 456 e 222, ma la sua figura resta ambigua. La presenza della Reclutatrice a Los Angeles suggerisce che la distruzione dell’isola non ha segnato la fine dei giochi. Ce ne saranno altri. Forse in America. Forse ovunque.
Squid Game si chiude, dunque, con una serie di micro-consolazioni: la figlia di Gi-hun è salva e con un’eredità; No-eul è libera di cercare sua figlia; Jun-ho ha smantellato una parte della rete criminale. Ma restano dubbi e incongruenze: com’è possibile che centinaia di persone scompaiano ogni anno senza sollevare l’allarme delle autorità? Come hanno fatto gli organizzatori e i loro ospiti Vip a sfuggire alla Guardia Costiera?
Il senso ultimo, forse, è proprio questo: in un mondo profondamente ingiusto, anche i tentativi di giustizia sembrano gesti disperati. La speranza, se esiste, è tutta nei figli. Ma per ora, il gioco non è finito.
Squid Game Usa, tutto quello che sappiamo
L’apparizione di Cate Blanchett nel finale ha acceso l’immaginazione dei fan: la saga si sta forse spostando verso un remake americano? Le voci su un possibile Squid Game USA firmato David Fincher circolano da mesi, anche se lo stesso Hwang ha negato collegamenti diretti: “Non ha nessun collegamento”.
Ma in passato aveva anche detto: “Non so se sia ufficiale ma apprezzo Fincher e nel caso sarò curioso di vedere la sua versione. Sono felice se altri vogliono espandere il mio universo che però rimane mio”.
L’ipotesi di un’espansione americana è affascinante, soprattutto considerando che Squid Game, pur raccontando tensioni specificamente coreane su debito e classe sociale, tocca nervi scoperti comuni a molte società occidentali, prima fra tutte gli Stati Uniti. Come suggerisce lo stesso Hwang, la disuguaglianza economica non è solo coreana, ma “endemica” e globale.
Un’altra possibilità, invece, è che la saga prosegua in Corea ma con un focus diverso: non più i partecipanti, ma gli organizzatori. Un punto di vista più spietato, più politico. E forse più disturbante.