Lee Jung Jae: «Torno nell'arena di Squid Game ma nulla sarà come prima»
Lifestyle

Lee Jung Jae: «Torno nell'arena di Squid Game ma nulla sarà come prima»

Trent'anni fa, quasi per caso, ha iniziato come modello (oggi è Global Ambassador per Gucci). Poi la carriera di attore (in Corea è famosissimo) e il successo mondiale con la serie Netflix in cui è l'unico a sopravvivere al crudelissimo «gioco del calamaro». A Panorama Lee Jung Jae anticipa l'arrivo della seconda stagione e alcune curiosità inedite come la sua catena di ristoranti chiamata «Mare», ispirata all'Italia, e il prossimo film Hunt, dove per la prima volta sarà regista ma anche protagonista

Il sorriso sornione, i capelli scompigliati, la tuta in acetato verde bottiglia e quel numero, 456, come i milioni di won in palio nella grande arena di Squid Game. È forse questa la prima immagine che salta alla mente del pubblico italiano quando si parla di Squid Game, la serie rivelazione di Netflix che in soli 17 giorni è diventata la più vista al mondo raggiungendo la cifra record di 111 milioni di spettatori. Il volto di Lee Jung Jae, l’attore sudcoreano classe 1972 è divenuto nell’arco di una sola stagione del “gioco del calamaro” il simbolo dell’onda coreana anche nel nostro Paese. Già ben noto in Sud Corea per la sua carriera trentennale e la capacità camaleontica di vestire ogni tipo di ruolo, ex modello (e oggi uno dei volti di Gucci), la sua carriera è iniziata quasi per caso prendendo parte a uno shooting fotografico mentre lavorava in un negozio. Lee Jung Jae oggi è senza dubbio alcuno l’attore che è stato in grado di infrangere la barriera immaginaria che confinava i K-drama, come vengono chiamate le produzioni sudcoreane, nel ruolo di un prodotto di nicchia. Dopo la storica ai Sag awards, dove ha conquistato - per la prima volta per una serie non in inglese - la statuetta come miglior attore in una serie drammatica, e fresco della vittoria ai Critic Choice Awards, Lee Jung Jae ha scelto di parlare con Panorama, in esclusiva europea, della sua carriera e dei suoi progetti futuri.

Iniziamo con una curiosità. Nell’ultimo episodio di Squid Game, Seong Gi-hun (il personaggio interpretato da Lee Jung Jae, ndr.) si tinge i capelli di un rosso intenso. Perché pensa Gi-hun abbia fatto questa scelta?

«È uno stile che uomini della sua età non oserebbero mai. Penso che rappresenti la piccola decisione di Seong Gi-hun di vivere una nuova vita. In seguito, Gi-hun, mentre sta andando ad incontrare la figlia dopo aver mantenuto le promesse fatte a Sang-woo e Sae-byeok, si imbatte in un’altra situazione di ingiustizia e fa una grande scelta decidendo di “Fermare questo crimine ed evitare che si creino altre vittime” . Penso che questa scena mostri un cambiamento molto importante e al contempo offra un’ulteriore sorpresa nella parte finale della storia».

Quale è stato il suo primo pensiero quando ha letto lo script e il suo ruolo?

«Squid Game mi ha fatto una buona impressione fin dal principio e che fosse un buon concept: un gioco di sopravvivenza per adulti basato su giochi di infanzia è qualcosa di grottesco e unico. Inoltre ho pensato che le storie dei partecipanti fossero inserite meticolosamente all’interno dello scenario del genere “gioco di sopravvivenza” e sovrapposte l’un l’altra senza forzature. Queste parti esplodono a livello emotivo andando verso la conclusione e penso che ciò renda Squid Game diverso da altre serie o film sui giochi di sopravvivenza».

Il successo è innegabile. Ma perché Squid Game. Qual’è il suo potere?

«È una serie che ha tanti aspetti particolati, oltre all’essere coreana. Il tutto è ben armonizzato, così come lo sono i personaggi tra loro. E questa armonia ha permesso a Squid Game di conquistare il pubblico».

La seconda stagione è in lavorazione e lei tornerà nell’arena. E sappiamo che si aspetta un plot twist all’interno del gioco più di chiunque altro…

«So che il regista Hwang Dong-hyuk è concentrato sulla stesura della nuova stagione. Non vedo l’ora di conoscere la nuova trama, e sono emozionato solo al pensiero di conoscere i personaggi a cui andrò incontro».

(Netflix)

Ha più volte sottolineato come Squid Game trasmetta il chiaro messaggio che le persone non possono avere successo senza l’aiuto degli altri. Chi sono le sue “altre persone”?

«Le mie “altre persone” sono le varie crew, i colleghi attori e tutta la famiglia dell’agenzia Artist Company. E non posso dimenticare i fan che fanno il tifo per me e la mia famiglia».

Sappiamo del suo amore per l’Italia. 시월애. Il Mare. Inizialmente era solo il titolo di un film di cui è stato protagonista insieme a Jin Ji-Hyun. E poi si è trasformato in un business con una catena di ristoranti aperta da lei e che porta questo nome. Che cosa la lega all’Italia?

«Mi piace viaggiare e amo l’Italia. I miei maggiori piaceri quando viaggio sono conoscere la cucina del posto, la cultura e osservare le persone».

Sempre a proposito di Italia, è stato di recente a Milano per la Fashion Week come ambassador di Gucci. Possiamo parlare di più di questa collaborazione?

«Lo show è stato bellissimo. Sono onorato di essere stato nominato Global Ambassador del marchio. Da sempre apprezzo la creatività del brand Gucci e da quando sono ambassador mi sono avvicinato maggiormente allo stile del marchio».

Ma il rapporto con il nostro Paese non finisce qui. Presto sarà a Firenze (dal 7 aprile, ndr.) come ospite d’onore del Korea Film Festival.

«Nei sue vent’anni di storia il Korea Film Festival è cresciuto notevolmente e può essere considerato il festival cinematografico che ha guidato il successo di K-contents in Europa. Sono ancora più emozionato perché questa sarà l’occasione per poter incontrare di persona i fan italiani».

Le dico una sola parola. Hunt. È il suo debutto come regista. E sarà contemporaneamente davanti e dietro la telecamera.

«Dirigere e recitare contemporaneamente è stato un compito che ha richiesto un nome sforzo fisico. Modificare la sceneggiatura durante le riprese, effettuarle e montarle sul posto è stato qualcosa mai vissuto prima. Devo ringraziare tutto lo staff e gli attori che hanno lavorato duramente a questo progetto con me».

Ora siete in fase di post-produzione. Sottoporrà Hunt al giudizio di qualche grande film festival?

«Mi piacerebbe. E spero che il film possa essere una pellicola di cui gli spettatori possano parlare per molto tempo. I miei pensieri principali durante la stesura di questa sceneggiatura sono stati “È una storia davvero necessaria in questo momento?”; “Riuscirò a trasmetterla bene al pubblico?”. Per questo sono l’uscita del film vorrei poter parlarne e discutere con il pubblico».

La K-wave si sa espandendo a macchia d’olio. Guardando alle nuove generazione, c’è qualcuno che a suo avviso ha il potenziale per raggiungere grandi traguardi come lei?

«Io stesso traggo molta ispirazione dagli attori più giovani. Mi è difficile sceglierne uno solo perché io stesso imparo molto da loro».

Nei suoi 30 anni di carriera ha interpretato ogni genere di personaggio, da un Dio a un UFC fighter e un giocatore d’azzardo. Cosa dobbiamo aspettarci ora?

«Non ho ruoli particolari che voglio interpretare, ma ho grandi aspettative su quale ruolo mi possa essere proposto».

Guardando alla sua carriera, c’è qualche consiglio che si sente di dare ai suoi colleghi più giovani?

«Se siamo grati per tutto ciò che facciamo e ci mettiamo impegno costante, saremo sempre felici».

Concludendo con Squid Game. Che cosa ha provato quando, alzandosi la mattina, ha scoperto che il drama era il più grande successo al mondo ed era riuscito nell’impresa di abbattere le barriere linguistiche e I pregiudizi e trascinare il grande pubblico nella K-wave?

«Sono davvero grato dell’amore ricevuto dagli spettatori di tutto il mondo e sono ancora entusiasta al pensiero che il tema trattato da Squid Game abbia toccato così il pubblico. Poter comunicare e condividere i significati delle opere con il pubblico è la gioia di tutti coloro che hanno partecipato alla realizzazione. Auguro a tutti coloro che stanno preparando le proprie opere di poter incontrare gli spettatori di tutto il mondo e passare del tempo fantastico con loro».

I più letti

avatar-icon

Marianna Baroli

Giornalista, autore

(Milano, 1986) La prima volta che ha detto «farò la giornalista» aveva solo 7 anni. Cresciuta tra i libri di Giurisprudenza, ha collaborato con il quotidiano Libero. Iperconnessa e ipersocial, è estremamente appassionata delle sfaccettature della cultura asiatica, di Giappone, dell'universo K-pop e di Hallyu wave. Dal 2020 è Honorary Reporter per il Ministero della Cultura Coreana. Si rilassa programmando viaggi, scoprendo hotel e ristoranti in giro per il mondo. Appena può salta da un parco Disney all'altro. Ha scritto un libro «La Corea dalla A alla Z», edito da Edizioni Nuova Cultura, e in collaborazione con il KOCIS (Ministero della Cultura Coreana) e l'Istituto Culturale Coreano in Italia.

Read More