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L’altra metà del carcere

L’altra metà del carcere

Le gravissime immagini delle violenze nella prigione di Santa Maria Capua Vetere rischiano di far dimenticare quelle subite quotidianamente dagli agenti penitenziari. Costretti a difendersi da morsi, bastonate, minacce e insulti anche ai familiari sui social. Intanto gli istituti di detenzione continuano a essere stracolmi e gli organici di chi deve sorvegliare sempre più sguarniti.


Aggressioni e proteste violente hanno provocato il ferimento di quattro agenti di polizia penitenziaria fra il 16 e 19 giugno scorso. Un detenuto, in sala colloqui del carcere di Bari, ha preso a pugni un «basco azzurro» per poi scagliarsi contro altri due poliziotti. A Turi, Bari, i carcerati hanno messo in atto «una protesta collettiva all’interno della seconda sezione» denunciano gli agenti, «cominciando a sbattere oggetti sulle inferriate, gridando con cori da stadio, fortemente offensivi, contro il personale di polizia e lanciando dalle celle verso il corridoio frutta, ortaggi, uova, rifiuti e anche due torce rudimentali incendiate». La mattina dopo, durante la consegna di un pacco postale, uno di loro ha prima inveito contro un poliziotto e poi scaraventato la scrivania contro il muro e ha preso a gomitate in faccia un agente. Lo stesso detenuto, alcune ore dopo, incendiava pezzi di materasso e spargeva acqua e sapone sul pavimento per far scivolare le guardie.

Morsi, bastonate, olio bollente, sputi, minacce e insulti anche ai familiari sui social, scritte sui muri all’esterno del carcere «secondino muori!» sono l’altra faccia della medaglia. Le aggressioni alle guardie non godono dei riflettori come l’inaccettabile spedizione punitiva nell’istituto di pena di Santa Maria Capua Vetere. Bernando Petralia, capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap) del ministero della Giustizia, ha ammesso che nelle carceri gli episodi di violenza nei confronti degli agenti superano i due al giorno.

Tutto offuscato dai video della «perquisizione straordinaria» del 6 aprile 2020 nel carcere Francesco Uccella trasformata in pestaggi da Paese autoritario o del Terzo mondo. L’Italia bloccata dal virus era scossa dalle rivolte in 21 carceri che hanno provocato 13 vittime fra i detenuti, 170 agenti feriti, evasioni e danni per 40 milioni di euro. «Che i responsabili non pagheranno mai» sottolinea Donato Capece, segretario del Sappe, sindacato degli agenti di custodia «Ma le violenze gratuite sono inaccettabili. La polizia penitenziaria non è quella dei video di Santa Maria Capua Vetere. Davanti a quelle immagini mi si è accapponata la pelle».

La Guardasigilli, Marta Cartabia, ha bollato la spedizione punitiva come «tradimento della Costituzione». La magistratura ha emesso 52 misure cautelari nei confronti degli agenti. Il ministro, però, pochi giorni prima puntava il dito contro le violenze da parte dei detenuti. «Più volte mi avete portato all’attenzione un problema che conosco molto bene e che – vi garantisco – seguo con attenzione e crescente preoccupazione: quello delle aggressioni agli agenti» esordiva il 16 giugno alle celebrazioni per il 204° anno della Polizia penitenziaria.

«Gli episodi dei primi 6 mesi del 2021 sono stati 397, cifre altissime, come lo sono gli 837 avvenuti nell’intero 2020» dichiarava Cartabia. «Nessuna violenza può mai trovare giustificazione, né tolleranza». Le foto inviate a Panorama delle aggressioni dagli agenti penitenziari mostrano ferite, divise strappate e insanguinate, lividi sul collo, occhi tumefatti e punti di sutura. Uno scatto, che abbiamo deciso di non pubblicare, fa vedere il moncone di un dito mignolo di un poliziotto del Gom, il Gruppo operativo mobile, appena tranciato dal morso di un detenuto.

Il 6 luglio si è tenuta al tribunale di Sulmona la prima udienza per un ergastolano calabrese che nel supercarcere di Peligno rovesciò due litri di olio bollente addosso a un agente rimasto gravemente ustionato. Il 30 giugno «due detenuti ubriachi hanno aggredito vilmente alle spalle un sovrintendente di polizia penitenziaria con uno sgabello procurandogli una lesione a uno zigomo e una sospetta frattura al polso» denuncia Giuseppe Ninu, segretario regionale per l’Abruzzo del Sindacato autonomo polizia penitenziaria. Poi hanno colpito un assistente capo, causandogli una sospetta lesione di un timpano e infine hanno sferrato un pugno in bocca all’ispettore di sorveglianza.

«Gli stranieri sono i più aggressivi e violenti, insultano e sputano, perché pensano di essere impuniti» spiega Capece. «Per uno stipendio base di 1.300 euro al mese si rischia ogni giorno. Dei 41.000 agenti previsti siamo in 37.000 effettivi, sottoposti a turni massacranti. Il mondo del carcere è dimenticato da tutti. E la politica si sveglia solo quando accadono fatti inaccettabili come a Santa Maria Capua Vetere». Gli agenti, che all’interno delle sezioni sono disarmati, chiedono a gran voce pistole elettriche «taser», spray al peperoncino, strumenti non letali per difendersi dalla violenza.

La lista delle aggressioni è lunga e riguarda spesso detenuti con problemi psichiatrici. Il 23 settembre 2020 un nigeriano che lavorava nel penitenziario di Ferrara ha aggredito un agente mordendolo all’altezza dello stinco della gamba destra. Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa polizia penitenziaria, denuncia «un’escalation delle aggressioni» e la tattica dei detenuti violenti che «denunciano a loro volta gli operatori sostenendo di essere stati malmenati, suscitando clamore mediatico e indagini della magistratura».

I terroristi di matrice islamica sono un altro problema delicato. «Quando erano a Macomer (Sardegna), compresi due arrivati da Guantanamo, i detenuti jihadisti cercavano lo scontro ogni giorno. Inneggiavano agli attentati in Afghanistan contro le nostre truppe. E guai a sfogliare il Corano che avevano in cella per controllare che non ci fossero messaggi. Ci insultano dicendo di tutto e bollandoci come razzisti. Sembra un campo di battaglia quotidiano pure adesso che sono a Sassari» rivela un veterano della prima linea in carcere.

«La maggioranza del personale è onesto, ma esistono mele marce che entrano in carcere come guardie e ne escono da condannati» fa notare Enrico Sbriglia, 40 anni di direzione di istituti di pena alle spalle. «I video di Santa Maria Capua Vetere mi umiliano e disorientano tantissimo, ma sarebbe ipocrita dire che si tratta di una sorpresa». Sbriglia, presidente del Centro europeo di studi penitenziari di Roma, è convinto che si tratti «del risultato di una sequela di eventi, che mal governati generano queste barbarie. Per non parlare del fatto che negli anni sono stati nominati magistrati al vertice dell’amministrazione penitenziaria, che nulla conoscevano del carcere dall’interno».

A maggio la popolazione carceraria era di 53.660 persone rispetto a una capienza di 50.000 detenuti. In un recente passato si è arrivati anche a superare i 60.000. Oggi il 32% è straniero (16.940), in maggioranza africani. Lo scorso anno gli «atteggiamenti offensivi» sono stati 9.196 e 1.167 le «partecipazioni a disordini o sommosse». Da gennaio sono quattro i suicidi di agenti. Altri 17 dal 2019 e a Venezia si era tolta la vita con la pistola d’ordinanza anche una giovane donna, Maria Teresa, 28 anni, per tutti Sissy.

I video di Santa Maria Capua Vetere hanno scatenato minacce di morte. A Roma è apparso lo striscione «52 mele marce? Abbattiamo l’albero» firmato da un cerchio attraversato da una freccia, simbolo degli squatter. In Sardegna sono stati affissi manifesti anarchici intitolati «Non lasciamo soli i detenuti… isoliamo le guardie». A Napoli e nel Lazio viene raccomandato agli agenti di non indossare la divisa andando al lavoro per evitare ritorsioni. Le foto e i nomi degli indagati del raid punitivo sono finiti sui giornali locali e sui social si è aperta la caccia alle guardie.

Al Dipartimento amministrazione penitenziaria sono seriamente preoccupati delle minacce e della «demoralizzazione» del corpo. I veterani degli istituti di pena confidano: «Sono tanti gli agenti che prima di entrare in carcere si fanno il segno della croce, qualcuno ha anche un altarino con il santo protettore, perché non sanno mai come andrà a finire la giornata».

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