Purtroppo, non lo si può più negare. Il riscaldamento globale è diventato una minaccia concreta anche per la viticoltura. Temperature elevate, stress idrico prolungato e maturazioni accelerate stanno cambiando profondamente il profilo dei vini, mettendo a rischio qualità, rese e sostenibilità economica di interi territori. In questo scenario complesso, dall’Italia arriva una possibile risposta concreta, nata dalla ricerca scientifica. Gabriele Valentini, ricercatore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari (Distal) dell’Università di Bologna, ha scoperto una roccia naturale che, ridotta in polvere, è capace di raffreddare l’uva direttamente sulla pianta e proteggere così i vigneti dal surriscaldamento.
La scoperta della zeolite
La presunta roccia dei miracoli scoperta da Valentini è la zeolite a chabasite italiana, una roccia di origine vulcanica già impiegata in agricoltura grazie alle sue proprietà assorbenti e riflettenti. Se poi utilizzata sotto forma di polvere micronizzata e distribuita su foglie e grappoli, la zeolite agisce da “scudo naturale” contro il calore eccessivo.
Dalle ricerche di Valentini, emerge che gli acini trattati, effettivamente, presentano temperature nettamente inferiori rispetto a quelli non trattati, persino durante i momenti di calore più estremi. La zeolite riflette la luce, diminuendo sensibilmente il surriscaldamento superficiale dei grappoli. Inoltre, con la sua struttura microporosa, limita lo stress fisiologico della vite, regolando lo scambio gassoso e la traspirazione.
Una soluzione ecologica
l trattamento, oltre a essere efficiente, risulta anche sicuro ed ecologico. Si tratta di una sostanza naturale, già autorizzata nell’agricoltura biologica, che nel tempo si disperde progressivamente senza lasciare residui nocivi e senza alterare la qualità dell’uva e del prodotto finale.
Secondo l’Australian Journal of Grape and Wine Research, addirittura, il trattamento influisce positivamente sull’equilibrio tra zuccheri, acidità e polifenoli. Questo è un aspetto davvero imprescindibile, soprattutto per le varietà più sensibili, che a causa del riscaldamento globale perdono più facilmente la freschezza e la propria identità aromatica.
La sperimentazione nel vigneto
Spesso le soluzioni funzionano sulla carta, ma poi a livello pratico si rivelano fallimentari: costi troppo elevati, eccessiva complessità operativa o resistenza culturale impediscono che si rivelino un successo.
Per questo, Valentini ha testato la zeolite anche sui propri vigneti, trasformandoli in un vero e proprio laboratorio a cielo aperto. Una scelta che ha permesso di verificare l’efficacia del trattamento in condizioni reali, non solo controllate. Il possibile successo della zeolite a livello concreto è alimentato anche dal fatto che è economicamente accessibile, facile da distribuire e compatibile con le pratiche viticole esistenti.
Una risposta alle sfide climatiche della viticoltura
I recenti rapporti dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) mostrano che l’area del Mediterraneo è tra le più esposte agli effetti del riscaldamento globale. L’Italia, negli ultimi vent’anni, ha visto anticipare sempre più la vendemmia e aumentare progressivamente il grado alcolico. Tutti segnali manifesti di un sistema sotto stress.
La scoperta della zeolite come “raffreddante naturale” risulterebbe dunque fondamentale, soprattutto in un contesto così delicato, dove servono risposte realistiche e immediate, senza stravolgimenti agronomici. È chiaro che non siamo di fronte al Santo Graal, ma comunque a un qualcosa di innovativo e di potenzialmente davvero efficace.
