Mentre si attende l’ondata di profughi ucraini, le strutture italiane per minori stranieri non accompagnati sono una polveriera: l’ultimo caso ad Agrigento, dove sette ragazzi egiziani avrebbero violentato e picchiato quattro tunisini. È solo uno dei tanti episodi.
Basta sollevare il coperchio mediatico piazzato su quella che una certa sinistra continua a definire «accoglienza» per scoprire che i Cas (i Centri di accoglienza straordinaria) per minori stranieri non accompagnati sono una polveriera, nei quali spesso la situazione sfugge di mano ai gestori. «Sono ragazzi che aspettano di fare la quarantena per andare poi nel sistema di accoglienza. Qualunque ritardo, tante volte fisiologico, scatena intemperanze, che nella maggior parte dei casi vengono gestite senza tanto clamore e tutto rimane all’interno del centro».
Le parole pronunciate dal prefetto di Agrigento Maria Rita Cocciufa davanti al Comitato parlamentare di controllo sull’immigrazione, seppur con una certa parsimonia, accendono un faro su un fenomeno poco esplorato che, con la stagione dell’accoglienza in procinto di ripartire e con l’arrivo in massa dei profughi ucraini (andrà ad appesantire quella che già appare come una macchina ingolfata, nonostante il Piano propagandato dal Viminale, per «fornire le linee guida» per la gestione di bambini e adolescenti giunti dall’Ucraina da soli), potrebbe trasformarsi in una bomba a orologeria.
I casi di violenza, come ammesso candidamente dal prefetto di Agrigento, spesso passano sotto traccia. Ma sono tanti. E riguardano tutta l’Italia. Ad Agrigento, però, è accaduto qualcosa di particolarmente clamoroso, la scorso 8 dicembre, senza che l’episodio sia diventato di rilievo mediatico. In un ex albergo adibito a Cas, ovvero Villa Sikania di Siculiana già famoso per le fughe di massa (alcune delle quali rocambolesche, con agenti delle forze dell’ordine finiti in ospedale), sette egiziani – sei dei quali minorenni e un maggiorenne e tutti lì in attesa del loro trasferimento dopo il tampone e la quarantena- avrebbero segregato, avrebbero picchiato e violentato quattro tunisini quasi quotidianamente e per vari giorni. Al momento degli arresti gli investigatori si sono subito chiesti cosa ci facesse un maggiorenne in un centro d’accoglienza per minori non accompagnati. E il prefetto ha cercato di fornire una spiegazione: «Si tratta di una persona fortemente disabile, con tutta una serie di patologie. Tra l’altro è privo di un braccio e di un piede. Proprio perché vulnerabile non era possibile accoglierlo sulla nave quarantena».
Ma appena arrivato al centro d’accoglienza tutti si sono accorti che il clima si era fatto pesante. Lo straniero, ha affermato ancora il prefetto, presentava «una personalità molto forte e rimarcava sempre la sua autorevolezza, a volte provocava piccole liti per poi fare da paciere». La brutta storia salta fuori perché due giorni prima degli arresti c’è una rissa. A scatenarla sono ragazzi tunisini, decisi a dare una lezione all’egiziano e alla combriccola di cui si era circondato. Uno di questi, chiamato a colloquio, vuota il sacco.
Racconta che di notte l’egiziano, accompagnato da sei minorenni suoi connazionali, faceva prelevare i tunisini dalle stanze. Si è scoperto che le violenze sessuali sarebbero state accompagnate da estorsioni: «Pretendevano i pocket money» ha svelato il prefetto. Poi ha aggiunto un dettaglio che ha mandato in frantumi la narrazione buonista costruita sulla stampa dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese & co: «Adesso c’è una fase di calma, ma quando a Lampedusa ci sono arrivi in numeri veramente importanti io incrocio sempre le dita». In Sicilia attualmente sono presenti oltre 3 mila minori stranieri non accompagnati. I numeri ovviamente sono destinati a crescere in modo esponenziale con la bella stagione che facilita le partenze con i barconi. Le altre due regioni da record per numeri di giovanissimi accolti, stando ai dati di febbraio, sono la Lombardia (1.246) e la Calabria (1.224). Ma non sono solo le quantità a preoccupare le Prefetture.
Di frequente il mix di nazionalità crea quelle che in più di una relazione prefettizia vengono definite «intemperanze». In realtà spesso si tratta di risse molto violente e difficili da sedare. Come a Loiano, in provincia di Bologna, dove all’ingresso di un centro d’accoglienza (già finito sotto osservazione per atti vandalici e altri episodi di violenza) un match tra due ragazzini stranieri, a dicembre, si è trasformato subito in una baruffa tra somali e tunisini, alcuni dei quali con precedenti penali, che ha richiesto l’intervento dei carabinieri. Una decina di giorni fa, al termine delle indagini, tre di loro sono stati denunciati alla Procura del Tribunale per i minori.
O come a Messina, dove a fronteggiarsi sono tunisini e bengalesi. Solo qualche mese prima, in un altra struttura per l’accoglienza bolognese, è accaduto qualcosa di peggio: un ragazzo albanese (16 anni) è stato arrestato con l’accusa di tentato omicidio. Mentre gli ospiti stavano guardando la tv nella saletta comune del centro, hanno ricostruito i carabinieri, è scoppiata una lite per il volume troppo alto del televisore. L’albanese si sarebbe scagliato contro un coetaneo pachistano con un martello. Poi ha preso un coltello da cucina e ha colpito il rivale con un fendente al petto, sotto gli occhi dei presenti, tra i quali il fratello della vittima.
Il bilancio dell’ultimo anno è disastroso. E anche se non ci sono dati ufficiali, si parla di circa 200 denunce. Di certo quanto accaduto a fine estate a Raffadali, in provincia di Agrigento, ha contribuito a far crescere la statistica: dieci denunciati in un colpo solo. Ancora una volta per una rissa tra bande: Marocco contro Bangladesh. A Udine, invece, nella Casa dell’Immacolata di don Emilio de Roja, lo scorso ottobre si sono fronteggiati afghani e bengalesi. Tra schiaffoni e minacce è volata anche una bastonata. In due sono finiti in ospedale per alcune fratture, ma poteva andare peggio. Il caso si è chiuso con quattro denunce. Ha portato a sei ordini di arresto, invece, un’inchiesta su una maxi rissa nel centro d’accoglienza Sant’Antonio di Messina. A scatenarla, due rapine ai danni di altri ospiti della struttura socio educativa e un’aggressione nei confronti di chi voleva denunciare i responsabili. Quando però il giudice ha disposto la misura cautelare per gli indagati – tutti tunisini – solo sei dei sette ragazzi erano reperibili. Uno di loro era riuscito a fuggire e si è volatilizzato.
Resta un giallo, infine, un caso saltato fuori dalle chat dei tutori volontari (figure di aiuto introdotte con una legge del 2017) a Milano nel novembre 2021: si segnalava che un quattordicenne era stato lasciato a dormire all’esterno di uno dei centri di accoglienza perché in sovrannumero. Dall’associazione Osservatorio Diritti lo scorso gennaio hanno provato a chiedere spiegazioni allo sportello per ai minori stranieri non accompagnati del Comune di Milano «ma, dopo un lungo passaggio di mail tra tecnici e assistenti dell’assessorato al Welfare», denunciano dall’Osservatorio, «non è arrivata risposta».