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A chi ruba il posto il robot

A chi ruba il posto il robot

In realtà, l’avvento dell’intelligenza artificiale potrà tradursi in un vantaggio per la prossima organizzazione del lavoro. Come rivela uno studio condotto dal Politecnico di Milano sull’impatto che l’automazione e le nuove tecnologie avranno sul sistema economico, e quindi sociale, dell’Italia.


La commessa digitale nel negozio di abbigliamento, l’algoritmo che suggerisce le sentenze ai giudici, i computer che guidano camion industriali, trattori o perfino taxi. Tutte applicazioni di intelligenza artificiale che ormai fanno capolino nel nostro mondo, come illustra il servizio pubblicato nelle pagine precedenti. Ma quale impatto avrà sull’occupazione l’avvento di queste nuove tecnologie, capaci di sostituire il lavoratore umano in mansioni sempre più sofisticate?

Di previsioni se ne trovano a bizzeffe, tra gli studi condotti nelle università e nelle società di consulenza strategica. E quando finiscono tra le mani dei media, emerge inevitabilmente lo scenario più spaventoso, capace di attirare l’attenzione di un pubblico giustamente preoccupato di fronte a un cambiamento così importante. Per fare un esempio, il 18 gennaio di quest’anno le agenzie hanno lanciato la seguente notizia: la società di ricerche di mercato Forrester prevede che 12 milioni di posti di lavoro andranno perduti in Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito entro il 2040 a causa dell’automazione. Bum! Di quanti posti di lavoro verranno creati dalle nuove tecnologie non si fa cenno.

In un rapporto dell’Ocse – l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico – pubblicato lo scorso anno, si rileva che con la diffusione dell’intelligenza artificiale la creazione di nuovi posti di lavoro sarà possibile solo con forti investimenti nella formazione delle persone, che permetta loro di acquisire competenze specialistiche non riproducibili attraverso un automatismo digitalizzati. Solo così si potranno contrastare la contrazione della richiesta di forza lavoro e il conseguente ribasso dei salari che lo sviluppo dell’automazione potrebbe innescare in un primo periodo. E solo così, sostiene l’Ocse, si può difendere il benessere dei lavoratori. In realtà valutare l’effetto dell’Ai e dell’automazione di ultima generazione sull’occupazione è estremamente complesso e deve tenere conto delle peculiarità dei singoli Paesi.

Come sottolinea Giovanni Miragliotta, direttore dell’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, «ogni territorio è diverso per struttura industriale, sistema scolastico, ammortizzatori sociali, settori economici più o meno prevalenti». Così può capitare che uno studio sugli effetti dell’automazione tradizionale in Germania, quella dei robot nelle fabbriche, giunga a conclusioni positive, mostrando la ricchezza proveniente da un sistema industriale più produttivo, con costi minori e maggiore qualità. Risultati opposti arrivano invece da un’analoga indagine condotta negli Stati Uniti, dove l’automazione ha portato a una riduzione dell’occupazione.

Tenendo dunque conto delle caratteristiche del sistema economico italiano, l’Osservatorio ha condotto uno studio molto approfondito proprio per rispondere a questo quesito: alla fine, dalla diffusione dell’intelligenza artificiale avremo più vantaggi o svantaggi? Presentando il 24 febbraio scorso i risultati dell’indagine nel corso di una conferenza virtuale, Miragliotta ha ammesso che si è spezzato un incantesimo: fino a oggi le macchine hanno sostituito l’uomo in compiti ripetitivi, creando maggiore e migliore occupazione rispetto al passato. Ci hanno regalato più tempo libero e ciò ha generato nuovi bisogni e quindi la realizzazione di beni e servizi, mentre la produttività è aumentata continuamente. Ma ora la situazione è diversa: si consumano sempre più beni immateriali, digitali, e questo provoca una riduzione della produzione di oggetti fisici. Inoltre la lotta al riscaldamento globale ha messo in discussione il nostro modello di sviluppo.

In questo scenario, i robot iniziano a imparare da soli e aggrediscono una serie di mansioni (più che veri e propri posti di lavoro) che richiedono intelligenza. «Prima le macchine eliminavano posti di lavoro che non erano particolarmente ambiti, si trattava di mansioni pesanti, ripetitive, pericolose. Oggi invece un venditore potrebbe vedere la propria professione minacciata da un computer, e stiamo parlando di un lavoro molto apprezzato. In questo senso lo sviluppo dell’intelligenza artificiale incrina il mito della tecnologia che aiuta l’uomo». Se questo è il quadro generale, la preoccupazione è legittima. Si è rotto l’incantesimo, come dice Miragliotta, la magia della macchina che crea lavoro invece di distruggerlo si è inceppata? E che cosa succederà in Italia?

Macinando numeri e analizzando un bel po’ di dati, i ricercatori del Politecnico sono arrivati a una conclusione positiva, che getta una luce di ottimismo sul futuro: secondo i calcoli dell’Osservatorio, da qui a 15 anni è ragionevole pensare che 3,6 milioni di posti di lavoro in Italia saranno automatizzati. Cioè persi. Ma nello stesso lasso di tempo, nella nostra società accadranno alcune cose molto importanti: la popolazione sarà più vecchia, l’apporto dell’immigrazione sarà insufficiente a coprire la mancanza di persone in età da lavoro, ci sarà una domanda di nuovi beni e servizi legati all’invecchiamento e tutto questo provocherà un gap di 4,7 milioni di posti di lavoro che non verranno coperti.

Quindi, paradossalmente, l’avvento dell’intelligenza artificiale contribuirà a risolvere un problema sostituendo 3,6 milioni di posti di lavoro con macchine e algoritmi e riducendo così il disavanzo nell’offerta di occupati. Ma non ci riuscirà del tutto, visto che mancherebbero comunque 1,1 milioni di lavoratori. «E tutto questo» aggiunge il direttore dell’Osservatorio «senza considerare le nuove professioni che nasceranno nel frattempo grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie. Se nel 2005 aveste detto a un giovane studente che in futuro una delle professioni più ricercate sarebbe stata quella di “app developer”, non avrebbe capito neanche lontanamente di che cosa parlavate».

Ma meno occupati non vuol forse dire meno contributi e quindi un maggiore squilibrio nel nostro già precario sistema pensionistico? A sorpresa, un altro effetto positivo dell’automazione sarà proprio mitigare lo squilibrio del sistema assistenziale e previdenziale: aumenterà infatti la produttività delle persone anziane permettendo loro di andare in pensione più tardi e ridurrà gli oneri a carico dello Stato per le persone con deficit motori e cognitivi. Non solo. La crescente automazione renderà tutti più produttivi, si lavorerà meglio e di più. E questo dovrebbe portare a una maggiore ricchezza e quindi a un maggior afflusso di fondi nel sistema previdenziale.

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