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Don Diablo: «Vi farò scatenare a casa vostra»

Per anni ha riempito stadi e locali, ora uno dei deejay più famosi al mondo tornerà a esibirsi, ma online: «Perché ballare regala istanti di felicità».


Don come il suo nome (Don Pepijn Schipper, quello completo), Diablo per un esorcismo della timidezza: «Da ragazzino ero abbastanza nerd, per niente figo, ho inventato qualcosa che scatenasse una reazione nel pubblico. Che trasmettesse un contrasto, un tentativo di aggressività. Non avrei mai immaginato di poter suonare fuori dal mio villaggio, arrivare con i miei brani in Paesi come l’Italia o la Spagna dove quell’accostamento di parole evoca significati religiosi. Però no, non sono un adoratore del demonio, non prendetelo alla lettera».

L’olandese Don Diablo, peraltro, ha modi quasi angelici: è gentile, pacato, profondo. Nei suoi pezzi parla anche di suicidio, sconfitte, nostalgie di un passato spensierato. Lo fa senza la lentezza della malinconia, con il passo spedito della musica elettronica: da due anni consecutivi è il sesto deejay più famoso e quotato al mondo secondo la classifica di Dj Mag, la rivista di riferimento del settore; conta oltre due milioni di follower su Instagram, dieci milioni di ascoltatori mensili su Spotify, ha all’attivo collaborazioni con Rihanna, Ed Sheeran, i Coldplay, più vari giganti delle note. È poliedrico e instancabile: ha un’etichetta discografica e una linea di abbigliamento, scrive libri e pubblica fumetti. Il suo nome da scomunica non ha infastidito il destino, anzi è stato benedetto dal successo.

A fine febbraio approderà su «Hydeout: The Prelude», la piattaforma web appena lanciata per ospitare le performance dei pilastri della dance, da Martin Garrix a Dj Snake, assieme a interviste, giochi, un social network per gli orfani di festival, concerti e altri raduni di svago di massa. «Il digitale è un’opportunità per raggiungere centinaia di migliaia di persone in una volta sola» dice Don Diablo a Panorama, rispondendo dalla sua casa di Amsterdam. Una chiesa sconsacrata trasformata in dimora dei sogni, l’ennesimo cortocircuito logico, la conferma di quanto il personaggio si diverta a mescolare sacro e profano.

Ma un set registrato non le sembra una bestemmia? Un’esibizione dal vivo ha tutta un’altra forza.

A un festival, il dj è il tizio che si agita sul palco. Con questa nuova modalità si vede da vicino cosa sta facendo, si scopre la sua tecnica. Da una prospettiva artistica, è un’esperienza parecchio sfidante. Per tenere alta l’attenzione, ci metto dentro pezzi inediti e ne mixo tanti di continuo.

Mancano comunque l’urlo e i cori del pubblico.

Quando ho iniziato, a 15 anni, non li avevo. Amo suonare davanti a nessuno perché mi aiuta a rimanere me stesso. Molti musicisti sono prigionieri delle loro paure perché guardano costantemente ai risultati, alla reazione immediata della gente. Questo atteggiamento li rende macchine per hit.

Lei, invece, cosa tenta di essere?

Penso non sia giusto assecondare la folla, piuttosto lanciarle una sfida. Cerco di portare avanti le mie idee, il mio suono, sperimentare con gli strumenti, in definitiva crescere. Ho imparato una lezione dalla pandemia: occorre tramutare il negativo in positivo. Il momento ci sta aiutando a essere creativi e critici. Torneranno i festival, perché le persone hanno bisogno di stare insieme, di vivere un rito collettivo, ci sarà più spazio per la qualità e i nuovi talenti.

Nell’attesa, che ruolo assegna alla musica elettronica?

Può essere la colonna sonora perfetta mentre si rimane a casa. Può dare l’energia giusta per allenarsi, ma in parallelo, oltre a invitare a tirare su le mani, diffonde un messaggio, stimola una riflessione. Come il mio recente singolo, Kill me better (uccidimi meglio): affronta temi quali l’ansia, la depressione, sensazioni che in tanti stanno sperimentando. La musica elettronica non resta monodimensionale o immobile, è un veicolo. Tutto dipende da chi lo guida, ma penso sappia scendere in profondità. Arrivare lontano.

Don Diablo: «Vi farò scatenare a casa vostra»

A proposito dei suoi singoli, uno dei più famosi, Cutting shapes (52 milioni di riproduzioni su YouTube, ndr), si apre dicendo: «Dancin’s what clears my soul», ballare è ciò che schiarisce la mia anima. Ballare è una terapia per il cuore?

Ballare è qualcosa che viene da dentro, è un’espressione universale. Si può fare da soli, con gli amici, con la nonna. Non importa se scegliendo un pezzo dance, un valzer o una polka. È un’attività salutare, che scaccia le preoccupazioni, fa dimenticare del mondo, regala istanti di felicità. È un modo straordinario per riallacciare un legame con sé stessi.

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