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I dinosauri delle Regioni

Da decenni, resistendo a intemperie politiche di ogni tipo, collezionano nomine, incarichi, poltrone. Un trionfo ininterrotto (talora dinastico) di carriere soprattutto al Sud, ma non solo. Succede pure in Lombardia, Piemonte, Friuli-Venezia Giulia, Marche…


Abituati ai monologhi Facebook, sembra un rampante neofita della politica. Tutto social e battutine, ideali per i meme sul web. Eppure Vincenzo De Luca è l’alfiere dei politici cui non bisogna chiedere mai… di abbandonare l’idea di una candidatura. Sempre in prima linea per un incarico, meglio se locale. Certo, quello iniziato da poche settimane è solo il suo secondo mandato da presidente della Regione Campania. Peraltro conquistato a suon di voti.

Ma al netto dei risultati, non è propriamente un esordiente: la sua prima elezione in Consiglio regionale risale al 2010, dopo la sconfitta contro Stefano Caldoro. La promessa era restare in sella come capo dell’opposizione. Proposito abbandonato quando, di fronte al bivio dell’incompatibilità, ha preferito conservare la poltrona di sindaco di Salerno. Solo pochi anni in consiglio? Vero. Ma per dovere di cronaca, il presidente con il lanciafiamme anti-assembramento è stato deputato della Repubblica dal 2001 al 2008. Senza dimenticare che dal 2013 al 2014 ha ricoperto il ruolo di viceministro (seppur senza deleghe) alle Infrastrutture e ai Trasporti del governo Letta. Nel frattempo regnava a Salerno, aprendo un altro caso di incompatibilità andato avanti a colpi di sentenze e ricorsi.

Mentre lo sceriffo dettava legge in Campania, il figlio Piero è diventato deputato dal 2018. Nel Consiglio regionale che lo sostiene salta all’occhio un altro caso dinastico: alle ultime Regionali è stato eletto, a sostegno proprio di De Luca, Giuseppe Sommese, erede politico di Pasquale Sommese, che dopo tre legislature (la prima nel 2005) – con tanto di passaggio dal centrosinistra al centrodestra – ha cavallerescamente lasciato il posto. Il figlio ha seguito le orme del padre, con incetta di preferenze.

E chissà cosa provano i molisani ogni volta che si recano alle urne per le elezioni regionali. All’ultima tornata (22 marzo 2018) si sono visti, nella valanga di nomi che ogni tornata amministrativa assicura, anche quelli di Michele Iorio, Nicola Cavaliere, Quintino Pallante. Curioso, considerando che il nome di Cavaliere c’era alle elezioni regionali del 2013, del 2011 e già che ci siamo pure del 2006 (allora però candidato col centrosinistra). Quello di Pallante, invece, tra alti e bassi, lo troviamo per la prima volta nel 1995, quando col centrodestra si candidò presidente di regione. Che dire, infine, di Iorio: candidato governatore (sempre col centrodestra) nel 2000, 2001, 2006, 2011, 2013 e 2018 (all’ultima tornata con una lista civica). Sarà anche piccolo il Molise, ma è terra d’oro per i recordman dei consigli regionali. Quelli che un tempo venivano definiti «dinosauri», in grado di resistere a ogni stagione politica.

A fare i conti, infatti, Cavaliere si è accomodato in Consiglio regionale per ben 14 anni, Iorio è entrato per la prima volta nell’assise nel 1990 (con la Dc). Trent’anni fa. E da lì non ha mai rinunciato a una candidatura, tranne che per una piccola parentesi al Senato della Repubblica. Tutto questo, ovviamente, non è solo una questione di forma. Pallante, che oggi è assessore ai Trasporti, secondo i documenti consultati da Panorama, ha già diritto a un vitalizio regionale di 3.000 euro e rotti; quello di Iorio – che da consigliere prende 7.000 euro e rotti – raggiunge invece i 5.495 euro lordi mensili.

Restando al Sud, in Puglia, figura il veterano Nicola Marmo, eletto per la prima volta nel 1995 con Alleanza nazionale: da 25 anni siede tra i banchi del Consiglio regionale. Dopo la nomina a capogruppo, nel 1998, c’è il balzo come assessore al Lavoro. Nella nuova legislatura, iniziata nel 2000, riceve l’incarico di assessore alla Caccia e alla Pesca della giunta Fitto. La sconfitta del centrodestra lo relega all’opposizione, dove è rimasto fino a oggi, da esponente di Forza Italia.

Nel centrosinistra, spicca un altro grande conoscitore del consiglio regionale: l’ex capogruppo del Pd Giuseppe Romano, eletto all’ultima tornata con una lista civica. Il suo esordio tra i banchi consiliari è datato 2005. Pure l’ex assessore Cosimo Borraccino ha debuttato nel 2005, nelle liste dei Comunisti italiani. Per lui c’è stato un buco di cinque anni a causa della mancata elezione nel 2010. Ma nella legislatura successiva si è rifatto con l’ingresso nella giunta di Michele Emiliano.

La Basilicata è legata a doppio filo ai fratelli Pittella. Marcello, il più piccolo dei due, gravita in Regione dal 2005. Prima come consigliere, fino al 2012. Dopo arriva la nomina come assessore, nel 2012. Infine come presidente della giunta, fino al 2019, quando rassegna le dimissioni in seguito alla sospensione dall’incarico scattata nell’ambito di un’inchiesta che lo ha riguardato. Ciononostante aveva manifestato la volontà di correre di nuovo per la presidenza. Un progetto fermato dai malumori nel centrosinistra. Alle elezioni vinte dal centrodestra, con Vito Bardi, Pittella ha dovuto accontentarsi di un posto come consigliere.

In Sicilia il nome che brilla per resistenza alle intemperie dell’Assemblea regionale siciliana (Ars) è quello di Antonello Cracolici, peso massimo del Pd nell’isola. Ha già alle spalle quattro legislature, la prima iniziata nel 2001. Stesso destino per il forzista Riccardo Savona, che ha vissuto l’ultimo ventennio all’Ars. Mentre Mimmo Turano, attuale assessore alle Attività produttive, ha datato il battesimo in Regione nel lontano 1996. Solo che c’è stato un intervallo, tra il 2008 e il 2012, si è fermato un giro: in quegli anni ha dovuto consolarsi con il ruolo di presidente della Provincia di Trapani.

Ma la questione non è solo meridionale, anzi. Nelle Marche c’è qualcuno che è riuscito a fare meglio: il cursus honorum di Carlo Ciccioli in Regione inizia addirittura nel 1985, quando è eletto consigliere con il Movimento sociale italiano. Un’era geologica fa. Era l’epoca del primo governo Craxi, con il pentapartito che guidava il Paese. Sono passate tante tempeste politiche, ma Ciccioli è rimasto un punto fermo nel panorama politico regionale e non solo, essendo stato eletto pure alla Camera nel 2006 e nel 2008. Così, dopo aver seduto in Consiglio regionale dopo le elezioni dell’85, del ’95, del 2000 e del 2005, è tornato in assise alle ultime elezioni. Nel frattempo, però, i documenti istituzionali (aggiornati al 2019) raccontano che Ciccioli riceve un assegno vitalizio lordo di circa 49 mila euro annui.

E se Ciccioli dovrà «accontentarsi» di un posto in Consiglio, a subentrare in giunta sarà Filippo Saltamartini: per lui prima volta in Regione dopo una legislatura intera (dal 2008 al 2013) da senatore. Ancora meglio ha fatto il leghista Davide Caparini, oggi assessore in Lombardia dopo cinque legislature alla Camera dei deputati: dal 1996 al 2018. Un po’ come Sergio Chiamparino, oggi consigliere regionale di minoranza in Piemonte dopo essere stato per 10 anni sindaco di Torino, per cinque deputato, per altri cinque governatore.

Nella geografia dei «dinosauri» regionali non può mancare il Friuli-Venezia Giulia. Eloquente il curriculum di Enzo Marsilio (Pd): impiegato dal 1981 in un istituto di credito, la sua carriera politica inizia dal 1990 (sindaco di Sutrio), incarico che ricopre per 13 anni. Nel 2003 il salto: eletto per la prima volta al consiglio regionale diventa pure assessore alla Montagna. Così si ricandida nel 2008, nel 2013 e, infine, nel 2018. Totale: 15 anni in Regione. Sulla stessa scia si colloca la forzista Mara Piccin che, da un certo punto di vista, è riuscita a superarlo: dal 2008 a oggi, senza interruzione, è consigliera regionale. Si dirà: cinque anni meno rispetto a Marsilio. Vero. Ma nel frattempo dal 2006 e sempre senza interruzione, è anche consigliere al comune di Pordenone. Alla faccia del rinnovamento.

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