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Pacifico: «Scrivo parole che gli altri indossano»

Pacifico: «Scrivo parole che gli altri indossano»

I suoi testi sono alla base di molti brani di successo di Gianna Nannini, Eros Ramazzotti, Malika Ayane, Zucchero e tantissimi altri. E ora arriva in libreria con un romanzo sul trasferimento dei genitori dalla Campania a Milano. Pacifico racconta a Panorama la sua seconda vita da autore e scrittore.


«Stavo per imbarcarmi su una nave da crociera come musicista del complesso di bordo, quando una telefonata ha cambiato per sempre il corso della mia vita…». È una storia di «sliding doors», di incroci fortuiti quella di Pacifico cantante, autore di testi per le più grandi voci della musica italiana (Gianna Nannini, Andrea Bocelli, Gianni Morandi, Adriano Celentano, Malika Ayane, Eros Ramazzotti, Zucchero, Giorgia, Antonello Venditti) e scrittore.

«Io e la mia famiglia di barbari (il libro che ha appena pubblicato per La Nave di Teseo, ndr) racconta il trasferimento dei miei dalla Campania a Milano. Ho voluto “fotografare” l’epica quotidiana di una famiglia totalmente stramba e la saga dell’emigrazione» racconta Pacifico. «Ai tempi della crociera avevo 36 anni e mi ero lasciato sfuggire tutte le chance di trovare un’occupazione stabile. Il sogno del successo con la mia band di allora, i Rosso Maltese, era svanito e non avevo letteralmente una lira. Vivevo un momento tardo bohémien: io, il mio cane e una stanza di venti metri al quartiere Isola di Milano… Quando la crociera sembrava l’unico orizzonte possibile, squillò il telefono. Era Samuele Bersani, pensai che fosse uno scherzo, non lo presi sul serio e lo liquidai con poche parole. Fortunatamente, Samuele insistette, mi diede il numero di casa, fino a che non mi convinsi che era proprio lui. Voleva un mio testo… Fu l’inizio della svolta che proseguì dopo poche settimane: mi contattò Gianna Nannini per Sei nell’anima, diventata poi uno dei suoi grandi successi. Insomma, da zero a tutto in due mesi…» prosegue l’autore.

«Di quel brano aveva fatto un provino chitarra e voce per verificare che il testo quadrasse bene. Era carino, ma quando sentii la versione definitiva di Gianna rimasi senza parole. Lei è una di quegli artisti che quando cantano spalancano le finestre… La personalità di chi “indossa” le parole porta inesorabilmente la canzone a un livello superiore. Lavorare con Andrea Bocelli è un’altra storia: con un interprete così non puoi permetterti giochi di parole nel testo. Gli artisti come lui cantano di esistenza, mare, stelle e cielo perché hanno bisogno di spazio. Non c’è modo di giocare con i paradossi ironici» spiega.

«Malika Ayane? La incontrai per la prima volta ai Giardini di Via Palestro. Faceva un caldo terribile e arrivò elegantissima con un cappello a tese larghe. Praticamente, un ombrellone in testa. Non era ancora famosa, ma era già Malika. Per lei l’ironia nei testi è fondamentale, teme un po’ l’aspetto cantautorale e moralistico» precisa Pacifico.

C’è poi una curiosa coincidenza, svelata nel suo libro, intorno alla collaborazione con Adriano Celentano: «Mio padre faceva le pulizie di notte nella sede del Clan Celentano a Milano in Corso Europa. Quando finiva il lavoro, intorno alle sei di mattina andava in scena il rito del pisolino su un divano imperiale gigantesco, simile a quelli di Elvis Presley nella sua tenuta di Graceland, in Tennessee. Papà era vulcanico, incontenibile, a volte pure imbarazzante. Ricordo ancora il giorno in cui mi accompagnò a comprare una chitarra. Provai tutte quelle low cost, poi decise di chiedere al negoziante quanto costava la Fender Stratocaster, uno strumento pazzesco per un principiante come me. Fatto sta che per una sorta di riscatto sociale, decise di regalarmela. Un gesto di cui gli sarò sempre grato. Al momento di pagarla, costava un milione e mezzo di lire, estrasse il libretto degli assegni e disse al negoziante “Scrivo 500 mila? Io per l’imbarazzo uscii dal negozio perché sapevo bene quale rito stava andando in scena. Lo attesi davanti alla vetrina per mezz’ora».

Riempire di contenuti la musica dei grandi artisti è un’operazione complessa che richiede duttilità, empatia e anche qualche trucchetto del mestiere: «La parola “neve”, per esempio, che ha un suono e una metrica simile a “never”, è molto ricorrente negli artisti che pur cantando in italiano fanno un genere di musica anglosassone. Zucchero, l’ho capito lavorando con lui, si è inventato un linguaggio ad hoc con cui entra ed esce dall’italiano a suo piacimento. Un’operazione complessa che a lui viene benissimo». Resta da chiedersi che cosa sia diventata l’arte della parola nelle canzoni in un contesto musicale di artisti giovani e giovanissimi che si esprimono per lo più con la metrica, i temi e le rime tipiche del rap e della trap: «Il rischio è quello del manierismo ripetuto un disco dopo l’altro. Non si può scrivere sempre di vita di strada. Io sono cresciuto in un quartiere alla periferia di Milano dove c’erano famiglie al confino, droga e l’atmosfera pesante degli anni di piombo. Prendevo mazzate tutti i giorni… Però, anche se le origini sono importanti, e io ho appena scritto un libro che racconta le mie, bisogna saper cambiare registro, evolversi. Solo che per evolversi bisogna avere una carriera e non so quanto un mercato fatto di liquidità e clic sia funzionale a una vita artistica duratura».

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