L’ex priore di Bose è stato allontanato definitivamente dalla Comunità che riunisce monaci e monache di chiese cristiane diverse. Dopo averlo a lungo sostenuto, Papa Bergoglio ne ha deciso l’esclusione. Posizioni da predicatore laico e sovraesposizione mediatica tra i motivi della scelta. Lui alla fine lascia, scrivendo sibillino su Twitter: «Giunge l’ora in cui solo il silenzio può esprimere la verità».
Nell’agriturismo del ragionier Bianchi – così lo definiscono alcuni siti cattolici – tira brutta aria. Se non addirittura una ventata di eresia che alimenta un feroce «scontro» nella Chiesa. Sono giorni cruciali a Bose, un condominio di religioni che ha nei Vangeli il suo regolamento.
Fu fondato l’8 dicembre 1965, giorno di chiusura del Concilio Vaticano II, da Enzo Bianchi che folgorato dalla «democrazia sostanziale» di Giuseppe Dossetti si ritirò in preghiera, ancora studente di economia e commercio a Torino, sulle colline del biellese. Lo seguirono in quattro, poi la comunità crebbe. Un monastero di frati e suore laici piedistallo di Bianchi divenuto un predicatore del cattolicesimo e dell’ecumenismo «tailor made». Pigliando un po’ dagli ortodossi, strizzando l’occhio ai musulmani, dialogando con i riformati Enzo Bianchi, che non ha mai preso i voti né mai è stato ordinato sacerdote, ragionando di amore e terra – è tra coloro i quali esaltano la fatica dei contadini, ma non zappano (in Piemonte è un vezzo che hanno in diversi) – si è costruito una fama internazionale. Tre Papi lo hanno ascoltato. Si sussurrava che Francesco, che ora gli dà lo sfratto, avesse pensato di farne addirittura un cardinale laico: non accade dal 1857, quando la porpora fu imposta a Teodolfo Mertel.
Sono stati soprattutto i laici mondialisti, ecologisti e buonisti – quelli che scambiano la fede con il politicamente corretto – a farne un guru. Lui se ne è compiaciuto. Fino a quattro settimane fa, quando dal Vaticano gli è arrivato l’ordine perentorio di lasciare la comunità insieme con tre suoi «apostoli»: Goffredo Boselli, responsabile della liturgia, Lino Breda, segretario della Comunità, e Antonella Casiraghi, già sorella responsabile generale. A giudizio del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato che firma il provvedimento d’intesa col Papa, la presenza di Bianchi a Bose è incompatibile con la serenità del monastero e con il nuovo priore Luciano Manicardi, 55 anni bolognese, per moltissimi anni educatore dei novizi a cui il fondatore ha lasciato – solo formalmente viene da pensare – la guida nel 2017.
Ma Enzo Bianchi – 77 anni, carattere un tono sotto al dispotico, ego ipertrofico, ottima forchetta e buon bevitore, esondante scrittore, occhi azzurri più glaciali che ecumenici, canuto, ma non piegato – ha risposto picche. Non se ne vuole andare. In altri tempi sarebbe stata eresia, ma Bergoglio anche se ha soprasseduto alle maniere forti, resta fermo nel proposito di farlo sgomberare. Bianchi ha provato a forzare la mano cercando un dialogo «alla pari».
Questo scontro, in parte inconoscibile nelle motivazioni, sta già facendo deperire la comunità. Sono un’ottantina tra fratelli e sorelle con altre «case» a Gerusalemme, Assisi, Ostuni, Cellole di San Gimignano e Civitella San Paolo che vivono dei contributi degli «adoranti», della vendita dei libri del guru, dei prodotti dell’orto, dell’artigianato monastico e dei soggiorni: un emporio della fede. Per la messa di Pentecoste a Bose è salita non più di una trentina di persone; Enzo Bianchi non s’è fatto vedere, però è comparso il suo più fidato, Lino Breda, a significare che lo sfratto canonico è inefficace. Anche se Roma ha spedito a Bose come «ufficiale giudiziario» padre Amedeo Cencini con pieni poteri. Riavvolgiamo il nastro fino al 2014 quando è Enzo Bianchi ancora priore plenipotenziario a chiedere una prima ispezione del Vaticano.
Bergoglio lo ha appena nominato consultore pontificio per l’unità dei cristiani. Forse il priore vuole un tagliando di affidabilità perché ha già cominciato a prendere posizioni molto «libere»? La visita apostolica si conclude lodando l’afflato ecumenico, ma raccomanda una guida «non autoritaria, ma trasparente e sinodale». Così nel 2017, mentre la sua fama è cresciuta a dismisura, è diventato una sorta di confessore di Eugenio Scalfari, scrive dappertutto e di tutto, Bergoglio lo consulta per i sinodi sulla famiglia e sull’Amazzonia – passa la mano e nomina priore il suo vice Luciano Manicardi.
Ma le cose non vanno. È un po’ come in Vaticano, dove il Papa emerito è una figura scomoda per il Papa. Così a Bose, dove però il Priore emerito conta su un suo cerchio magico e comanda come e più di prima. Nel frattempo Bianchi si spinge molto avanti. Per lui Cristo è prima di tutto un uomo, la verginità della Madonna è ispirata a un culto pagano, l’eutanasia non si può condannare, va approvato il testamento biologico e sull’aborto niente anatemi, l’Islam non è feroce e se i cristiani sono aggrediti è perché furono loro i primi aggressori, infine chi dice che la sofferenza – vedi emergenza coronavirus – è comunque un dono di Dio rappresenta un Dio perverso. Contro Bianchi la fronda monta. Il 6 dicembre 2019 a Bose arriva una seconda visita apostolica.
Ne fanno parte Guillermo León Arboleda Tamayo, Amedeo Cencini e Anne-Emmanuelle Devéche che già era stata al monastero nel 2014. Dopo un mese il verdetto: la presenza di Bianchi è incompatibile con l’armonia del monastero. Il cardinale Pietro Parolin firma il provvedimento di allontanamento di Bianchi e dei suoi tre seguaci specificando che «è approvato in forma specifica dal Papa». Il Vaticano voleva tenere la cosa riservata, ma è il fondatore a renderla palese: si oppone al provvedimento. In un comunicato chiede di «conoscere i motivi del provvedimento e di potersi difendere dalle false accuse», anche se ammette che la sua presenza può essere ingombrante, ma di lasciare Bose non se ne parla. Si prova a imbastire un dialogo, ma siamo ormai alla prova di forza che spacca la Chiesa. I sostenitori di Bianchi – tra i quali Alberto Melloni – parlando di provvedimento abnorme, i teologi di maggior calibro invece bocciano il «frate» di Bose.
Dirà monsignor Antonio Livi, forse il più alto filosofo cattolico: «Bianchi non fa teologia, fa della squallida filosofia religiosa, lo hanno elevato a nuovo San Francesco e lui si presenta come priore della comunità di Bose che non è un ordine monastico perché non rispetta le leggi sulla vita comune religiosa, infine per lui la scrittura è solo un espediente retorico per fare propaganda a un umanesimo che è nominalmente cristiano, ma sostanzialmente è ateo».
Gli fa eco Cristina Siccardi, una delle più profonde studiose del Concilio, che taglia corto: «Bianchi è uno dei personaggi che ha contribuito a fare un gran male alla Chiesa, producendo tanta confusione nel clero e tra i fedeli». Forse a Bose l’incompatibilità non è solo tra priori, c’entra la fede.
