Maltrattata, storpiata e semplificata. La lingua italiana è considerata spesso un patrimonio culturale, ma la realtà quotidiana racconta un’altra storia: non è raro leggere “qual’è” con l’apostrofo, “propio” senza la seconda “r” o “avvolte” al posto di “a volte”. Errori che ad alcuni fanno sorridere, ad altri creano un brivido di dolore lungo la schiena ogni volta che quasi sette italiani su dieci inciampano nelle regole grammaticali.
Gli strafalcioni più diffusi
Non è solo distrazione, ma una consuetudine da incubo rivelata da un’indagine condotta da Libreriamo, il media digitale che promuove la lettura e la cultura. Dai vecchi sms fino alle chat e ai social è cambiato il modo di scrivere, con abbreviazioni come “tt” per “tutto” o “nn” per “non”, mentre la “k” sostituisce la “ch” (“ke fai?”), la “x” prende il posto di “per”. Una lingua compressa e semplificata che, quando trasportata nello scritto formale, si trasforma in un catalogo di strafalcioni.
Gli errori più frequenti riguardano l’apostrofo (62%), il congiuntivo (56%), la punteggiatura (39%) e la declinazione dei verbi (50%). L’apostrofo è il nemico numero uno: “qual è” si scrive senza, sempre. Ma “qual’è” continua a spopolare. Ovunque. Lo stesso vale per “un po’”, che richiede l’apostrofo perché deriva dal troncamento di “poco”: eppure la grafia “un pò” con l’accento è diffusissima, persino in comunicati stampa. Il congiuntivo resta storicamente l’elemento più critico e temuto della grammatica: “l’importante è che hai superato l’esame” è una frase sbagliata, la forma corretta è “l’importante è che tu abbia superato l’esame”. Eppure questa svista si sente con terrore anche in televisione. I pronomi non sono da meno: “gli ho detto che era molto bella” riferito a una donna è scorretto, la forma giusta è “le ho detto”.

Verbi e punteggiatura da incubo
La declinazione dei verbi è un terreno minato. Confondere gli ausiliari è un classico: “ho andato al cinema” invece di “sono andato”. Oppure l’uso errato dei tempi: “venirono a casa mia” al posto di “vennero”. Piccoli scivoloni che diventano abitudini tramandate nel tempo.
Un altro capitolo riguarda la confusione tra C e Q. Ecco un campionario di errori: “evaquare” invece di “evacuare”, “profiquo” al posto di “proficuo”, “squotere” anziché “scuotere”, “innoquo” invece di “innocuo”. Orrori che sembrano usciti dalle elementari, ma che resistono anche tra adulti. La punteggiatura, poi, è spesso usata a casaccio. Virgole piazzate ovunque, punti e virgola dimenticati, due punti messi perché sì, ci stanno bene. Ogni segno ha, invece, una funzione ben precisa: la virgola scandisce il ritmo e i due punti introducono spiegazioni o elenchi. Eppure, nel caos della scrittura digitale, queste regole vengono ignorate.
Non mancano gli esempi più originali, che strappano un sorriso, ma fanno riflettere. Nel settore beauty, c’è chi pensa di essere in cucina e chiede la “ceretta al linguine” invece che “all’inguine”. La “salciccia” sostituisce la “salsiccia” e il “cortello” prende il posto del “coltello”. Nei commenti online spuntano “pultroppo” e “propio bene”, mentre qualcuno scrive “avvolte si arrabbia” dimenticando che la forma corretta è “a volte”.
Il problema non riguarda solo la scrittura: anche il parlato ne risente gravemente. Frasi come “penso che hai sbagliato” dimostrano la difficoltà a usare il congiuntivo, mentre l’abuso di pronomi sbagliati (“gli ho detto” invece di “le ho detto”) rivela una scarsa attenzione alla precisione linguistica.
Come invertire la rotta
Ma come si può invertire la rotta? Gli esperti suggeriscono di tornare alle basi: leggere con regolarità, tornare a scrivere a mano, ridurre l’uso di chatbot IA, limitare neologismi e anglicismi, perché la lettura arricchisce il vocabolario e consolida le regole, mentre la scrittura manuale obbliga a pensare e rafforza la consapevolezza delle parole. Un altro strumento efficace è il gioco. Allenare la mente con libri dedicati, come 501 quiz sulla lingua italiana, il book-game di Saro Trovato, fondatore di Libreriamo, che permette di ripassare regole e curiosità evitando la noia: attraverso il retrieval practice, cioè la pratica del recupero attivo delle informazioni, la memoria si rafforza e rende le conoscenze più durature.
Trovato, ricorda che l’italiano è «un luogo simbolico che ci accoglie al di là delle differenze geografiche, sociali e generazionali». Difendere la lingua significa difendere la nostra identità culturale. E per farlo, non basta indignarsi davanti a un “propio” o a un “avvolte”, ma serve un po’ di impegno in più. Gli errori che maltrattano e storpiano la lingua, possono strappare un sorriso, ma quando diventano abitudine impoveriscono il patrimonio linguistico. Riscoprire la lettura e allenarsi con la scrittura sono gesti che possono riportare la lingua italiana al posto che merita, quello di eccellenza culturale.
