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Brasile: quei preti sposati che celebrano Messa

Brasile: quei preti sposati che celebrano Messa

Nel Paese sudamericano, i ministri del culto presenti sul territorio non bastano. A farne le funzioni sono sempre di più quelli con moglie e famiglia (circa 7.000). La Chiesa lo sa e finge di non accorgersene. E sul celibato non cede. Il rischio, però, qui
è che la religione cattolica sia sostituita da altre, molto più «pragmatiche».


Mentre Papa Francesco avanzava da solo in una Roma deserta e impaurita dal coronavirus per infondere un po’ di speranza, dall’altra parte del mondo, in Brasile, padre Manuel sbottava: «Sono profondamente deluso dalla decisione del Santo Padre di dire “no” ai preti sposati in Amazzonia».

Una rabbia comprensibile visto che c’è solo lui nelle isolate 50 comunità di indigeni pescatori di Cametà, nello Stato del Pará, Nord del Brasile, a celebrare messe, matrimoni e funerali, a fare il prete insomma. Il problema è che padre Manuel, che di cognome fa Valente ed è di origini italiane, è sposato da 24 anni, ha tre figli di 22, 21 e 20 anni e, soprattutto, non è un prete anche se di fatto ne svolge tutte le mansioni.

Il 46enne Manuel Valente è uno dei 240 diaconi sposati dell’Amazzonia che attendeva con ansia il via libera dal Vaticano per diventare sacerdote e che invece è rimasto deluso. Nell’ottobre dello scorso anno, in una decisione storica, 128 vescovi (41 i contrari) avevano infatti votato a favore dell’«ordinazione di sacerdoti idonei e riconosciuti dalla comunità, che hanno un fecondo diaconato permanente e possono avere una famiglia legittimamente costituita e stabile». Poi però il Santo Padre ha bocciato la proposta e la mancanza di preti «ufficiali» per gli indios continua. Così come rimane la stessa la realtà delle migliaia di preti sposati che in Brasile tengono in piedi il cattolicesimo, non solo in Amazzonia ma anche nelle favelas.

Secondo dati raccolti da organismi legati alla stessa Chiesa cattolica, i preti sposati brasiliani sono circa 3.500 e quasi tutti da anni continuano a battezzare, dire messa, celebrare funerali e matrimoni, nell’assoluta indifferenza del Vaticano. Ma c’è di più. Secondo quanto riferito al quotidiano spagnolo El País da un vescovo che non ha voluto rivelare il suo nome, in Brasile già da tempo laici sposati vengono ordinati sacerdoti: «Roma lo sa, ma chiede che non sia reso pubblico».

E per fortuna che ci sono, perché sono loro il volto della Chiesa cattolica in questa parte della «fine del mondo» (per usare una definizione dello stesso Francesco, il Papa «della fine del mondo») dove un sacerdote ha bisogno di dividersi tra dozzine di piccole cappelle sparse sugli sterminati villaggi fluviali del Rio delle Amazzoni. O del Rio Tocantins, come a Cametá, il comune formato da centinaia di isole dove predica padre Manuel e dove se non ci fossero i preti sposati, i fedeli non potrebbero partecipare a nessuna Messa.

Il no di Papa Francesco ha frustrato molti di loro in questa che è una delle regioni più isolate del pianeta e dove si moltiplicano le sette evangeliche che, a differenza della Chiesa di Roma, non hanno il dogma del celibato. Non a caso, secondo l’Istituto demoscopico Datafolha, proprio nel Nord del Brasile di cui il Pará di padre Manuel fa parte, gli evangelici (46%) hanno già superato i cattolici (45 per cento) e, se proseguirà questa tendenza, entro il 2030 il Paese sarà a minoranza cattolica.
«Ci aspettavamo che tutto sarebbe cambiato con il Sinodo, ma le grida della foresta non sono state ascoltate» si sfoga padre Manuel. «Gesù Cristo disse: “Vai ed evangelizza”. Ma chi conosce il terreno è il piede che lo calpesta. I vescovi che hanno scritto il rapporto del Papa non sanno come gettare una rete da pesca, non sanno pagaiare e non hanno mai sentito il fiume scorrere sotto i loro piedi».

«Tra il fiume e la foresta c’è un popolo sofferente» gli fa eco il Movimento dei Preti sposati brasiliani (Mfpc), nato nel 1979 e che ha persino una rivista, Boletim Rumos, che gestiscono direttamente. «I 7.000 preti sposati brasiliani» spiega João Tavares, responsabile comunicazione dell’associazione, «sono persone che hanno bisogno di Dio, ma il Sinodo ha dimostrato che la Chiesa è ancora intrappolata e non è in grado di liberarsi da dogmi così vecchi che dovrebbero essere già stati aboliti da tanto tempo».

Oltre ai diaconi con mogli e figli, in Brasile si stima ci siano altri 3.000 preti sposati, o persino di più, che fanno tutto di nascosto. Si trovano in particolare nelle zone interne e più selvagge del Paese, o nelle periferie più povere delle metropoli. Vivono unioni stabili e non dichiarate, e continuano a celebrare messa e somministrare i sacramenti. Spesso hanno figli non riconosciuti. Molti di loro non trovano il coraggio di rinunciare ai vantaggi come lo stipendio, la casa e l’auto.

Poi ci sono altri 4.000 sacerdoti sposati che invece hanno lasciato la Chiesa cattolica, pur se dopo anni di doppia vita. E qui va detto che quasi mai i vescovi hanno adottato contro di loro misure drastiche come la sospensione a divinis. Nel 95% dei casi, i provvedimenti delle autorità ecclesiastiche sono stati di due tipi: richiamo ufficioso a una maggiore discrezione nella gestione della vita privata, e trasferimento a migliaia di chilometri di distanza dalla parrocchia in cui avevano intessuto relazioni sentimentali.

Ma nove volte su 10 gli stessi preti hanno deciso lasciare il sacerdozio. Se dunque confrontiamo i numeri del Movimento Preti sposati con quelli ufficiali della Santa sede, secondo i quali i preti cattolici in Brasile sono poco più di 20.000, arriviamo alla conclusione che il rapporto tra preti sposati (7.000) e preti ufficiali è di circa uno a tre.

José Edson da Silva è un ex prete di Recife (Nord-est, Stato di Pernambuco, altra sacca di indigenza del Brasile) ed è stato a lungo il presidente del Movimento. Maria Lucia de Moura è sua moglie. In Brasile ci sono almeno altre 7.000 donne come lei, ma la sua storia è emblematica visto che proviene dal Ceará, uno degli Stati più poveri del Paese, anche questo nel nel Nord-Est. S’iscrive a Teologia quando perde la madre per un male incurabile. Proprio sui banchi universitari incontra José da Silva, giovane sacerdote.

Siamo all’inizio degli anni Novanta. Maria Lucia è entusiasta delle lezioni di José. Dopo un anno resta incinta. Le autorità ecclesiali se ne accorgono e, per tutta risposta, trasferiscono José in Francia, a Parigi. La figlia Sonia ha appena un anno. Il costo del biglietto aereo è proibitivo. Sia Maria Lucia che José cadono in depressione. Per due anni si sentono solo al telefono, poi José ottiene il trasferimento a Brasilia, la capitale del Paese. Oltre 4.000 chilometri di distanza, ma José e Maria Lucia si vedono durante le vacanze estive. Nasce Marianna, la seconda figlia. La gerarchia sa, ma fa finta di non sapere. Dieci anni dopo José lascia il sacerdozio ma si sposa in chiesa, grazie a un prete amico.

Il Centro de Estatística Religiosa e Investigações Sociais, Ceris, ha svolto di recente un’indagine nella quale ha coinvolto 758 preti cattolici brasiliani. Anonimato garantito perché, come ovvio, molti di loro non ci tengono ad apparire. Il risultato? Il 41% ha ammesso di avere avuto rapporti sessuali e quasi due terzi di loro si è detta contraria al celibato. «E allora chiedo a voi italiani» si interroga uno di loro «perché privare il mio popolo di questa ricchezza?». A Papa Francesco l’ardua sentenza.

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