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Alla ricerca infinita del Sacro Graal

Alla ricerca infinita del Sacro Graal

Apparsa per la prima volta nel XII secolo, la coppa che ha raccolto il sangue di Gesù Cristo è sempre stata al centro di poemi e saghe cavalleresche. Un mistero che ha affascinato anche artisti e musicisti. E che resta una via per scoprire se stessi.


Che cosa è il Graal e a chi serve? È la domanda che riecheggia da secoli, e i più restano muti davanti al più grande e sconvolgente mistero della cristianità (e non soltanto, stando alle decine di esperti che se ne sono occupati). Il Santo Graal è comparso per la prima volta nel XII secolo, ed è spuntato quasi dal nulla, come se fosse emerso da un mondo sotterraneo e segreto. Il primo a parlarne è stato il poeta francese Chrétien de Troyes, il maggiore della sua epoca. Egli, come ha scritto Franco Cardini, «cominciò a scrivere i suoi romanzi in versi nella prima metà degli anni Sessanta del XII secolo, allorché attorno alla duchessa e regina Eleonora, nipote del trovatore Guglielmo IX d’Acquitania, si andava fondando il nucleo originale di quella che si sarebbe chiamata cultura cortese».

Tra il 1181 e il 1190, Chrétien compone l’ultimo dei suoi romanzi cortesi: Perceval o il racconto del Graal. Non dice di esserlo inventato, ma – come si usava all’epoca – sostiene di essersi ispirato a un testo più antico, ricevuto in dono dal suo mecenate, Filippo d’Alsazia conte di Fiandra. Un escamotage letterario, certo, ma, forse, qualcosa di più. Ovvero un cenno a un sostrato culturale più antico, precristiano forse. Come quello a cui, quasi 750 anni dopo, farà riferimento la studiosa Jessie L. Weston in un’opera divenuta celeberrima: From ritual to romance (Indagine sul Santo Graal). La Weston era convinta di poter provare che «il parallelismo esistente tra ogni aspetto della storia del Graal e il simbolismo, di cui ci è rimasta traccia, dei culti misterici». Insomma, il cristianesimo avrebbe assorbito o si sarebbe sovrapposto ad antichi culti pagani. Altri studiosi avrebbero parlato, poi, di una derivazione celtica del Graal, mentre Alberto Ventura, sulla scia di René Guénon, ha pensato di intravvederne pure il legame con la tradizione islamica. Più si indaga, insomma, più il mistero sembra farsi fitto.

Prima di inoltrarci in profondità, però, dobbiamo tornare alla domanda iniziale: che cosa è il Graal? Mario Polia (Il mistero imperiale del Graal, Il Cerchio) spiega che «la parola Graal è originaria del Mezzogiorno della Francia, si trova nel provenzale grazal dal quale deriva l’antico-francese graalz. Il termine sembra riferirsi a un vaso». Un contenitore, insomma, basso e poco profondo. Una coppa, una bacinella, qualcosa di simile alla grolla valdostana.

Oppure qualcosa di diverso. Forse un libro, o una pietra. Guénon, per esempio, riporta la versione secondo cui il Graal sarebbe stato intagliato in uno smeraldo staccatosi dalla fronte di Lucifero al momento della caduta. Comunque sia, è fonte di salvezza, di vita eterna, di comunione con la divinità. E solo il più puro e valoroso dei cavalieri potrà entrarne in possesso, non prima di avere affrontare una difficile ricerca, la «queste».

In Chrétien de Troyes è Perceval ad affrontare la difficile missione. Come ha ricostruito Claudio Risé nel suo Parsifal, di recente ristampato, il cavaliere in questione è «un puro folle». Figlio di una madre apprensiva che vuole tenerlo lontano dai rischi della cavalleria Perceval/Parsifal cresce sostanzialmente fuori dal mondo. Fino al momento in cui alcuni cavalieri in armatura luccicante non giungono alla sua dimora, richiamandolo inesorabilmente al compito che l’attende. Parsifal abbandona la madre (che morirà di crepacuore) e si lancia nell’impresa.

Dimostra il suo valore sconfiggendo il Cavaliere Vermiglio e prendendone l’armatura, poi nel suo peregrinare si imbatte nel Re Pescatore, figura centrale di tutti i racconti graalici. Il Re Pescatore è un sovrano ferito all’inguine, provato da una piaga purulenta che non guarisce, e che egli è costretto a lavare nell’acqua del fiume quando il dolore si fa più forte. Parsifal riuscirà a giungere al castello del Re, e lì assisterà a una strana processione: un valletto porta una lancia dalla cui punta stilla una goccia di sangue. È la lancia che ha ferito il Re Pescatore, ma diventerà anche la lancia di Longino che ha squarciato il costato di Cristo. Segue una fanciulla (o più) che porta il lucente Graal.

Di fronte a tutto questo, Parsifal dovrebbe porre una domanda, quella che gli permetterebbe di svelare il segreto del Graal e di curare il Re Pescatore. Ma, impressionato e intimidito, rimane in silenzio, e il miracolo non si compie. Così, il cavaliere viene cacciato dal castello, e deve ricominciare le sue peregrinazioni. Il racconto di Chrétien de Troyes, tuttavia, s’interrompe. Resta incompiuto, e questa incompiutezza ha dato il via a una serie di versioni successive. Tra le più celebri c’è l’opera di Robert de Boron, un autore misterioso vissuto intorno al 1200, a cui si riconosce il merito di aver «cristianizzato» i racconti graalici. Tra il 1215 e il 1235, invece, viene composto lo smisurato ciclo di romanzi che prende il nome di Vulgata. Il cosiddetto ciclo del Lancelot-Graal scritto in antico francese da autori anonimi, probabilmente più d’uno.

Per la prima volta, questo insieme di opere è stato tradotto in italiano da Einaudi, che ha dato il via a un’operazione meritoria. Il primo volume, a cura di Lino Leonardi, è appena uscito, e contiene i primi tre capitoli: La storia del Santo Graal; La Storia di Merlino; Il seguito della storia di Merlino. In questi racconti l’attenzione si sposta sul cavaliere più forte del mondo, ovvero Lancillotto. Il più bello, bravo, valoroso: ma non può accedere al Graal. E il motivo è noto: la sua colpa è l’amore per Ginevra, e il tradimento del suo Re, Artù. Sarà suo figlio, sir Galaad, ad avere il grande privilegio e a salire sul Seggio periglioso della Tavola Rotonda. Artù, Merlino, Lancillotto, Galaad, Galvano, Parsifal… Le avventure dei cavalieri si dividono in mille rivoli, hanno autori e declinazioni diverse, e vicende storiche complesse e impossibili da sintetizzare.

Ma il vero mistero del Graal, forse il più importante, riguarda la sua funzione. Il motivo per cui è ancora oggi oggetto di interesse e fonte di ispirazione anche per la cultura pop. Basti pensare che due opere capitali come La Terra desolata di T.S. Eliot e il Parsifal di Richard Wagner affondano le radici nella tradizione graalica. Wagner, in particolare, si ispira al Parzival di Wolfram von Eschenbach (1210 circa). Cavaliere e poeta tedesco, Wolfram è il primo, come ha notato la studiosa Adele Boghetich, «a intravedere nell’ordine del Graal una cavalleria mistico-religiosa sul modello dell’ordine templare». E queste saghe continuano a esercitare la loro attrazione, tanto che Netflix ha dedicato alle storie di cavalieri la sua nuova serie Cursed,con Artù, Merlino e la Signora del lago.

Le storie del Graal sono racconti iniziatici. Prevedono un percorso di ascesi e scoperta di sé. La ricerca che Parsifal e gli altri compiono è quella che ognuno di noi deve affrontare nella vita. Per i cristiani, il Graal è il calice dell’ultima cena e la coppa che ha raccolto il sangue di Cristo. In qualche modo rappresenta il Sacro Cuore, la luce della fede. Ma anche per chi non crede accedere al Graal permette di scoprire il segreto del vivere comune. È ciò che ha individuato il filosofo inglese Roger Scruton nell’ultimo libro scritto prima di morire, dedicato a Wagner. Il Parsifal wagneriano aveva scatenato le furie di Nietszche, che inveì contro «quel povero diavolo, quel selvatico giovanotto d’un Parsifal, che viene infine da lui [Wagner] cattolicizzato con mezzi così capziosi».

Per Wagner, Parsifal è appunto il «puro folle», un personaggio in effetti un po’ strampalato, ruvido, privo di «buone maniere» e anche dell’affettazione tipica dei cortigiani. Ma capace, per questo, di successi impensabili. Dopo lunghe traversie, egli riuscirà a impossessarsi del Graal e a salvare la «terra desolata» su cui regna Amfortas, il Re Pescatore. Come lo salva Parsifal? Ponendogli una sola domanda: «Caro, che cosa vi strugge?». Ecco il mistero: Parsifal mostra compassione. Scruton usa la parola godliness, che potremmo tradurre con «pietà» nel duplice senso di «essere pio» e «provare pietà per l’altro».

In questo modo, il cavaliere compie il passo decisivo. Dopo essersi guadagnato la propria autonomia, si rende conto di essere parte di una totalità. È all’interno di un ordine superiore – quello naturale – che lo comprende e a cui lui deve rendere conto. Trovare il Graal significa trovare il proprio posto nel mondo, connettersi agli altri e al creato. Per questo la ricerca è così difficile e, in fondo, non si conclude mai.

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